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Rifiuta di sottoporsi ad indagini ematologiche, SC: "Elemento indiziario, è il padre"

Il diritto di una persona a conoscere le proprie origini, attraverso la procedura giudiziale del riconoscimento della paternità, è soggetto alla prescrizione o può essere esercitato in ogni tempo, senza alcun limite ?
Sul punto si è espressa la Corte di Cassazione, sez. I Civile, con sentenza 22 settembre - 29 novembre 2016, n. 24292, con una pronuncia di grandissimo interesse, che, per la estrema chiarezza delle argomentazioni utilizzate, probabilmente sarà considerata una pietra miliare nella giurisprudenza riguardante i diritti civili.
La decisione della Cassazione
I Supremi Giudici hanno infatti precisato che in casi, come quello in esame, in cui è stato richiesto il riconoscimento della paternità, non possano sussistere limiti temporali per l´esercizio dell´azione, in quanto va salvaguardato il primario interesse del richiedente a conoscere le proprie origini.
Dichiarata dalla Corte manifestamente infondata la sollevata questione di legittimità costituzionale dell´art. 270 c.c. che, stabilendo la imprescrittibilità della dichiarazione giudiziale di paternità, consentiva al figlio di agire molti anni dopo aver appreso l´identità paterna (nel caso in esame erano trascorsi oltre quaranta anni dal momento in cui la (OMISSIS) si era resa conto delle proprie, presunte, origini), le ragioni contenute nel ricorso proposto dal padre non sono state accolte dal Supremo Collegio, che si è orientato ad una soluzione fondata sul favor veritatis, "la cui ricerca", ha rilevato la Sezione, "risulta agevolata dalle avanzate acquisizioni scientifiche nel campo della genetica e dall´elevatissimo grado di attendibilità dei risultati delle indagini: la verità biologica della procreazione costituisce una componente essenziale dell´interesse della persona che si traduce nella esigenza di garantire ad essa il diritto alla propria identità e, segnatamente, alla affermazione di un rapporto di filiazione veridico".
Secondo i Giudici di Piazza Cavour il diritto del figlio ad uno status filiale corrispondente alla verità biologica costituisce una delle componenti più rilevanti del diritto all´identità personale, che accompagna senza soluzione di continuità la vita individuale e relazionale non soltanto nella minore età, ma in tutto il suo svolgersi. L´incertezza sullo stato filiale può infatti determinare una condizione di disagio ed un vulnus allo sviluppo adeguato ed alla formazione della personalità riferibile ad ogni stadio della vita.
La conclusione della Suprema Corte non ha necessitato di una specifica prova genetica. Infatti, il rifiuto di sottoporsi all´esame ematologico costituisce un comportamento valutabile dal giudice, ex art. 116, secondo comma, c.p.c., di così elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda, e la valutazione circa il carattere ingiustificato del rifiuto di sottoporsi a tale esame, un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità.
In conclusione, il ricorso è stato rigettato.
Sentenza allegata



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