Se questo sito ti piace, puoi dircelo così
"Quando la dittatura è un fatto, la rivoluzione è un dovere"
Questa frase la troviamo nella lapide al cimitero di Lisbona sulla tomba di Amadeu Ignacio De Almeida Prado, resistente alla dittatura di Salazar e protagonista del bellissimo libro di Pascal Mercier.
Un principio che vale contro tutte le dittature.
Mussolini conquista il potere e lo manterrà fino al 25 luglio 1943.
Così abbiamo scritto nella nostra ultima nota di sabato scorso.
Ma cosa avvenne subito dopo la Marcia su Roma del 28 ottobre 1922?
In maniera indiscriminata le squadracce fasciste incendiarono Camere del lavoro, distrussero cooperative operaie, diedero assalti alla fabbriche e usarono la mano pesanti nei confronti di quelle persone che, tra il 1919 e il 1922, "… avevano lottato per la pace, per l'affratellamento di tutti gli uomini senza distinzione di classe, e ora ci trovavamo nel mezzo di una situazione terribile che noi non avevamo voluta, ma che abbiamo sempre combattuto", così come scrive Maurizio Garino, operaio e membro del Consiglio direttivo della FIOM che avevano organizzato scioperi e occupazioni delle fabbriche.
Anche nelle campagne non mancarono tumulti contro i mezzadri e i contadini che reclamavano maggiori diritti.
Vittime non furono solo lavoratori, operai, professionisti che pagarono duramente e, a volte anche tragicamente, il loro impegno per la libertà.
Ma vennero presi di mira sedi di giornali, di riviste, biblioteche e tutto ciò che si opponeva all'instaurazione del "nuovo regime".
E non furono risparmiati neanche gli oratori, le sedi dell'Azione Cattolica fino al primo omicidio di un prete: don Giovanni Minzoni, parroco di Argenta, in provincia di Ferrara.
La sera del 23 agosto 1923 don Giovanni Minzoni, mentre faceva ritorno a casa, fu attaccato da squadristi fascisti e ucciso a bastonate. Aveva trentotto anni. Era nato a Ravenna il 29 giugno 1885.
Era amico del sindacalista socialista Natale Gaiba, prima vittima nel 1921 della violenza delle camicie nere fasciste.
Le elezioni del 6 aprile 1924 si erano svolte con il sistema maggioritario e avevano permesso a due liste fasciste di ottenere il 64.9 % dei voti contro il 35.1 delle opposizioni, fiaccate, oltre che dalle pesanti persecuzioni dei loro esponenti di spicco, anche per le divergenze ideologiche.
Alla riapertura della Camera il deputato socialista Giacomo Matteotti pronuncia un discorso durissimo sia contro le violenze della squadracce fasciste, che avevano messo a ferro e a fuoco le sedi dei partiti dell'opposizione, sia contro le irregolarità durante le votazioni in moltissimi seggi del Paese.
Matteotti con questo suo discorso segna la sua condanna a morte, che sarà perpetrata il 10 giugno dello stesso anno con un rapimento e la successiva uccisione.
La morte di Giacomo Matteotti suscitò grandissimo sdegno in tutto il Paese e non mancarono le manifestazione di protesta.
Gaetano Salvemini, con una metafora per testimoniare il momento di grande difficoltà del governo di Mussolini, scriverà, dopo, che "se la sera del ritrovamento del cadavere di Matteotti, qualcuno avesse sparato un colpo d fucile in aria, avrebbe segnato la fine del fascismo in Italia".
Ci saranno altri pestaggi, altri omicidi, altre persecuzioni e si arriverà al famoso discorso di Mussolini alla camera il 3 gennaio 1925 con il quale si assumerà la "…responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto". Quindi anche dell'omicidio di Matteotti, di don Minzoni e delle centinaia e centinaia di vittime di violenza illegale giustificata dall'azione repressiva di uno Stato che aveva abolito le libertà civili e politiche.
Non mancheranno altri omicidi eccellenti: da Piero Gobetti a Giovanni Amendola da Antonio Gramsci, fatto "marcire in carcere" ai Fratelli Carlo e Nello Rosselli, fatti uccidere da un'organizzazione fascista in Francia.
Poi ci fu la guerra di Spagna, l'anteprima del secondo conflitto mondiale, le barbare leggi razziali, la sciagurata decisione di entrare in guerra accanto alla Germania, la campagna d'Africa e la spedizione italiana in Unione Sovietica con milioni di morti, con sofferenze inaudite.
Dopo il 25 luglio 1943 e la caduta del governo Mussolini, ci sarà l'8 settembre con le forze alleate che avanzano dalla Sicilia, l'occupazione dell'Italia da parte delle forze naziste con le stragi di intere popolazioni civili.
L'eccidio di Sant'Anna di Stazzema il 12 agosto 1944.
Come ricorda l'enciclopedia Treccani "la piccola frazione di Stazzema, in provincia di Lucca, fu circondata da tre reparti della 16esima divisione Panzergrenadier delle SS, accompagnata da bande di fascisti, mentre un quarto reparto, più a valle, bloccava qualsiasi via di fuga. In quella zona – dichiarata pochi giorni prima "zona bianca" dagli stessi tedeschi – erano presenti anche decine di sfollati che dalla costa si erano rifugiati nel paese dell'Alta Versilia. Tutti gli abitanti, la maggior parte dei quali donne, bambini e anziani, vennero radunati nel piazzale della chiesa e uccise a colpi di mitra per poi essere dati alle fiamme. Uccisero Anna, l'ultima nata nel paese di appena 20 giorni, uccisero Evelina, che quel mattino aveva le doglie del parto, uccisero Genny, la giovane madre che, prima di morire, per difendere il suo piccolo, scagliò lo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle, uccisero il prete Innocenzo, che implorava i soldati nazisti perché risparmiassero la sua gente, uccisero gli otto fratellini Tucci, con la loro mamma", racconta il portale della Memoria dell'eccidio. Scendendo a valle, poi, le SS trucidarono anche tutti quelli che incontrarono nelle frazioni di La Culla, Vacchereccia e nel paese di Valdicastello".
E tra il 29 settembre al 5 ottobre 1944 ci sarà l'eccidio di Marzabotto: altre 770 vittime tra bambini, donne, uomini: giovani e vecchi.
Sicuramente a qualche membro dell'attuale governo una passeggiata in questi luoghi sarebbe stata salutare.
Tutti gli articoli pubblicati in questo portale possono essere riprodotti, in tutto o in parte, solo a condizione che sia indicata la fonte e sia, in ogni caso, riprodotto il link dell'articolo.
Rosario Antonio Rizzo
Dopo il conseguimento del diploma di insegnante di scuola elementare all’Istituto magistrale “Giuseppe Mazzini” di Vittoria, 1962, si reca in Svizzera, dove insegna, dal 1964 al 1975, in una scuola elementare del Canton Ticino.
Dal 1975 al 1999 insegna in una scuola media, sempre nel Canton Ticino e, in corso di insegnamento dal 1975 al 1977 presso l’Università di Pavia, acquisisce un titolo svizzero, “Maestro di scuola maggiore” per l’insegnamento alla scuola media. Vive tra Niscemi e il Canton Ticino. Ha collaborato a: “Libera Stampa”, quotidiano del Partito socialista ticinese; “Verifiche” bimensile ticinese di scuola cultura e società”; “Avvenire dei lavoratori”; “Storia della Svizzera per l’emigrazione”“Edilizia svizzera”. In Italia: “Critica sociale”; “Avanti”; Annali” del Centro Studi Feliciano Rossitto; “Pagine del Sud”; “Colapesce”; “Archivio Nisseno”.