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Lottare contro il razzismo

rizzo

Ci si chiederà: ma ha ancora senso parlare di razzismo nel 2020? E la domanda non è retorica. E' sufficiente riflettere un attimo su tutto ciò che sta avvenendo in Italia, proprio in queste ultime settimane.

Una riflessione a tutto campo, non tanto per convincere un immaginario interlocutore che del razzismo ha sempre minimizzato ogni e qualsiasi iniziativa.

Non tanto per ricordare che il nostro paese ha scelto la data del 27 gennaio per ricordare gli oltre dieci milioni di persone che sono stati massacrati nei vari campi di sterminio europei.

Una tragedia che l'umanità continua a ripetere con "…il genocidio, la pulizia etnica, il razzismo, la xenofobia, l'antisemitismo". Nonostante siano passati 75 anni

E non è difficile rendersi conto che "Mein Kampf" di Adolf Hitler trova ancora dei proseliti.

Eravamo sul finire del secolo scorso è un'ondata di razzismo invade un po' tutti i Paesi europei e i governi preoccupati cercano strade, non percorse prima, per affrontare la situazione. E si cerca di iniziare dalle scuole istituendo la Giornata della Memoria a partire dal 27 gennaio del 2000.

La scelta del 27 gennaio non è casuale, ma vuole mettere in risalto la liberazione da parte dell'Armata Rossa del campo di concentramento di Auschwitz. 

Cosi è diventata, quella giornata, un appuntamento importantissimo del calendario scolastico, mettendo in risalto, soprattutto, l'articolo 2 della legge, che recita: «In occasione del 'Giorno della Memoria' di cui all'articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere».

Per un giovane, per chi oggi ha vent'anni, non è semplice comprendere la complessità di quegli anni, una contestualizzazione degli avvenimenti. Il tempo ha quasi cancellato, dalla memoria collettiva, quella tragedia. Una certa rivisitazione storiografica, in questi ultimi anni, ha finito per seminare dubbi ed incertezze ed il ricordo di quegli orrori sta quasi scemando.

Ed oggi assistiamo a sindaci che negano un contributo a tre studenti per recarsi, in gita scolastica, ad Auschwitz.

Per non parlare della senatrice Segre quasi novantenne, che ad Auschwitz era stata internata e che oggi vive sotto scorta.

Ci sono moltissimi libri per aiutare i nostri scolari ad essere più tolleranti, ad apprezzare la diversità, componente importantissima per apprezzare la ricchezza e la bellezza della vita.

Tahar Ben Jelloun, nato in Marocco nel 1944, scrittore di chiara fama, vive a Parigi, sposato con quattro figli, di cui Merièm è la prima genita.

Nel 1998 pubblica da Bompiani "Il razzismo spiegato a mia figlia".

"Ho avuto l'idea di scrivere questo testo il 22 febbraio 1997 quando sono andato con mia figlia alla manifestazione contro il progetto di legge Debré sull'ingresso e sul soggiorno degli stranieri in Francia. Mia figlia, che ha dieci anni, mi ha fatto molte domande. Voleva sapere perché si manifestava, cosa significavano certi slogan, se potesse servire a qualcosa sfilare per strada protestando, eccetera".

Ma arrivati a casa e riletti gli appunti il padre/scrittore ha dovuto riscrivere quegli appunti perché si accorge che il linguaggio non è quello adatto alla figlioletta di 10 anni.

Tahar Ben Jelloun ricorda alla figlia un viaggio in Senegal di qualche anno prima.

E la bimba ricorda: "Ma i senegalesi non avevano paura di me, né io di loro".

Il padre risponde: "Eh già, perché la mamma ed io ti abbiamo spiegato che non devi avere paura degli stranieri, siano ricchi o poveri, grandi o piccoli, bianchi o neri. Non dimenticartelo. Si è sempre stranieri per qualcuno, cioè si è sempre percepiti come qualcuno di estraneo da chi non è della nostra cultura". 

Cosi è diventata, quella giornata, un appuntamento importantissimo del calendario scolastico, mettendo in risalto, soprattutto, l'articolo 2 della legge, che recita: «In occasione del 'Giorno della Memoria' di cui all'articolo 1, sono organizzati cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell'Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere».

Per un giovane, per chi oggi ha vent'anni, non è semplice comprendere la complessità di quegli anni, una contestualizzazione degli avvenimenti. Il tempo ha quasi cancellato, dalla memoria collettiva, quella tragedia. Una certa rivisitazione storiografica, in questi ultimi anni, ha finito per seminare dubbi ed incertezze ed il ricordo di quegli orrori sta quasi scemando.

Ed oggi assistiamo a sindaci che negano un contributo a tre studenti per recarsi, in gita scolastica, ad Auschwitz.

Per non parlare della senatrice Segre quasi novantenne, che ad Auschwitz era stata internata e che oggi vive sotto scorta.

Ci sono moltissimi libri per aiutare i nostri scolari ad essere più tolleranti, ad apprezzare la diversità, componente importantissima per apprezzare la ricchezza e la bellezza della vita.

Tahar Ben Jelloun, nato in Marocco nel 1944, scrittore di chiara fama, vive a Parigi, sposato con quattro figli, di cui Merièm è la prima genita.

Nel 1998 pubblica da Bompiani "Il razzismo spiegato a mia figlia".

"Ho avuto l'idea di scrivere questo testo il 22 febbraio 1997 quando sono andato con mia figlia alla manifestazione contro il progetto di legge Debré sull'ingresso e sul soggiorno degli stranieri in Francia. Mia figlia, che ha dieci anni, mi ha fatto molte domande. Voleva sapere perché si manifestava, cosa significavano certi slogan, se potesse servire a qualcosa sfilare per strada protestando, eccetera".

Ma arrivati a casa e riletti gli appunti il padre/scrittore ha dovuto riscrivere quegli appunti perché si accorge che il linguaggio non è quello adatto alla figlioletta di 10 anni.

Tahar Ben Jelloun ricorda alla figlia un viaggio in Senegal di qualche anno prima.

E la bimba ricorda: "Ma i senegalesi non avevano paura di me, né io di loro".

Il padre risponde: "Eh già, perché la mamma ed io ti abbiamo spiegato che non devi avere paura degli stranieri, siano ricchi o poveri, grandi o piccoli, bianchi o neri. Non dimenticartelo. Si è sempre stranieri per qualcuno, cioè si è sempre percepiti come qualcuno di estraneo da chi non è della nostra cultura". 

 

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