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Non vuole lavorare con il padre, Cassazione: figlio va mantenuto lo stesso

Non viene meno il diritto al mantenimento del figlio, maggiorenne ma non ancora autosufficiente economicamente, che rifiuta di lavorare nell´azienda del padre.

Lo ha stabilito la Cassazione rigettando il ricorso di un imprenditore il quale aveva chiesto che fosse ridotto l´assegno stabilito, negli anni precedenti, a favore del figlio, dal Tribunale dei minori dell´Emilia Romagna.

Il ragazzo, ora 24enne, aveva rinunciato al lavoro che gli era stato offerto alle dipendenze del papà, dato il "difficile rapporto" con il genitore: quest´ultimo, dunque, aveva invocato la sussistenza della "colpevole inerzia" del giovane e, mentre il tribunale di Parma gli aveva dato ragione, riducendo la somma dovuta, la Corte d´appello di Bologna aveva ripristinato l´originaria cifra per il mantenimento.

La Cassazione ora interviene nella diatriba tra un cavaliere del lavoro reggiano e l´ex moglie con suo figlio. Il giovane, entrato troppo presto nell´azienda del padre, di 70 anni più vecchio, anziché seguirne le orme si è bloccato: fermato negli studi, infruttuoso sul lavoro.

La sesta sezione civile della Suprema Corte, con una sentenza depositata oggi, ha rigettato il ricorso del padre: i giudici, oltre a ricordare che "il mantenimento non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età ma perdura immutato finchè il genitore interessato non provi che il figlio ha raggiunto l´indipendenza economica o rifiuti ingiustificatamente di cogliere le occasioni ordinarie per raggiungere la propria indipendenza", sottolineano che "l´inserimento di un figlio ancora studente universitario, di giovane età, in un universo produttivo-aziendale di cui sia titolare lo stesso genitore, che con lui sia in conflitto, cessa di essere un´occasione lavorativa ordinaria - si legge nella sentenza - e si trasforma, più propriamente, in una fase della dialettica genitore-figlio, non potendo assumere - osserva la Corte - il significato di un ordinario inserimento lavorativo, sicchè esso, come tale, non testimonia né´ di un inserimento stabile nel mondo del lavoro né di un suo problematico approccio ad esso".

Nel caso di questa famiglia emiliana - ad avviso della sesta sezione civile - il fallimento nel "rapporto del figlio-dipendente con il padre-titolare dell´azienda" non viola il principio guida: infatti l´inserimento troppo precoce, di un figlio ancora studente, "in un universo produttivo-aziendale di cui sia titolare lo stesso genitore, che con lui sia in conflitto", non è "un´occasione lavorativa ordinaria", ma motivo di "dialettica genitore-figlio".


Fonte: Repubblica, 21 dec 2017

 

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