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L’associazione professionale ha il diritto di agire per il recupero del corrispettivo dovuto al singolo avvocato.

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"Lo studio professionale associato, quantunque privo di personalità giuridica, rientra a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici, muniti di legale rappresentanza in conformità della disciplina dettata dall'art. 36 c.c. e poiché l'art. 36 c.c. stabilisce che l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all'associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, ne consegue che, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato, cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d'imputazione di rapporti giuridici, rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l'incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi".

E' quanto affermato dalla Cassazione nell'ordinanza n. 2332/2022 all'esito di un procedimento avviato nei confronti di alcuni clienti da un'associazione professionale per il pagamento del compenso per l'attività svolta in loro favore da un avvocato associato, dovuto dagli assistiti allo studio legale ricorrente in forza dell'atto costitutivo, che prevedeva che ogni compenso per l'attività svolta dagli associati fosse destinata all'associazione.

Secondo gli Ermellini, deve reputarsi oramai superato l'orientamento, a mente del quale l'associazione tra professionisti (come quella tra avvocati), non configurandosi come centro autonomo di interessi dotato di propria autonomia strutturale e funzionale, né come ente collettivo, non assume la titolarità del rapporto con i clienti in sostituzione ovvero in aggiunta al professionista associato.

Al contrario, deve affermarsi che lo studio professionale associato, quantunque privo di personalità giuridica, rientri a pieno titolo nel novero di quei fenomeni di aggregazione di interessi cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici, muniti di legale rappresentanza in conformità della disciplina dettata dall'art. 36 c.c. e poiché tale articolo stabilisce che l'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute sono regolati dagli accordi tra gli associati, che ben possono attribuire all'associazione la legittimazione a stipulare contratti e ad acquisire la titolarità di rapporti, poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati, ne consegue che, ove il giudice del merito accerti tale circostanza, sussiste la legittimazione attiva dello studio professionale associato, cui la legge attribuisce la capacità di porsi come autonomo centro d'imputazione di rapporti giuridici, rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente conferente l'incarico, in quanto il fenomeno associativo tra professionisti può non essere univocamente finalizzato alla divisione delle spese ed alla gestione congiunta dei proventi.

Né, prosegue la Cassazione, tale conclusione è contraddetta dal principio secondo il quale lo studio professionale associato, pur avendo la capacità di porsi come autonomi centri di imputazione di rapporti giuridici e, quindi, di stare in giudizio in persona di chi ne abbia la legale rappresentanza secondo il paradigma indicato dall'art. 36 c.c., comunque non può legittimamente sostituirsi ai singoli professionisti nei rapporti con la clientela, ove si tratti di prestazioni per l'espletamento delle quali la legge richiede (come nel caso dell'avvocato)particolari titoli di abilitazione di cui soltanto il singolo può essere in possesso.

Il rispetto del principio di personalità della prestazione, che connota i rapporti di cui agli artt. 2229 e ss. c.c., può ben contemperarsi, infatti, con l'autonomia riconosciuta allo studio associato, nel senso che, pur potendosi attribuire la titolarità dei diritti di credito derivanti dallo svolgimento dell'attività professionale degli associati allo studio del quale sono componenti, resta obbligatorio che lo svolgimento della prestazione sia resa personalmente dal singolo associato munito dei requisiti che la legge impone per la prestazione richiesta, non rientrando il diritto di credito a titolo di compenso per l'attività svolta tra quelli per i quali sussiste un divieto assoluto di cessione come, peraltro, in relazione all'attività di arbitro svolta da un avvocato, che rientra tra quelle tipiche della sua professione.

 

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