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La capacità lavorativa di un figlio sgrava il genitore dall´obbligo di mantenerlo

Moscuzza

 

E´ possibile che una figlia abbandoni un lavoro a tempo indeterminato per accettare un lavoro a tempo determinato come magazziniera, e dopo averlo perso si imbatta nel rifiuto del genitore di darle un aiuto economico?
Ebbene con ordinanza n. 6509/2017, la Cassazione appoggiava le ragioni del padre, che evidentemente non aveva intenzione di rispondere alla pretesa della figlia a che venisse ancora mantenuta come una giovane ragazza che non ha ancora l´età di mettere piede nel mondo del lavoro. A sostegno della sua pretesa, peraltro avallata dalla madre, la donna adduceva dei problemi psichici (tra l´altro poi irrilevanti al fine del mantenimento) che la Corte d´ Appello non ha potuto neanche valutare data l´assenza della loro prova e del fascicolo di parte.
La ricorrente già perdente in appello, chiedeva alla Suprema Corte un ulteriore esame della faccenda, armandosi di non poche argomentazioni (tutte disattese) per provare a spuntarla: un vizio di rito, cioè sulle norme di procedura; il vizio ex art. 360 c.p.c.; ancora, un difetto di motivazione. Ora per eccepire un vizio di motivazione, questa sarebbe dovuta essere o totalmente mancante, o apparente, o sostanziarsi in un contrasto tra due affermazioni inconciliabili, oppure ancora essere perplessa e obiettivamente incomprensibile. Ma la Corte così aveva motivato la sentenza : non si nega l´obbligo di mantenimento in capo al genitore, a meno che il figlio abbia raggiunto la capacità lavorativa che gli consenta di avere un´indipendenza economica garantita da un´occupazione, che qualora persa, non fa rivivere l´obbligo del genitore. E sul punto in altre occasioni, la Corte aveva avuto modo di pronunciarsi nel medesimo modo (n. 1761 del 28/1/2008 e n. 26259 del 2/12/2005).
Nel caso di un ritorno in capo al padre di tale obbligo, si attuerebbe una regressione nel naturale processo di crescita ed emancipazione di un figlio, nonché si configurerebbe nuovamente in capo all´obbligato un peso economico da cui ormai lo stesso si vedeva sganciato.
Nel caso di specie, la figlia perdeva sì un´occupazione, ma avendo prima volontariamente rinunciato ad una attività a tempo indeterminato che già svolgeva, per cercarne un´altra che dopo, sfortunatamente, si trovava a perdere.
Se da un canto appare opinabile la scelta azzardata della figlia, che ha rischiato il certo per l´incerto, forse un po´ meno discutibile appare la presa di posizione del genitore qui chiamato in causa, che abbandonando una logica paternalistica, ha perlomeno contribuito in piccolissima parte a che venisse strappata all´Italia la nota etichetta di "paese di mammoni"
 
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´ Università degli studi di Messina, nell´anno 2015
 
 
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