Questo non è mio figlio.
Queste non sono le sue mani
questo non è il suo volto.
Questi brandelli di carne
non li ho fatti io.
Mio figlio era la voce
che gridava nella piazza
era il rasoio affilato
delle sue parole
era la rabbia
era l'amore
che voleva nascere
che voleva crescere.
Questo era mio figlio
quand'era vivo,
quando lottava contro tutti:
uomini di panza
che non valgono neppure un soldo
padri senza figli
lupi senza pietà.
Parlo con lui vivo
non so parlare
con i morti.
L'aspetto giorno e notte,
ora si apre la porta
entra, mi abbraccia,
lo chiamo, è nella sua stanza
a studiare, ora esce,
ora torna, il viso
buio come la notte,
ma se ride è il sole
che spunta per la prima volta,
il sole bambino.
Questo non è mio figlio.
Questa bara piena
di brandelli di carne
non è di Peppino.
Qui dentro ci sono
tutti i figli
non nati
di un'altra Sicilia.
Felicia, madre di Peppino Impastato quando, il 9 maggio 1978, ebbe davanti il suo bel volto martoriato dai mafiosi di "Tano Seduto" scrisse questa poesia, in Siciliano.
Scrisse ricordando i giorni della grande paura: «Guardavo mio figlio e dicevo: 'Figlio, chi sa come ti finisce'. Lo andai a trovare che era a letto, gli dissi: 'Giuseppe, figlio, io mi spavento'. E come apro quella stanza, ché ci si corica mia sorella là, io vedo mio figlio, quella visione mi è rimasta in mente».
Scrisse, e rimase a lungo in pena per la sorte dell'altro figlio, Giovanni: «Gli dissi: "Tu non devi parlare. Fai parlare me, perché io sono anziana, la madre, insomma non mi possono fare come possono fare a te"».
Felicia si espose contro i boss, prima donna in Italia, e al processo contro don Tano Badalamenti - che abitava a 100 passi da casa sua - gli puntò il dito contro, accusandolo di essere il mandante dell'assassinio. "Io non desidero vendetta, ma giustizia". Questo il messaggio più forte che Felicia ci ha lasciato. Insieme ad un altro, che sempre ripeteva ai giovani : «Tenete alta la testa e la schiena dritta».
Felicia, madre di Peppino Impastato quando, il 9 maggio 1978, ebbe davanti il suo bel volto martoriato dai mafiosi di "Tano Seduto" scrisse questa poesia, in Siciliano.
Scrisse ricordando i giorni della grande paura: «Guardavo mio figlio e dicevo: 'Figlio, chi sa come ti finisce'. Lo andai a trovare che era a letto, gli dissi: 'Giuseppe, figlio, io mi spavento'. E come apro quella stanza, ché ci si corica mia sorella là, io vedo mio figlio, quella visione mi è rimasta in mente».
Scrisse, e rimase a lungo in pena per la sorte dell'altro figlio, Giovanni: «Gli dissi: "Tu non devi parlare. Fai parlare me, perché io sono anziana, la madre, insomma non mi possono fare come possono fare a te"».
Felicia si espose contro i boss, prima donna in Italia, e al processo contro don Tano Badalamenti - che abitava a 100 passi da casa sua - gli puntò il dito contro, accusandolo di essere il mandante dell'assassinio. "Io non desidero vendetta, ma giustizia". Questo il messaggio più forte che Felicia ci ha lasciato. Insieme ad un altro, che sempre ripeteva ai giovani : «Tenete alta la testa e la schiena dritta».
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