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Lorenzo Marotta: “Le ali del vento” Una ricerca della memoria perduta

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 Lorenzo Marotta vive e lavora ad Acireale. Docente di filosofia, è stato preside di licei ed Istituti superiori come "Il Montale" di San Donà di Piave, Il "Benedetti" di Venezia, il "Verga" di Adrano ed infine l'ITIS "Ferraris" e lo Scientifico "Archimede" di Acireale.

Una vita passata tra la Scuola e la scrittura e la poesia.

Marotta ha pubblicato parecchi romanzi.

"Le ali del vento", 2012, in questa sua opera prima, dimostra di conoscere la molteplicità e la ricchezza del linguaggio per cui, in questa sua opera prima, troviamo tutta una molteplicità di sentimenti efficaci a comporre un testo, per certi aspetti, interessante che si muove tra diversi ambienti che vanno dal regionalismo all'europeismo. Ed in questo testo ne troviamo schegge intriganti.

Ma chi è Lorenzo Marotta?

Originario di Aidone, erede della splendida Morgantina, vive a lavora ad Acireale. Ha collaborato alle pagine culturali diversi quotidiani dal "Gazzettino" a "La Provincia di Como" da "La Sicilia" al "Giornale di Sicilia".

 Una storia semplice, potremmo definire questo "Le ali del vento", un bisogno dell'autore di lasciare, ed affidare, traccia e schegge della sua memoria alla memoria collettiva.

Antonio figlio di una famiglia benestante di Aidone, si reca negli Stati Uniti per un master di filosofia e durante una mostra in una galleria d'arte incontra Laura, laureata in lingue straniere.

Quando tutto sembrava filare liscio secondo i canoni degli "incontri importanti" della nostra vita, Antonio, improvvisamente è costretto a rientrare in Italia per l'improvvisa morte del padre. Non avendo alcun recapito di Laura non l'ha potuto avvisare, per cui si perdono di vista.

Dopo alcuni anni Antonio viene chiamato ad insegnare all'Università di Venezia e, in occasione di un Convegno internazionale, organizzato dalla Fondazione Cini di Venezia, "Scrittura Tradizioni Valori" a cui avrebbero preso parte studiosi ed intellettuali di mezzo mondo.

Il titolo del Convegno sottende, se così possiamo dire, l'intero procedere della narrazione del libro di Marotta.

Una scrittura asciutta, senza grandi ricercatezze linguistiche, di immediata e sofferta comprensione. Una scrittura non ripetitiva o monotona, che affronta una tematica estremamente varia e complessa, a tratti con moti di poesia interessanti.

Le tradizioni, buone e genuine del passato, sono affidate ai comportamenti e ai racconti del padre Vincenzo, che aveva realizzato una fortuna con l'agricoltura. Un uomo che "… aveva avuto una vita sana, fatta di lavoro e di dedizione alla famiglia". 

 Del vecchio mondo, di ciò che c'è stato prima, quelli che come me sono nati tra gli anni trenta e quaranta del secolo scorso, hanno fatto in tempo a vederne l'ultimo scorcio, a viverci dentro un po' e forse proprio perché l'abbiamo guardato con gli occhi dell'infanzia, forse perché è durato così poco, ci sembra che fosse tanto bello. Non solo. Ma ci offre la possibilità di una riflessione su una realtà socioeconomica in cui i sentimenti, la parola data, i doveri erano vissuti in una dimensione oggi, forse, collocata in un mondo dal sapore giurassico. Lorenzo Marotta ha il dono di descriverci il mondo contadino con tutta la sua grande umanità dandoci un affresco di quel mondo tanto caro e tanto amato.

"In paese veniva stesi al sole i fichi e i pomodori per essiccarli e conservarli per l'inverno. Qualcuno aveva fatto la salsa da mettere nelle bottiglie ed anche l'estratto di pomodoro per il sugo buono durante le feste di Natale".

I valori sono sempre presenti con le sue contraddizioni e con i suoi paradossi.

Il periodo veneto di Antonio coincide con gli Anni Settanta, con le proteste studentesche, con i cattivi maestri delle teorie ideologiche del tempo e l'Università di Padova, soprattutto, ne contava un buon numero.

Antonio era un uomo di scuola che: "Non si capacitava come dei politici miopi ed incolti avessero potuto massacrare con le loro pseudo riforme una scuola che aveva avuto un Francesco De Sanctis, un Giovanni Gentile, un Benedetto Croce, un Luigi Pirandello, le cui opere erano invidiate nel mondo intero. Il gusto per la lettura non abitava più nei ragazzi. La lingua era devastata da un impoverimento lessicale e concettuale sempre più impressionante. Non si trattava più di assaporare il 'senso' di una lettura, ma di semplice conoscenza e di condivisone dei segni linguistici primari".

Urgeva, per dirla con Gesualdo Bufalino, ridare dignità alla "parola" e ripercorrere gli antichi processi che hanno portato l'uomo all'amore del "sapere per il sapere". Un problema drammaticamente impressionante e di impressionante attualità.

La lettura di questo testo ci ha portato a capire tante cose: atteggiamenti e sentimenti che sfiorano il nostro animo e che non sempre trovavano risposte adeguate.

Ma il Convegno della Fondazione Cini, oltre a nutrire lo spirito di Antonio, riserva un'apparizione non preventivata: riappare improvvisamente Laura, presente al Convegno, in qualità di traduttrice.

Si riaccende la fiamma, nonostante Laura sia sposata, un matrimonio con un bravo giovane, consacrato più per simpatia che per amore. L'amore vero, quello di Antonio e di Laura, ha dei risvolti, a volte drammatici, a volte intensi e pieni di passione con un esito che non racconteremo per non togliere la sorpresa ai lettori.

 

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