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Abbiamo avuto modo, in tante altre occasioni, di accennare come la violenza sulle donne si tramanda di padre in figlio almeno da tre milioni d'anni.
I primi uomini che comparvero sulla terra combatteremo e uccisero gli animali che potevano mettere a repentaglio le loro vite; addomesticarono quelli che erano funzionali alle loro esistenze e assegnarono alle donne regole rigide e di assoluta sottomissione.
Dopo tre milioni di anni, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con una sua risoluzione, la numero 54/134 del 17 dicembre del 1999 indica il 25 novembre, come data, per "La giornata per l'eliminazione della violenza contro le donne", per organizzare dignitosamente la ricorrenza, impegnando i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG (organizzazioni non governative) a organizzare, in quel giorno, attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne.
I pessimisti continuano a sbandierare ai quattro venti: a cosa serve un'ulteriore ricorrenza, quando poi sappiamo che nulla cambierà?
Si può anche comprendere lo scetticismo di chi crede che tutto possa cambiare come se in mano avessimo la fiabesca "bacchetta magica" agli ordini dei nostri desideri. Ma ci sembra ingeneroso dice che in questi ultimi decenni nulla sia cambiato, anche se molto, moltissimo rimane ancora da fare.
Ma cosa prevede la risoluzione delle Nazioni Unite.
Intanto indica con chiarezza cosa bisogna intendere per violenza sulle donne: "… qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di altri atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata".
Ma come si arriva a la "La giornata per l'eliminazione della violenza contro le donne"?
Tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del secolo scorso, al netto delle due guerre mondiali, non mancarono manifestazioni di piazza per rivendicare parità di diritti e di doveri tra uomo e donna.
E non solo in Italia. E non solo in Europa.
Il 25 novembre del 1960, nella Repubblica Domenica, dopo l'ennesima manifestazione pubblica, il dittatore di turno, Rafael Leonida Truillo, diede ordine al capo della sua milizia, di sequestrare e fare sparire dalla circolazione, tre sorelle, le più impegnate nelle lotte per l'emancipazione femminile, Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal.
Le tre sorelle furono rapite, seviziate, stuprate e uccise barbaramente.
Da questo episodio parte l'inizio della giornata internazionale del "25 novembre".
Bisogna anche dire, che i legislatori, di moltissimi Paesi, pur partecipando e accettando i termini della risoluzione delle Nazioni Unite, non sempre agiscono di conseguenza, non sempre le leggi nazionali dei loro Paese sono conformi affinché le discriminazioni, soprattutto nei confronti di donne provate dai bisogni necessari, in stato di indigenza, di malattia siano superati. Tutt'altro!
Ma esistono altre risoluzioni di conferenza precedenti che affrontano gli annosi problemi di tipo economico, politico, di detenzione del "potere", di rappresentanza negli organismi istituzionali, pubblici o privati, che invitano i governi ad investimenti adeguati affinché si possa raggiungere quell'uguaglianza, tra uomo e donna, che rappresenta l'obiettivo ultimo per superare la moltitudine di differenze tra uomo e donna.
Ma in Italia, e non solo, esiste un "fenomeno" demenziale: il femminicidio, che negli ultimi
decenni ha assunto aspetti di un'emergenza terrificante.
Al 25 novembre di quest'anno sono 105 donne, lo scorso anno erano 100, vittime di questa follìa. Questi dati ci indicano che l'emergenza peggiora.
E tutto ciò nonostante le leggi, le preoccupazioni della società civile, del governo, delle istituzioni.
Ma cos'è il femminicidio.
Il vocabolario della Treccani risponde così: "Termine con il quale si indicano tutte le forme di violenza contro la donna in quanto donna, praticate attraverso diverse condotte misogine (maltrattamenti, abusi sessuali, violenza fisica o psicologica), che possono culminare nell'omicidio. Questo tipo di violenza affonda le sue radici nel maschilismo e nella cultura della discriminazione e della sottomissione femminile; le donne che si ribellano al ruolo sociale loro imposto dal marito, dal padre, dal fidanzato vengono maltrattate o uccise".
Si continua a dire che è "un problema culturale".
Ma è solo questo?
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Rosario Antonio Rizzo
Dopo il conseguimento del diploma di insegnante di scuola elementare all’Istituto magistrale “Giuseppe Mazzini” di Vittoria, 1962, si reca in Svizzera, dove insegna, dal 1964 al 1975, in una scuola elementare del Canton Ticino.
Dal 1975 al 1999 insegna in una scuola media, sempre nel Canton Ticino e, in corso di insegnamento dal 1975 al 1977 presso l’Università di Pavia, acquisisce un titolo svizzero, “Maestro di scuola maggiore” per l’insegnamento alla scuola media. Vive tra Niscemi e il Canton Ticino. Ha collaborato a: “Libera Stampa”, quotidiano del Partito socialista ticinese; “Verifiche” bimensile ticinese di scuola cultura e società”; “Avvenire dei lavoratori”; “Storia della Svizzera per l’emigrazione”“Edilizia svizzera”. In Italia: “Critica sociale”; “Avanti”; Annali” del Centro Studi Feliciano Rossitto; “Pagine del Sud”; “Colapesce”; “Archivio Nisseno”.