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Processo civile: libertà di forme e principio di sinteticità degli atti

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Inquadramento normativo: Art. 121 c.p.c.; Art. 3, comma 2, c.p.a.

La libertà di forme e il principio di sinteticità degli atti del processo civile: Nel nostro ordinamento vige il principio della libertà di forme degli atti processuali. Secondo detto principio per gli atti del processo per i quali la legge non richiede forme determinate vige la libertà di forma, purché questa sia quella più idonea al raggiungimento del loro scopo. In forza di tale principio, ad esempio, si ritiene che:

  • «un controricorso proposto nel giudizio di legittimità ben può valere come ricorso incidentale, se ha quel contenuto minimo sufficiente al raggiungimento dello scopo, quali i requisiti prescritti dall'art. 371 c.p.c., in relazione ai precedenti artt. 365, 366 e 369, e, in particolare, la richiesta, anche implicita, di cassazione della sentenza, specificamente prevista dall'art. 366 c.p.c., n. 4» (Cass. SU, n. 25045/2016, Cass., n. 20454/2005, richiamate da Cass. civ., n. 8873/2020);
  • in caso di nullità della testimonianza per incapacità del teste che va eccepita subito dopo l'assunzione della prova, rimanendo altrimenti sanata ai sensi dell'art. 157, comma 2, c.p.c., è sufficiente eccepire l'incapacità di un teste dopo la sua assunzione e, quindi, manifestare verbalmente che quel teste è stato assunto contra legem e, dunque, in modo nullo, perché il compimento dell'atto processuale senza il rispetto della regola normativa venga considerato come eccezione di nullità ai sensi dell'art. 156 c.p.c. (Cass. civ., n. 8528/2020). 

Corollario del principio di libertà delle forme su citato è quello di sinteticità degli atti, sebbene quest'ultimo non sia espresso nel processo civile per gli atti di parte. Infatti, tale sinteticità è richiesta in particolare agli atti del giudice «(nei riferimenti alla "concisa" esposizione e alla "succinta" motivazione contenuti negli artr. 132 e 134 c.p.ce 118 disp att. c.p.c.)». Per gli atti di parte le uniche modalità redazionali sono dettate dall'art. 46 disp att. c.p.c., concernenti profili meramente estrinseci (Cass. civ., n. 21297/2016).

Principio di sinteticità degli atti nel processo civile, la ragionevole durata del processo e la leale collaborazione tra le parti e il giudice: «Il principio di sinteticità degli atti processuali (tanto del giudice quanto delle parti) è stato introdotto nell'ordinamento processuale con l'art. 3, comma 2, del codice del processo amministrativo, approvato con il decreto legislativo n. 104/110, alla cui stregua, "il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica"». Questo principio ha una portata generale e pertanto è destinato a operare anche nel processo civile. E ciò in considerazione del fatto che esso:

  • risulta funzionale al rispetto del principio di ragionevole durata del processo;
  • è espressione del principio di leale collaborazione tra le parti processuali e tra queste e il giudice.

(Cass. civ., n. 21297/2016). 

Se gli atti del processo civile fossero prolissi, tale sovrabbondanza graverebbe di oneri superflui sia l'amministrazione della giustizia che le controparti processuali. Infatti atti processuali posti in essere in violazione del principio di sinteticità non sarebbero utili a chiarire i temi del decidere, anzi essi avvolgerebbero gli stessi «in una cortina che ne confonderebbe i contorni e ne impedirebbe la chiara intelligenza. In questo modo, atti prolissi finirebbero per essere impedimento al pieno e proficuo svolgimento del contraddittorio processuale» (Cass. n. 11199/12, richiamata da Cass. civ., n. 21297/2016).

Il mancato rispetto del principio di sinteticità e la sanzione di inammissibilità nel giudizio di legittimità: Per la violazione del principio di sinteticità degli atti processuali non è prevista una specifica sanzione processuale, cosicché, ad esempio, in caso di prolissità di un ricorso per cassazione, detta incontinenza espositiva, anche quando assume caratteri di manifesta eccessività, non determinerà, di per se stessa, l'inammissibilità del ricorso stesso. «La violazione del principio di sinteticità, tuttavia - se non determina di per se stessa l'inammissibilità del ricorso per cassazione, "espone al rischio" [...] di una declaratoria d'inammissibilità dell'impugnazione. Detta violazione, infatti, rischia di pregiudicare la intelligibilità delle questioni sottoposte all'esame della Corte, rendendo oscura l'esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata», soprattutto se il ricorso è stato redatto in violazione anche delle prescrizioni di cui all'art. 366, nn. 3 e 4, c.p.c.., violazioni, queste, assistite da una sanzione testuale di inammissibilità (Cass. civ., n. 212979/2016). In tali casi, questa sanzione di inammissibilità indirettamente diventa anche sanzione per la violazione del principio di sinteticità.

 

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