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La Sezione Seconda del T.A.R. Genova ha affrontato la delicata questione relativa alla revoca delle misure di accoglienza disposte in favore di soggetti richiedenti protezione internazionale e tramite la sentenza n. 628/2018 ha sintetizzato gli arresti giurisprudenziali, recependoli, secondo i quali per potersi definire legittima detta revoca deve conseguire a fatti gravi o ripetuti i quali devono essere valutati in concreto, anche sotto il profilo della proporzionalità del provvedimento rispetto alla condotta accertata.
I fatti di causa: il ricorrente ha impugnato il provvedimento con il quale la competente Prefettura aveva disposto la revoca delle misure di accoglienza adottate in suo favore poiché il ricorrente era stato sanzionato dai Carabinieri per accattonaggio.
Detto provvedimento si fondava sulla valutazione di intrinseco disvalore dell'attività di accattonaggio, ritenuta suscettibile di essere sussunta nella fattispecie della grave violazione delle regole di condotta da osservarsi nel centro di accoglienza di cui all'art. 23, comma 1 lett. e), del D.Lgs. n. 142/2015.
Il ricorrente ha censurato il provvedimento di revoca perché basato su fatti insussistenti, perché adottato in violazione e falsa applicazione della citata norma, nonché perché, in ogni caso, affetto da assenza di proporzionalità del provvedimento rispetto alla condotta contestata.
Il Ministero resistente si è costituito, difendendo il suo operato.
L'adito T.A.R. ha ritenuto il ricorso fondato.
Il Collegio ha sin da subito precisato che la valutazione sull'esistenza dei presupposti di fatto per la revoca ex art. 23, comma 1, lett. e) del citato Decreto ha carattere eminentemente discrezionale, postulando l'esame in concreto della singola fattispecie e della particolare situazione della persona interessata, anche sotto il profilo della proporzionalità del provvedimento rispetto alla gravità delle condotte accertate.
Di detta approfondita valutazione deve essere dato conto attraverso un'idonea motivazione degli elementi di fatto considerati e del percorso logico seguito per approdare alla drastica determinazione della revoca.
Ebbene, il Tribunale ligure ha preso atto che la Prefettura aveva fondato l'impugnato decreto di revoca sulla base di un unico e isolato episodio di accattonaggio ed è giunto alla conclusione che un evento di accattonaggio verificatosi una tantum non integri né la violazione grave né la violazione ripetuta delle regole del centro di accoglienza ai sensi della citata norma.
La disposizione normativa de qua, infatti, secondo costante giurisprudenza, postula che la condotta di accattonaggio possa assumere rilevanza ai fini della revoca dei benefici di accoglienza allorché la medesima sia compiuta in maniera reiterata, o, comunque, in compresenza di altre violazioni delle regole poste a presidio della sicurezza ed incolumità pubbliche.
Il Collegio, invero, ha fatto proprio l'orientamento secondo il quale la permanenza temporanea all'interno delle strutture di accoglienza deve immaginarsi funzionale a intraprendere un percorso verso l'autonomia e l'inserimento sociale, che non può certo transitare per ripetuti e/o gravi comportamenti contrari, come sopra detto, alle regole poste a garanzia della sicurezza e della incolumità pubbliche, poiché una simile dinamica tradisce lo scopo dell'accoglienza rendendone vana la funzione solidaristica.
Ciò considerato, il T.A.R. Genova ha ritenuto che, sebbene l'attività di accattonaggio in sé considerata integri, da parte di chi la esercita, un comportamento riprovevole per l'ordinamento, la medesima – ove concretizzatasi in un solo episodio – non giustifica la revoca delle misure di accoglienza dello straniero (intesa quale extrema ratio nell'ambito delle norme inerenti la protezione internazionale).
Pertanto, la valutazione compiuta dalla Prefettura è stata ritenuta in contrasto con i principi di proporzionalità e adeguatezza della sanzione rispetto alla condotta addebitata al ricorrente.
Per questi motivi, l'adito T.A.R. ha accolto il ricorso e ha compensato le spese di lite.
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