Se questo sito ti piace, puoi dircelo così
Reato false informazioni al P.M., non si applica alla polizia giudiziaria delegata.
Lo ha stabilito la Sesta Sezione Penale della Corte Suprema di Cassazione, con Sentenza n. 128232 del 2016.
Ecco i fatti.
Ttizio e Caio erano stati condannati dal Tribunale per il reato di cui agli artt. 110, 377, commi 1 e 3 C.P. in concorso tra loro perché con atti intimidatori e promettendo denaro, tentavano di indurre una terza persona alla commissione dei reati di cui agli artt 371 bis e 372 C.P. nello specifico al fine di convincerla a ritrattare le dichiarazioni già rese dalla stessa avanti agli agenti di P.G. nel corso di un procedimento.
Gli imputati proponevano atto di appello avverso tale sentenza, ma la Corte territoriale confermava la sentenza di primo grado.
Veniva proposto ricorso in Cassazione dagli imputati e la VI Sezione Penale della Corte accoglieva in pieno la tesi difensiva secondo la quale erroneamente i giudici della Corte di Appello avevano esteso la portata della norma in questione dilatando le qualità previste dalla disposizione normativa in oggetto, anche al soggetto chiamato a rendere le dichiarazioni agli inquirenti, ancorchè muniti di apposita delega da parte del PM.
Infatti, argomentano i giudici della Cassazione, se così non fosse si violerebbe un principio fondante del nostro ordinamento, in base al quale è vietata la interpretazione analogica in malam parte nel sistema penale. Le norme in questione prevedono infatti solo ed esclusivamente le ipotesi di soggetti che debbano rendere dichiarazioni avanti al Pubblico Ministero o avanti al Procuratore ndella Corte Penale Internazionale.
Per tali motivazioni è stato deciso l´accoglimento del ricorso.
Precedenti giurisprudenziali:
Cass. Pen., Sez. VI, 10 marzo 1993, n. 696
Cass. Pen., Sez. V, 14 luglio 2010, n. 37306
Ecco i fatti.
Ttizio e Caio erano stati condannati dal Tribunale per il reato di cui agli artt. 110, 377, commi 1 e 3 C.P. in concorso tra loro perché con atti intimidatori e promettendo denaro, tentavano di indurre una terza persona alla commissione dei reati di cui agli artt 371 bis e 372 C.P. nello specifico al fine di convincerla a ritrattare le dichiarazioni già rese dalla stessa avanti agli agenti di P.G. nel corso di un procedimento.
Gli imputati proponevano atto di appello avverso tale sentenza, ma la Corte territoriale confermava la sentenza di primo grado.
Veniva proposto ricorso in Cassazione dagli imputati e la VI Sezione Penale della Corte accoglieva in pieno la tesi difensiva secondo la quale erroneamente i giudici della Corte di Appello avevano esteso la portata della norma in questione dilatando le qualità previste dalla disposizione normativa in oggetto, anche al soggetto chiamato a rendere le dichiarazioni agli inquirenti, ancorchè muniti di apposita delega da parte del PM.
Infatti, argomentano i giudici della Cassazione, se così non fosse si violerebbe un principio fondante del nostro ordinamento, in base al quale è vietata la interpretazione analogica in malam parte nel sistema penale. Le norme in questione prevedono infatti solo ed esclusivamente le ipotesi di soggetti che debbano rendere dichiarazioni avanti al Pubblico Ministero o avanti al Procuratore ndella Corte Penale Internazionale.
Per tali motivazioni è stato deciso l´accoglimento del ricorso.
Precedenti giurisprudenziali:
Cass. Pen., Sez. VI, 10 marzo 1993, n. 696
Cass. Pen., Sez. V, 14 luglio 2010, n. 37306
Documenti allegati
testo sentenzaDimensione: 110,87 KB
Tutti gli articoli pubblicati in questo portale possono essere riprodotti, in tutto o in parte, solo a condizione che sia indicata la fonte e sia, in ogni caso, riprodotto il link dell'articolo.
