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I giudici della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47456 del 18 ottobre 2018, hanno chiarito che in tema di reati edilizi, la operatività dell'istituto della messa alla prova, richiede necessariamente la eliminazione delle conseguenze dannose dei reati. Pertanto non potrà mai essere accettata la richiesta di messa alla prova avanzata dall'imputato, senza la preventiva e spontanea demolizione dell'abuso edilizio.
I Fatti
Il Tribunale di Firenze dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine al reato di cui all'art. 44 lett. b) del d.P.R. 380/2001, in quanto estinto a seguito di esito positivo del periodo di messa alla prova Avverso la sentenza del Tribunale proponeva appello, convertito in ricorso per cassazione, la Procura che deduceva con un unico motivo, la violazione dell'art. 168 bis cod. pen., rilevando che il Giudice monocratico, avrebbe dovuto pretendere, prima dell' accoglimento della richiesta di messa alla prova, che venissero demolite le opere per opere abusive realizzate.
Motivazione
I giudici di legittimità hanno ritenuto fondata la censura sollevata dal ricorrente.
Gli stessi hanno richiamato una precedente pronuncia della stessa Corte (Sez. 3, n. 39455 del 10/05/2017, Rv. 271642), secondo cui "l'operatività della messa alla prova nei reati edilizi, formalmente ricompresi nella cornice edittale che consente l'applicazione dell'istituto, richiede la necessaria eliminazione delle conseguenze dannose dei reati in questione, ovvero la preventiva e spontanea demolizione dell'abuso edilizio, o comunque la sua riconduzione alla legalità urbanistica ….".
Con riferimento al caso preso in esame , i giudici della Terza Sezione hanno tuttavia osservato che , dal punto di vista processuale, il ricorso proposto dal Pubblico Ministero, come rimedio alla decisione errata del giudice di merito, risulta essere tardivo. Affermano infatti i giudici di legittimità che il P.M avrebbe dovuto proporre l'impugnazione ex comma 7 dell'art. 464 quater cod. proc. pen., subito dopo emissione dell'ordinanza ammissiva alla messa alla prova e non successivamente, quando il giudice aveva già emesso la sentenza di estinzione del reato dopo l'esito positivo della messa alla prova. Da ciò consegue che la doglianza del ricorrente andava sollevata impugnando non la sentenza che, ai sensi dell'art. 464 septies comma 1 cod. proc. pen., ha dichiarato l'estinzione del reato per l'esito positivo della messa alla prova, ma l'ordinanza che, in precedenza, aveva accolto l'istanza di messa alla prova. Alla luce di quanto sopra esposto , il ricorso del Procuratore generale è stato dichiarato inammissibile.
Si allega sentenza
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L´Avv. Giovanni Di Martino, coordinatore dello Studio insieme all´Avv. Pietro Gurrieri, nel 1986 ha conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Catania. Da oltre 25 anni esercita la professione di avvocato con studio in Niscemi (CL) ed è iscritto all´Albo degli avvocati del Consiglio dell´Ordine di Gela oltre che in quello speciale dei Cassazionisti e in quello delle altre Giurisdizioni Superiori.
Ha ricoperto la carica di amministratore del Comune di Niscemi (CL) e quella di Vice Presidente Nazionale della Associazione "Avviso Pubblico Enti Locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie" (2007-2013),
Nel corso della sua carriera professionale ha assunto il patrocinio in favore di numerosi soggetti privati ed enti pubblici sia in sede giudiziaria ed extragiudiziaria, in diverse materie di diritto civile.