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L'avvocato nell'atto giudiziario non può ricorrere a giochi di parole riguardo al nome del magistrato

L'avvocato nell'atto giudiziario non può ricorrere a giochi di parole riguardo al nome del magistrato

L'avvocato deve essere autorevole nel suo ruolo e di questo il professionista ne deve essere consapevole. Tale autorevolezza risiede non solo e non tanto nella sua preparazione e nel suo personale talento ma anche nell'onestà e correttezza del suo comportamento. Una correttezza questa, il cui rispetto, va non solo a tutela del singolo avvocato, ma dell'intera avvocatura. Per questo il comportamento del professionista, oltre a essere rispettoso dei canoni deontologici, deve altresì sempre apparire tale. Con l'ovvia conseguenza che il ricorrere, da parte di un avvocato, a giochi di parole in un atto giudiziario, con riferimento al nome dell'autore del provvedimento impugnato, non potrà essere letto da soggetti terzi come rispettoso della figura professionale dell'avvocato e apparire necessario e corretto.

Questo è quanto ha statuito il Consiglio nazionale forense (CNF) con sentenza n. 84 del 28 aprile 2021 (https://www.codicedeontologico-cnf.it/GM/2021-84.pdf).

Ma vediamo nel dettaglio la questione.

I fatti di causa.

L'avvocato ricorrente è stato destinatario del provvedimento sanzionatorio dell'avvertimento per:

  • aver tenuto nello svolgimento dell'attività professionale, comportamenti compromettenti l'immagine della professione forense, in relazione al proprio atto di opposizione alla richiesta di archiviazione prodotto in un procedimento penale […], nel quale sarebbero state riportate espressioni gravemente sconvenienti e offensive nei confronti del Pubblico Ministero. Lo scritto del professionista rivisiterebbe le espressioni utilizzate dall'indagato riadattandole come rivolte nei confronti della persona del Pubblico Ministero, giocando con il suo cognome [...] e così cogliendo l'occasione per affermare che lo stesso P.M. emetterebbe provvedimenti di archiviazione ogni qualvolta [...] chiamato a indagare sui potenti di turno […];
  • non avere osservato, pur essendone tenuto, nell'esercizio dell'attività professionale, i doveri di lealtà, correttezza, probità, decoro, dignità, nella salvaguardia della propria reputazione e della immagine della professione forense, a causa del suddetto [...] comportamento;
  • avere usato espressioni gravemente sconvenienti e offensive nel predetto atto di opposizione alla richiesta di archiviazione; espressioni, queste, che manifesterebbero un comportamento non improntato a dignità e rispetto, come invece è imposto nei reciproci rapporti con i magistrati.

Il caso è giunto dinanzi al CNF.

La decisione della CNF

Innanzitutto occorre far rilevare che un avvocato, nell'ambito della propria attività difensiva, può esporre le ragioni a sostegno della tesi difensiva improntata per la parte assistita, ricorrendo agli strumenti processuali di cui dispone. Il diritto della difesa, però, incontra un limite insuperabile, ossia il diritto della controparte o del giudice a non vedersi offeso o ingiuriato (Consiglio Nazione Forense, sentenza del 3 agosto 2017 n.111). Ne consegue che:

  • la tutela del diritto di difesa e critica, il cui esercizio non può travalicare i limiti della correttezza e del rispetto della funzione, non può tradursi, ai fini dell'applicazione della relativa 'scriminante', in una facoltà di offendere, dovendo in tutti gli atti e in tutte le condotte processuali rispettarsi il dovere di correttezza, anche attraverso le forme espressive utilizzate;
  • la fermezza e i toni accessi utilizzati da un avvocato nel sostenere la difesa del suo cliente o nel criticare o contrastare le decisioni impugnate non possono integrare una condotta in violazione dei doveri di probità e lealtà, che, sebbene non offensiva, lederebbe comunque la dignità della professione (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 6 giugno 2015 n.78);
  • l'esercizio di difesa non esonera l'avvocato dal rispetto delle norme deontologiche nella redazione dell'atto.

Orbene, tornando al caso di specie, secondo il Consiglio nazionale forense, il Consiglio distrettuale di disciplina, che ha emesso il provvedimento sanzionatorio nei confronti dell'avvocato ricorrente, ha tenuto conto delle suddette considerazioni, giungendo a ritenere che costituisce comportamento deontologicamente rilevante non solo l'uso delle espressioni considerabili 'offensive' e che vanno oltre i su esposti limiti, bensì anche l'uso di quelle espressioni che inducono il lettore a percepirle quali 'sconvenienti'. Il rispetto della deontologia non soltanto deve essere concretamente accertato, ma a tal fine rileva altresì l'apparenza del comportamento criticato, ossia la percezione che dall'esterno di esso si abbia. Ad avviso, del Consiglio nazionale forense, infatti, l'autorevolezza di un avvocato, consapevole del suo ruolo, risieda non solo e non tanto nella sua preparazione, nel suo personale talento ma nell'onestà e correttezza del suo comportamento. La corrispondenza di quest'ultimo ai canoni deontologicamente stabiliti è a tutela non del singolo avvocato, ma dell'intera avvocatura, ed è per tale motivo che il comportamento del professionista non soltanto debba essere rispettoso di tali canoni, ma debba altresì sempre apparire tale. Non pare che il ricorrere a giochi di parole nel corso di un atto giudiziario con riferimento al nome dell'autore del provvedimento impugnato possa essere letto da soggetti terzi come rispettoso della figura professionale dell'avvocato e apparire necessario e corretto. Nel caso in esame, pertanto, legittima appare la sanzione irrogata nei confronti del professionista, all'esito dell'istruttoria del procedimento disciplinare. Una sanzione, questa, che ha tenuto conto anche del comportamento del ricorrente, il quale più volte si è dimostrato essere mortificato e rammaricato. Ciononostante detta sanzione, poiché l'illecito disciplinare non rientra tra quelli lievi o scusabili, non potrà essere mitigata al richiamo verbale, che peraltro non ha carattere di sanzione disciplinare (Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 22 novembre 2018 n.141). 

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, il Consiglio nazionale forense ha respinto il ricorso dell'avvocato e confermato il provvedimento sanzionatorio impugnato. 

 

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