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Le partite di calcio non sono pubbliche riunioni

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Con la sentenza n. 31322/2018, la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha stabilito che l'inosservanza del divieto di partecipare a pubbliche riunioni da parte del soggetto sottoposto alla misura di sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non integra il reato previsto dall'art. 75 comma 2, d.lgs. 159/2011.

Il G.u.p. del Tribunale di Matera aveva condannato il ricorrente per il delitto di cui all'art. 75 co. 2 d.lgs 159/2011 che sanziona con pena detentiva chi contravviene al divieto di partecipare a pubbliche riunioni, ad esempio presentandosi allo stadio per la partita di calcio.                                                               

Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione avverso tale pronuncia ritenendola erronea in punto di diritto.   Il Tribunale di Matera infatti erroneamente aveva qualificato come pubblica riunione la manifestazione sportiva che invece era carente del requisito della abitualità della riunione, richiesta dalla disposizione sanzionatoria.                                                     

Il ricorrente osservava che un'interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione sanzionatoria avrebbe, infatti, comportato la sua non punibilità poiché l'ampiezza della misura di sicurezza avrebbe dovuto comunque essere bilanciata con il diritto costituzionalmente tutelato di libera associazione.

La Corte di Cassazione, nell'accogliere il ricorso, effettua una pregevole ricognizione anche del diritto internazionale, dimostrando la continua integrazione tra i due ordinamenti, quello europeo e quello interno nel procedimento ermeneutico di definizione interpretativa di una disposizione penale.


 DIRITTO

Nel ricordare suoi precedenti specifici, favorevoli alla inclusione delle manifestazioni calcistiche nella definizione di pubblica riunione, la Corte osserva che tutti sono antecedenti alla decisione della Corte EDU del 23 febbraio 2017 sul caso de Tommaso contro Italia.

La Corte EDU in quella occasione aveva proprio esaminato la normativa in oggetto rispetto ai parametri di tassatività e determinatezza della legge penale, richiesti dall'art. 7 CEDU, come corollari e garanzie di legalità della sanzione e diritti fondamentali dell'individuo.   Una legge non può dirsi tale, secondo l'ottica dei giudici europei, se non è formulata in maniera tale da permettere ai cittadini di regolare la loro condotta sulla base dei suoi precetti.  Occorre infatti, che sia possibile, con un ragionevole grado di probabilità, prevedere le conseguenze giuridiche della propria condotta.   Ciò garantisce i consociati anche da possibili ingerenze di autorità pubbliche.  In tema, ha poi evidenziato come i contenuti del d.lgs. 159/2011 (e prima l. n. 1423/1956) fossero redatti in termini vaghi ed eccessivamente ampi. 

La normativa era dunque da considerarsi non conforme ai parametri convenzionali e non avrebbe pertanto potuto limitare la libertà di circolazione del soggetto - che fosse stato sottoposto a tale misura di sicurezza - in maniera legittima.

Nel dibattito erano poi state chiamate  ad intervenire le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione, le quali aveva precisato le ricadute interne dell'affermazione di tale principio.

La Corte aveva concluso nel senso di ritenere che le prescrizioni del "vivere onestamente" e "rispettare le leggi" da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non potevano configurare il reato di cui all'art. 75 per integrare il quale era invece necessaria una violazione ad una prescrizione c.d. specifica.                                                    Alla luce di questi presupposti, la Corte ha ritenuto che fosse necessaria una lettura tassativizzante del divieto di partecipare a pubbliche riunioni, attribuendo all'elemento descrittivo della fattispecie un significato proprio e specifico alla luce dell'ordinamento nazionale nel suo complesso, affinché il precetto fosse sottratto - per quanto possibile - ad una eccessiva discrezionalità del giudice.

Tale operazione ha rilievo costituzionale poiché il contenuto incerto della disposizione non sarebbe in grado di orientare il comportamento dei consociati in via preventiva e la sanzione sarebbe assolutamente priva della funzione rieducativa finendo invece per mantenere solo quella di "prevenzione generale mediante intimidazione" [così si esprime la Corte in un precedente richiamato dalla pronuncia in commento].

La Corte, però, all'esito di tale pregevole ricostruzione della finalità dell'interpretazione delle disposizioni sanzionatorie, pur escludendo l'inclusione delle manifestazioni sportive calcistiche nel concetto più ampio di pubbliche riunioni, non indica i criteri con cui è giunta a tale risultato ermeneutico. 

 

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