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La Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense non può più contestare il requisito della continuità della professione se sono decorsi oltre cinque anni dall'adempimento, da parte del professionista, degli obblighi di comunicazione previsti dagli artt. 17 e 23, L. n. 576/1980.
Questo è quanto ha statuito la Corte di Cassazione con ordinanza n. 31754 del 4 novembre 2021.
Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta ai Giudici di legittimità.
I fatti di causa
La ricorrente ha impugnato la sentenza della Corte d'Appello, con cui quest'ultima autorità ha confermato la pronuncia di primo grado che ha rigettato la domanda giudiziale formulata dalla stessa ricorrente. In buona sostanza, quest'ultima, dinanzi al Giudice di prime cure, ha chiesto:
Il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione.
Ripercorriamo l'iter logico-giuridico seguito da quest'ultima autorità.
La decisione della SC
La ricorrente lamenta, tra l'altro, che la Corte d'Appello ha ritenuto tempestiva l'adozione della delibera della Giunta esecutiva della Cassa forense, con cui le è stata contestata la continuità dell'esercizio della professione in relazione all'anno 2000. A dir della ricorrente, tale contestazione non è tempestiva, essendo la delibera intervenuta nel 2007, ossia ben oltre il termine di cinque anni di cui all'art. 22, I. n. 576/1980. In punto, i Giudici di legittimità richiamano un orientamento della giurisprudenza riguardante il trattamento pensionistico degli ingegneri e architetti liberi professionisti iscritti alla Cassa di previdenza professionale. Secondo detto orientamento il termine quinquennale per le verifiche del requisito della continuità nell'esercizio della professione, previsto dall'art. 21, penultimo comma, L. n. 6/1981, ai fini dell'anzianità dell'iscrizione, ha natura di termine di decadenza, che decorre dalla data in cui il professionista ha presentato la prescritta dichiarazione sostitutiva funzionale all'esercizio della potestà di verifica (Cass. n. 16252 del 2018). A parere della Corte di Cassazione il principio enunciato nel su citato orientamento può essere esteso anche al termine di cui all'art. 22, L. n. 576/1980, ossia al termine per la verifica del requisito di continuità nell'esercizio della professione forense. Tale estensione è possibile in quanto il richiamato art. 22 contiene una disposizione di contenuto analogo a quella di cui all'art. 21, penultimo comma, L. n. 6/1981 (Cass. n. 3319 del 2006). Ne consegue che il termine in questione ha natura decadenziale e, pertanto, allo stesso non possono trovare applicazione le previsioni in tema di interruzione della prescrizione (art. 2964 c.c.). E ciò in considerazione del fatto che la decadenza può essere evitata solo attraverso il compimento dell'atto previso dalla legge (art. 2966 c.c.).
Con l'ovvia ulteriore conseguenza che ove Cassa forense non eserciti la facoltà di revisione prevista dall'art. 22, citato, e l'interessato abbia adempiuto agli obblighi di comunicazione previsti dagli artt. 17 e 23, L. n. 576/1980, l'ente previdenziale in questione non potrà più contestare il requisito della continuità della professione per i periodi anteriori al quinquennio precedente la domanda di pensione (Cass. S.U. n. 13289 del 2005). Orbene, tornando al caso di specie, ad avviso della Suprema Corte, i Giudici d'appello hanno errato in quanto, confermando la pronuncia del Giudice di prime cure, hanno dato rilievo a una nota da Cassa forense trasmessa nel 2002 contenente i) i prospetti riepilogativi dei redditi dichiarati dalla ricorrente negli anni 1997-2000 e ii) l'invito a verificarne l'esattezza prima dell'inoltro alla Giunta esecutiva. Un rilievo che tale nota non avrebbe potuto avere ai fini delle verifiche del requisito della continuità di cui all'art. 22, L. n. 576/1980 e della loro tempestività perché la delibera della Giunta esecutiva è intervenuta solo nel 2007, ossia oltre il termine di cinque anni decorrenti dall'adempimento, da parte del professionista, degli obblighi di comunicazione previsti dagli artt. 17 e 23, L. n. 576/1980. Non avendo l'ente previdenziale in esame esercitato tale facoltà nei termini suddetti, la Corte d'appello ha errato nel confermare la decisione di primo grado, con l'ovvia conseguenza che i Giudici di legittimità hanno cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello, in diversa composizione.
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Il mio nome è Rosalba Sblendorio. Sono una persona estroversa e mi piace il contatto con la gente. Amo leggere, ascoltare musica e viaggiare alla scoperta delle bellezze del nostro territorio. Adoro rigenerarmi, immergendomi nella natura e per questo, quando posso, partecipo ad escursioni per principianti. Ho esercitato la professione da avvocato nel foro di Bari. Per molti anni ho collaborato con uno Studio legale internazionale, specializzato in diritto industriale, presso il cui Ufficio di Bari sono stata responsabile del dipartimento civile e commerciale. Mi sono occupata prevalentemente di diritto civile, diritto commerciale e diritto della proprietà intellettuale.