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Con l'ordinanza n. 15443 dello scorso 3 giugno in materia di compensi professionali, la VI sezione civile della Corte di Cassazione, ha accolto il ricorso di un legale che, in relazione all'attività da lui svolta quale difensore d'ufficio, si doleva per l'esiguo importo liquidato dal giudice senza fornire adeguata motivazione dell'eliminazione e della riduzione di voci operata.
Si è difatti specificato che "il potere del giudice di scendere al di sotto, o di salire al di sopra, dei limiti risultanti dall'applicazione delle massime percentuali di scostamento può essere esercitato solo sulla scorta di apposita e specifica motivazione. Il giudice, quindi, anche in assenza di nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, deve indicare il sistema di liquidazione adottato, con la tariffa applicata, non potendo limitarsi ad una determinazione globale di tali compensi senza indicazione delle voci non considerate o ridotte".
Nel caso sottoposto all'attenzione della Cassazione, un legale, a seguito della sostituzione di un difensore d'ufficio, chiedeva la liquidazione del compenso per l'attività svolta.
A tal fine deduceva di aver effettuato le seguenti attività: richiesta di un decreto ingiuntivo, notifica del decreto e dell'atto di precetto, esecuzione mobiliare, procedimento ex art. 492 bis c.p.c. e esecuzione mobiliare presso terzi.
Il Tribunale di Lecce, in parziale accoglimento delle richieste dell'avvocato, liquidava le spese necessarie per il recupero del credito nella misura complessiva di Euro 600,00.
Il legale, ricorrendo in Cassazione, censurava l'illegittimità del provvedimento, per violazione degli articoli 82 e 116 del D.P.R. n. 115/2002, nonché dell'articolo 2333 comma 2 c.c., per avere il Tribunale liquidato i compensi per l'attività svolta per il recupero del credito in modo parziale e forfettario, senza tener conto dell'attività effettivamente svolta, in tal modo arrecando lesione al decoro professionale.
La Cassazione condivide le doglianze del ricorrente.
In punto di diritto, la Corte evidenzia che il D.M. n. 55 del 2014 indica i parametri medi del compenso professionale dell'avvocato, dai quali il giudice si può discostare, purché si mantenga tra il minimo ed il massimo risultanti dall'applicazione delle percentuali di scostamento, previste dall'art. 4, comma 1, di tale decreto; di converso, il potere del giudice di scendere al di sotto, o di salire al di sopra, dei limiti risultanti dall'applicazione delle massime percentuali di scostamento può essere esercitato solo sulla scorta di apposita e specifica motivazione. Il giudice, quindi, anche in assenza di nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, deve indicare il sistema di liquidazione adottato, con la tariffa applicata, non potendo limitarsi ad una determinazione globale di tali compensi senza indicazione delle voci non considerate o ridotte.
Con specifico riferimento al caso di specie, gli Ermellini evidenziano che in presenza di una nota specifica, il Tribunale non poteva limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato in misura inferiore a quelli esposti, ma aveva l'onere di dare adeguata motivazione dell'eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l'accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione all'inderogabilità dei relativi minimi, a norma dell'art. 24 della legge n. 794 del 1942.
Diversamente il giudice di primo grado, dopo aver enunciato specificamente le attività svolte dal difensore d'ufficio per il recupero del credito, ha liquidato il compenso in modo unitario ed omnicomprensivo, senza indicare le ragioni della decurtazione.
In conclusione, la Corte accoglie il ricorso, cassa l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Lecce in diversa composizione.
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