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Quando Churchill, il più anticomunista dei politici britannici, venne in soccorso alla Russia aggredita dalle truppe hitleriane e strinse calorosamente la mano del suo baffuto dittatore, il mondo si stupì di una simile amicizia. Winston rispose che se Hitler avesse invaso l'inferno, avrebbe speso una buona parola per il Diavolo. Ora, il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede non è certo Hitler, Silvio Berlusconi non è Churchill e Maurizio Martina non è Stalin. Tuttavia il ministro grillino è riuscito nello stesso miracolo: mettere d'accordo forzisti e democratici proprio sulla giustizia, materia dove per anni avevano litigato scambiandosi le accuse più vituperevoli.
Parlando davanti ai parenti delle vittime del terremoto del 2002, il volonteroso guardasigilli ha infatti annunciato un emendamento al decreto anticorruzione per sospendere la prescrizione dopo la sentenza di primo grado. Non sappiamo come abbiano reagito i presenti, che, per le ragioni che diremo, avrebbero potuto coprirlo di contumelie; ma sappiamo come hanno reagito il centrodestra e il centrosinistra. La forzista onorevole Bartolozzi l'ha definita «idea scellerata»; il capogruppo del Pd in commissione, onorevole Bazoli, è stato altrettanto duro. Gli avvocati, naturalmente, si sono scatenati. L'Anm si è pronunciata timidamente in modo interlocutorio, riconoscendo comunque l'insufficienza di questa proposta che, in effetti, è incostituzionale, dannosa e irragionevole.
1. È incostituzionale, perché confligge con l'articolo 111 che afferma il principio della durata ragionevole del processo. Ora, soltanto un ingenuo inesperto può credere che, allungando i tempi di prescrizione si riducano quelli delle indagini e dei dibattimenti. È vero invece il contrario, perché questa lentezza non dipende affatto dai sofismi bizantini dei difensori, ma da ragioni ben più profonde e strutturali, sulle quali il provvedimento non incide: l'insufficienza di risorse, la complessità delle procedure, la proliferazione normativa, l'obbligatorietà dell'azione penale ecc. Mentre invece saranno gli stessi magistrati che, svincolati dagli attuali termini rigorosi, se la prenderanno più comoda. Così, certificando la perversione di accollare all'imputato, ancora presunto innocente, le conseguenze dell'inefficienza del sistema, il citato principio costituzionale, già oggi vulnerato di fatto, lo sarà anche di diritto. E l'intervento della Corte sarà inevitabile.
2, e consequenziale. La lunghezza dei processi è, notoriamente, una delle cause di sfiducia nella nostra giustizia non solo dei cittadini, ma anche dei mercati; essa si traduce in una perdita pari quasi al due per cento del Pil. Il messaggio che arriva da questa iniziativa va in direzione del tutto opposta a quella auspicata da Draghi e condivisa, a parole, praticamente da tutti. E se un imprenditore straniero avesse ancora qualche proposito di investire in Italia ne sarebbe definitivamente scoraggiato.
3. Le vittime. Seguendo il principio della eterogeneità dei fini, ben conosciuto da storici e filosofi, il risultato dell'emendamento sarebbe proprio l'opposto di quello auspicato. Perché la sospensione della prescrizione dopo la sentenza di primo grado, rinviando all'eternità la conclusione del processo, danneggerebbe proprio le parti offese, che dovrebbero aspettare la sentenza definitiva per ottenere sia il risarcimento, sia la consolazione morale derivante da un accertamento delle eventuali responsabilità.
Concludo. Non sappiamo se la Lega, che ha vinto le elezioni associandosi a una forza garantista, ingoierà questo ennesimo boccone amaro in cambio di altrettanta indulgenza dei soci di governo in tema di sicurezza, legittima difesa e immigrazione. Ma sappiamo che vi è un limite oltre il quale la flessibilità programmatica si converte in voltafaccia indecente, e, per molti elettori, in intollerabile tradimento. Le prime reazioni sembrano abbastanza critiche nei confronti della prospettata riforma, e questo ci conforta. In caso contrario, è possibile che l'alleanza di governo, già sottoposta a pressioni centrifughe, crolli con fragore. Anche perché, se restasse in piedi a queste condizioni, assisterebbe al crollo, ben più grave, dello Stato di Diritto.
Carlo Nordio, Il Messaggero 1 novembre 2018
Carlo Nordio, magistrato dal 1977, è stato Procuratore Aggiunto di Venezia e titolare dell'inchiesta sul Mose di Venezia, fu protagonista della famosa stagione di Mani pulite con la celebre inchiesta sulle cooperative rosse. Negli anni Ottanta condusse le indagini sulle Brigate Rosse venete e sui sequestri di persona e negli anni Novanta indagò sui reati di Tangentopoli. È stato consulente della Commissione Parlamentare per il terrorismo e presidente della Commissione Ministeriale per la riforma del codice penale. È stato fino al pensionamento avvenuto nel 2017 Procuratore Aggiunto della Repubblica diVenezia, si è occupato di reati economici, di corruzione e di responsabilità medica. Ha collaborato a numerose riviste giuridiche e quotidiani tra cui "Il Tempo", "Il Messaggero" e "Il Gazzettino". Nel 2010 scrisse un libro con l'ex deputato e sindaco di Milano Giuliano Pisapia: In attesa di giustizia. Dialogo sulle riforme possibili (Guerini e Associati). Dal febbraio 2017 è in pensione per raggiunti limiti di età, avendo compiuto settant'anni.
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