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Obbligo di informare il cliente e mandato in bianco
L'art.27 del codice deontologico forense pone, a capo all'avvocato, l'obbligo di informare il cliente e la parte assistita sullo svolgimento del mandato a lui affidato, nonché l'obbligo di "riferire alla parte assistita, se nell'interesse di questa, il contenuto di quanto appreso legittimamente nell'esercizio del mandato" (art. 27 commi 6 e 8 codice deontologico forense). Tale dovere d'informazione assolve a un obbligo più ampio che l'avvocato ha nei confronti del suo assistito che si esplica sia nella rappresentazione dei rimedi esperibili che nella condivisione delle scelte processuali, tenuto conto anche delle responsabilità che la funzione difensiva assolve. Ne discende che "pone un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che utilizzi firme apposte a un mandato "in bianco" per atti non solo non ancora predisposti ma la cui necessità sia da considerarsi solo eventuale" (Consiglio Nazionale Forense n. 152/2017). Il dovere di informazione in questione non viene meno per effetto della morte dell'assistito. A questo proposito i giudici di legittimità hanno affermato che "l'esercizio di attività processuale anche dopo la morte della parte ha natura eccezionale in quanto finalizzata a evitare l'insorgere di eventuali pregiudizi in danno agli aventi causa e non può in ogni caso prescindere da una compiuta informativa a favore di questi ultimi, sicché non può fondarsi su iniziative personali e assunte in totale autonomia dal difensore" (Cassazione civile, Sezioni Unite sentenza n. 12636/2019). Sul piano disciplinare la violazione del dovere d'informazione di cui al comma 8 dell'art. 27 del Codice Deontologico, comporta l'applicazione della pena edittale della censura (Art.27 comma 9 codice deontologico forense, Consiglio Nazionale Forense n. 152/2017).
Dovere di accertamento dell'identità del cliente
Oltre al dovere di informare il cliente, l'avvocato, prima di assumere l'incarico, ha il dovere di accertare l'identità della persona che lo conferisce e della parte assistita (art.23 comma 2 codice deontologico forense). Inoltre, "l'autografia della sottoscrizione della parte deve essere certificata dal difensore" (art. 83 comma 3 c.p.c.).
A questo proposito occorre ricordare che la dichiarazione della parte, con la quale questa assume su di sé gli effetti degli atti processuali che il difensore è legittimato a compiere, ha efficacia nell'ambito del processo e il potere certificativo del procuratore di cui all'art 83 comma 3 c.p.c. ha natura essenzialmente pubblicistica. E ciò in considerazione del fatto che con la sottoscrizione dell'atto processuale e con l'autentica della relativa procura il difensore compie un negozio di diritto pubblico, rivestendo la qualità di pubblico ufficiale, la cui certificazione può essere contestata soltanto con la querela di falso (Cass. n. 10240/2009; Cass. n. 17473/2015 richiamate dalla Cassazione civile, sezione sesta, ordinanza del 5.9.2017, n. 20791).
Fattispecie penali: falsa attestazione autenticità sottoscrizione procura alle liti
Secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione "la falsa attestazione dell'autenticità della sottoscrizione della procura ad litem integra il reato di falso ideologico in certificati commesso da persona esercente un servizio di pubblica necessità (nella specie avvocato), ex art. 481 cod. pen."
Questa disposizione, infatti, punisce con la reclusione o con la multa "chiunque, nell'esercizio di una professione sanitaria o forense, o di un altro servizio di pubblica necessità, attesta falsamente in un certificato, fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità" (cfr. Cass pen, Sez. 5, n. 15556 del 09/03/2011; Sez. 5, n. 9578 del 19/01/2006; Sez. 5, n. 22496 del 28/04/2005; Sez. 2, n. 3135 del 26/11/2002, richiamate nella sentenza Cassazione. Penale Sez 5 N.18657/2017).
Falsa sottoscrizione di una procura alle liti
Diversa dalla fattispecie appena richiamata è quella dell'apposizione di una falsa sottoscrizione del cliente su una procura ad litem. Quest'ultimo illecito in passato configurava il reato di falso in scrittura privata ex art. 485 c.p. Questa norma puniva con la reclusione da 6 mesi a 3 anni "chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, formasse, in tutto o in parte, una scrittura privata falsa, o alterasse una scrittura privata vera,[...] qualora ne facesse uso o lasciasse che altri ne facessero uso" e considerava alterazioni "anche le aggiunte falsamente apposte a una scrittura vera, dopo che questa fosse stata definitivamente formata".
Questo reato è stato depenalizzato a opera dell'art.1 del d.lgs. 15 gennaio 2016 n.7, che ha abrogato l'art.485 c.p. Tale illecito ha rilevanza solo sul piano civilistico. L'art.4 dello stesso d.lgs. n.7/2016, infatti, riproduce la fattispecie espunta dal codice penale, sottoponendo a sanzione pecuniaria civile da euro duecento a euro dodicimila chi, facendo uso o lasciando che altri facciano uso di una scrittura privata da lui falsamente formata o da lui alterata, arreca un danno.
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Il mio nome è Rosalba Sblendorio. Sono una persona estroversa e mi piace il contatto con la gente. Amo leggere, ascoltare musica e viaggiare alla scoperta delle bellezze del nostro territorio. Adoro rigenerarmi, immergendomi nella natura e per questo, quando posso, partecipo ad escursioni per principianti. Ho esercitato la professione da avvocato nel foro di Bari. Per molti anni ho collaborato con uno Studio legale internazionale, specializzato in diritto industriale, presso il cui Ufficio di Bari sono stata responsabile del dipartimento civile e commerciale. Mi sono occupata prevalentemente di diritto civile, diritto commerciale e diritto della proprietà intellettuale.