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Quando il "capo" usa violenza (sessuale) alla dipendente: Cassazione su elementi di "credibilità"

Sul tema, estremamente delicato in fase processuale e riguardante un fenomeno triste e, purtroppo, largamente diffuso, si è espressa la Corte di Cassazione, sezione Lavoro con sentenza 25 ottobre 2016 – 6 febbraio 2017, n. 5436.
Con tale Sentenza i Supremi Giudici ribadendo quanto già enunciato in Appello, precisano che la credibilità della persona offesa, messa seriamente in dubbio, nel caso in esame era desumibile, in particolare, dal comportamento tenuto dopo i fatti contestati, avendo ella immediatamente rassegnato le proprie dimissioni dal posto di lavoro; la decisione di dimettersi da un posto di lavoro sicuro, da parte di una giovane donna, a pochi giorni dalla propria assunzione, ed in zone afflitte da endemica disoccupazione giovanile, è stata correttamente ritenuta indice di genuinità del narrato accusatorio; inoltre, le incongruenze ritenute dal primo giudice sono state valutate in termini di "lievi imprecisioni", alla luce altresì della rinnovazione dell´istruttoria dibattimentale, e dell´audizione della vittima.

Antefatto

La Corte di Appello di Salerno, in riforma della sentenza di assoluzione del Tribunale di Nocera Inferiore, condannava S. A. per il reato di cui all´art. 609 bis, comma 3, cod. pen., per avere, con violenza, costretto la dipendente D. R. A. a subire atti sessuali consistiti nel palpeggiamento del seno e delle natiche.
Avverso tale provvedimento il difensore di S. A., ha proposto ricorso per cassazione, deducendo il vizio di motivazione relativamente alla valutazione probatoria operata dalla Corte territoriale, con giudizio di credibilità della persona offesa difforme rispetto a quello formulato dal giudice di primo grado.
Lamentando, in particolare, che la sentenza di assoluzione di primo grado avesse rilevato diverse e gravi incongruenze nella deposizione della persona offesa, mentre, al contrario, la sentenza impugnata avesse ritenuto il racconto lineare, circostanziato e riscontrato ab estrinseco sulla base della nuova audizione disposta nel dibattimento di appello.

Motivi della decisione

I Supremi Giudici sottolineano come gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito era pervenuto attraverso l´esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non potevano essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente. Ebbene, esclusa l´ammissibilità di una rivalutazione del compendio probatorio, viene ribadito che la sentenza impugnata ha fornito logica e coerente motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, con argomentazioni prive di illogicità e di contraddittorietà.
In particolare, con riferimento ai tre profili che erano stati valorizzati dal giudice di primo grado, e riproposti con il ricorso in esame, per affermare l´inattendibilità della persona offesa, la sentenza impugnata ha ritenuto, sulla base della deposizione della vittima, che la permanenza in ufficio dopo l´aggressione era stata determinata dal sopraggiungere degli altri colleghi - tra cui la B., fidanzata e attuale moglie dell´imputato, e la M. -; circostanza che, pur rassicurando la donna in ordine ad ulteriori aggressioni, la tratteneva dall´allontanarsi dal luogo di lavoro, in quanto avrebbe dovuto spiegarne il motivo e raccontare i fatti, non fidandosi di loro, poiché si trovava in un luogo in cui il S. era presente ed era il loro datore di lavoro; in ordine alla tardività della querela, la persona offesa ha riferito di essersi recata immediatamente presso la Stazione CC, come riscontrato dal padre, che la accompagnò anche al Pronto soccorso, e che la decisione di formalizzare la denuncia dopo qualche giorno era legata all´invito del maresciallo a riflettere, poiché i fatti non erano molto gravi e non vi erano testimoni.
Il ricorso è stato quindi dichiarato inammissibile dai Giudici di Piazza Cavour con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Si allega Sentenza.

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