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Ci sono domande nei processi che trasformano tutte le donne in mignotte, aboliamole!

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Ho letto la sentenza emessa dalla Corte d'Assise di Bologna chiamata della c.d. tempesta emotiva e passionale.Ho scoperto prima di tutto che l'espressione non è di conio della Corte bensì del perito il quale – in primo grado – aveva usato l'espressione completa "soverchiante tempesta emotiva e passionale".
Poi, ancora, che la gelosia è stata qualificata come motivo futile laddove è stata ispirata – come in questo caso – da un mero spirito punitivo nei confronti della vittima.
La tempesta compare dopo e prende piede nel corpo della sentenza quando si parla delle generiche. Quivi si dice che lo stato di turbamento dell'omicida può influire sulla responsabilità della pena e quindi portare ad un mitigamento del trattamento sanzionatorio.

Boh.
Non so cosa dire ma il mio articoletto non vuole entrare nel merito di tale questione.
Quello che mi affascina è la gelosia e il suo ambiguo rapporto con il processo penale.
Secondo voi – e lasciamo stare il caso concreto – sono lecite le domande sugli eventuali tradimenti delle vittime ?
Come considerate domande del genere:1)irrilevanti, 2)capaci di nuocere alla genuinità delle risposte o 3) semplicemente suggestive ?
Il nocciolo è sempre quello, secondo me.

La gelosia può trasformarsi in provocazione, oppure in uno stato di alterazione mentale tale da diminuire o escludere la capacità d'intendere o di volere ?
Secondo la giurisprudenza, la gelosia – se non è nutrita da uno stato morboso e/o patologico davvero sensibile – non diminuisce un ette.
E allora, perchè certe domande, capaci di trasformare la traditrice in una inguaribile mignotta ?
I processi penali per femminicidio saranno sempre processi tossici, in cui il ruolo della femmina massacrata non sarà mai ben definito ma avrà sempre contorni sfrangiati o troppo sfumati. 

Se il Legislatore vietasse le domande sugli eventuali tradimenti, anche le tempeste emotive – che per me restano stati d'animo transeunti e passeggeri – forse non riuscirebbero ad incidere sulla responsabilità penale.
Il chè contrasta con la mia sensibilità di (aspirante) penalista.
Però, anche quando faccio la parte civile, e difendo qualche donna maltrattata, mi devo difendere per la maggior parte della durata da certe accuse striscianti del tipo:lei lo ha tradito, lei si vedeva con qualcuno, lei quante volte lo faceva e con chi.
Mi sono rotto i coglioni.
Anche Messalina dovrebbe avere il sacrosanto diritto di far salire sulla propria carrozza chi vuole. Sono i cocchieri che sbagliano carrozza,semmai.

O si ostinano a prendere sempre la stessa corriera anche quando sanno – scientemente sanno – che quel torpedone lì lo prendono in tanti e pure senza biglietto. 

Le domande sulla vita sessuale delle persone – e delle donne, segnatamente – non dovrebbero entrare nei processi per femminicidio (omicidio o lesioni, rectius).
Così, forse, per un divieto squisitamente procedurale, forse avremmo anche un maggior sollievo di carattere penale sostanziale.
E magari meno tempeste sulla cervice di natura emotiva o passionale.

Tutto ciò non dico perchè in me si celino sentimenti veterofemministi.
Lo dico perchè tali domande – in certi contesti e per alcuni tipi di reato – abbisognano di essere finalmente (ri)classificate.
Dove non arriva la società, chè ci arrivi almeno il Codice di Procedura Penale.

 

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