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Lui, con il 7 sulla maglia, è Abel Mutai, un atleta del Kenya. Una gara importante di alcuni anni fa. Abel corre e corre, è vicinissimo al traguardo. Forse la fatica, forse la segnaletica poco chiara. Abel si ferma, a pochi centimetri dalla Vittoria, crede di aver superato quella striscia. È finita, ho vinto, pensa. Invece no, non ancora.
Ivan Fernandez, spagnolo, è proprio dietro di lui. Si rende conto di quello che sta accadendo, non ci pensa un attimo. Urla al keniano: "Non fermarti, corri, corri". Abel Mutai non capisce, l'altro lo spinge, con uno strattone. Lo catapulta sul traguardo. Verso la vittoria. Quella reale, quella vera.
Abel ha vinto, medaglia d'oro al Kenia, Ivan secondo con la Spagna.
I giornalisti sono interdetti, non hanno capito nulla. Uno di loro si avvicina a Ivan, chiede spiegazioni e, dopo averle ottenute, lo guarda incredulo e gli chiede: ′′Perché l'hai fatto, perché hai lasciato vincere il Kenya? Avresti potuto vincere tu"
Lui risponde, con semplicità disarmante: "Ti sbagli. Io non l'ho lasciato vincere, lui stava per vincere".
"Ma tu" - lo interrompe il giornalista, ancor più perplesso - "avresti potuto vincere, e non gli avresti rubato nulla, perchè lui il traguardo non lo aveva ancora superato!"
Questa volta è Ivan a guardare, quasi rimproverandolo, quel giornalista, e gli risponde: "Ti sbagli. Quale sarebbe stato il merito della mia vittoria? Quale sarebbe stato l'onore di questa medaglia? Cosa avrebbe potuto pensare mia mamma?"
Prendiamo esempio da questo meraviglioso atleta.
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