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Pat, CdS: "irregolari" e non inammissibili ricorso e atti non digitali, giudice tenuto a concedere termine

È quanto in estrema sintesi affermato dal Consiglio di Stato, Sez. IV, con la recentissima sentenza (clicca qui per leggerla) n. 1541 del 4 aprile 2017, con cui si è stabilito che la difformità di alcuni atti di parte dalla regole del Pat (nella specie, la redazione e notifica cartacea senza firma digitale o conformità rispetto ad un eventuale originale informatico, e un deposito tradizionale) non comporta la loro inammissibilità ma si limita ad imporre una regolarizzazione nel termine assegnato dal giudice.
Non si tratta di atti inesistenti o nulli, come affermato in alcune pronunce recentissime dal giudice di primo grado, ma di irregolarità sanabili.

La Sezione – individuata la normativa che regola la materia (art. 136 c.p.a., commi 2 e 2 bis, art. 13, comma 1, dell’allegato 2 delle disposizioni di attuazione del c.p.a., e l’art. 9, commi 1 e 2, d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 (Specifiche tecniche del processo amministrativo telematico) – ha infatti affermato che “la disciplina del Pat, sebbene pienamente in vigore, conserva, infatti, carattere del tutto sperimentale (arg. ex art. 13, comma 1, primo periodo, disp. att. c.p.a.) e, come tale, soggetta alle integrazioni che risulteranno necessarie all’esito della predetta fase.”).
Ciò premesso la Sezione, dopo una ricostruzione della predetta normativa e della portata di ciascuna disposizione, ha escluso che il ricorso non redatto o comunque non sottoscritto in forma digitale, benché certamente non conforme alle prescrizioni di legge, diverga in modo così radicale dallo schema normativo di riferimento da dover essere considerato del tutto “inesistente” perché, anche alla luce del principio di strumentalità delle forme processuali, non si configura in termini di non atto.
La Sezione ha altresì escluso che tale atto di parte possa essere considerato “abnorme”, non solo perché si tratta di categoria sviluppata con riguardo agli atti del giudice ma soprattutto perché sono assenti i tratti essenziali dell’atto abnorme con riguardo alla componente strutturale della fattispecie (essere cioè il provvedimento avulso dall’ordinamento processuale perché portatore di un contenuto totalmente eccentrico e stravagante ovvero emesso del tutto al di fuori dei casi e delle ipotesi consentite) ovvero alla componente funzionale (con riguardo all’atto, che pur in sé non estraneo al sistema normativo, impedisca l’epilogo decisorio o comporti l’inefficienza o l’irragionevole durata del processo).
Infine, la Sezione ha affermato che il ricorso (o l’atto) non redatto o comunque non sottoscritto in forma digitale non è “nullo” atteso che, ai sensi dell’art. 156, comma 1, c.p.c., l’inosservanza di forme comporta la nullità degli atti del processo solo in caso di espressa comminatoria da parte della legge e nella disciplina del Pat manca una specifica previsione di nullità per difetto della forma e della sottoscrizione digitale.
Escluse l’inesistenza, l’abnormità o la nullità, non resta che concludere che, nella vigenza del Pat, gli atti di parte in formato cartaceo e privi di firma digitale sono "irregolari".
Peraltro, ha aggiunto la Sezione, se il ricorso e il deposito sono irregolari perché non assistiti, il primo, dalla forma e dalla sottoscrizione digitale, il secondo, dalla modalità telematica, l’irregolarità che si verifica (diversa da quella per così dire “ordinaria”) non può essere sanata dalla costituzione degli intimati in base all’art. 44, comma 3, c.p.a., secondo cui, in caso di atto irregolare, la costituzione dell’intimato - indipendentemente dalla tempestività della costituzione medesima rispetto al termine concesso al ricorrente per espletare l’adempimento (non venendo in rilievo una fattispecie di nullità) - comporterebbe sempre e comunque la sanatoria dell’atto irregolare.

In allegato la Sentenza per esteso

 

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