Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, sez. Lavoro, con sentenza n. 12824 del 2016 pronunciandosi in merito all´impugnazione proposta dalla società Poste Italiane avverso la sentenza del giudice del lavoro che l´aveva condannata a reintegrare una dipendente licenziata, a seguito di "truffa" (nello specifico illecita registrazione delle presenze sul luogo di lavoro mediante utilizzo del tesserino identificativo personale) nel posto di lavoro.
La condotta giustificatrice del licenziamento, infatti, era stata secondo i Giudici di merito contestata in maniera tardiva.
Ciò però non è stato condiviso dai Supremi Giudici che piuttosto hanno valutato il requisito dell´immediatezza della contestazione parametrandolo ad un concetto di elasticità.
In tal senso i Giudici Supremi hanno precisato ancora una volta come "in tema di procedimento disciplinare nei confronti di un dipendente di datore di lavoro privato, la regola desumibile dall´art. 7 della legge n. 300 del 1970, secondo cui l´addebito deve essere contestato immediatamente, va intesa in un´accezione relativa, ossia tenendo conto delle ragioni oggettive che possono ritardare la percezione o il definitivo accertamento e valutazione dei fatti contestati (da effettuarsi in modo ponderato e responsabile anche nell´interesse del lavoratore a non vedersi colpito da incolpazioni avventate), soprattutto quando il comportamento del lavoratore consista in una serie di fatti che, convergendo a comporre un´unica condotta, esigono una valutazione unitaria, sicché l´intimazione del licenziamento può seguire l´ultimo di questi fatti, anche ad una certa distanza temporale da quelli precedenti".
Orbene, la sequenza degli accadimenti nel caso de quo ed il comportamento tenuto dalla dipendente, che preferendo non rispondere immediatamente ai chiarimenti chiesti dalla sua datrice di lavoro induceva quest´ultima a formulare le proprie riserve in attesa dello sviluppo del procedimento penale che vedeva coinvolta la dipendente, hanno condiviso l´assunto difensivo della società riguardo al richiamo ai principi di correttezza e buona fede che avevano animato il suo modo di procedere, oltre che a quelli di rispetto delle garanzie difensive dell´inquisita, per cui, considerati tali fatti tra loro concatenati, non è apparsa configurabile la violazione della norma di cui all´art. 7 della legge n. 300/1970 ritenuta, invece, sussistente dalla Corte territoriale.
Tali rilevanti peculiarità della presente vicenda rispetto a quella di altra dipendente della stessa società richiamata dalla difesa della contro ricorrente nella propria memoria difensiva hanno giustificato ampiamente la diversa soluzione adottata.
Pertanto, il ricorso è stato accolto e l´impugnata sentenza cassata con rinvio del procedimento, anche per le spese, alla Corte d´appello di Milano, con mandato a quest´ultima di procedere ad un nuovo esame del merito della controversia alla luce dei principi sopra richiamati.
Sentenza allegata
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