Quella volta faceva la voce recitante nel «Cantico delle creature» con la musica di Goffredo Petrassi nell´Abbazia di Fossanova. «Una roba concettuale sulle note di un musicista molto impegnato, ma che certo non è un compositore di canzonette - racconta Gigi Proietti - dopo la mia suite davanti a un pubblico sceltissimo, esco fuori a fumare una sigaretta e nel buio mi sento chiamare: "pss... pss... Proietti!". Scorgo due tizi che si avvicinano: un ambulante che vendeva bibite fuori dall´Abbazia e un posteggiatore. Credendo che avessero visto la mia performance, chiesi loro se era piaciuta. Uno dei due mi punta il dito contro intimandomi perentorio: "Mai più, eh? Mai più!". E l´altro aggiunge: "Lasciali perde´ ´sti fiji de ´na mignotta: te rovinano!". Non era piaciuta». Non era piaciuta perché il pubblico da rockstar che Proietti richiama sempre quando fa spettacolo è abituato a ridere e a divertirsi. Eppure Gigi ha iniziato proprio nel teatro sperimentale. «Frequentavo la facoltà di Legge perché a quel tempo il futuro agognato da un giovane come me, che veniva dalla periferia romana, era l´impiego fisso. Mio padre, che faceva l´impiegatuccio, ripeteva "piove o tira vento, prendi lo stipendiuccio e la tredicesima". Per mantenermi agli studi, cantavo nei night con un gruppetto di amici: sul mio primo passaporto c´era scritto "orchestrale"! Cominciavo alle 10 di sera e finivo alle 4 di mattina, uscivo fuori con un collo gonfio... Non c´era misura di camicia che tenesse: ce voleva un copertone». Colui che sarebbe diventato uno degli attori teatrali, e non solo, più amati dal pubblico non era arso dal sacro fuoco del palcoscenico. «Assolutamente no! A teatro non c´ero mai stato e poi non ero figlio di attori». Il papà «impiegatuccio» e la mamma? «Mia madre che vuoi che facesse, la casalinga! Però, forse, la vena artistica l´ho ereditata da lei: mio nonno materno faceva il pecoraro, ma era un poeta. Quando è morto abbiamo trovato una serie di libretti con bellissimi sonetti dove non c´era una virgola sbagliata. Forse ho ripreso da lui il gusto di scriverne anch´io in romanesco».
Un disastro
Nella sua autobiografia, pubblicata da Rizzoli tre anni fa, Proietti fa una dedica alla sua famiglia che lo ha sopportato: «Più che sopportato i miei genitori erano preoccupati. Quando cominciavano a vedere le prime cosette che facevo in tv o in teatro, dicevano "boh". Non erano persone di cultura, però mi assecondavano. Mi iscrissi, pe´ curiosità, al Centro Teatro Ateneo: avevo insegnanti come la Masina, Arnoldo Foà, Giancarlo Sbragia... Feci un provino per uno spettacolo interno. Mi presero: la mattina frequentavo le lezioni, il pomeriggio provavo all´Ateneo, la sera cantavo nei locali notturni. Gli esami non finivano mai». La laurea in Legge appesa al chiodo? «Sì». Abbiamo perso un avvocato? «E meno male, beati voi! Sarei stato un disastro». Gigi però cantava anche nelle piscine del Foro Italico, dove conobbe Saghitta: «Erano i primi anni 60. Lei era la classica svedese innamorata dell´Italia. Faceva la hostess, accompagnava i turisti per monumenti e la sera li portava lì a prendere il fresco e a sentire musica. Tra noi scattò la scintilla ballando l´alligalli». E sono nate Susanna e Carlotta, oggi rispettivamente di 37 e 35 anni. «Con Saghitta non ci siamo mai sposati: all´inizio per ragioni ideologiche, non credevamo nell´istituzione del matrimonio, poi perché ci sembrava superfluo. Siamo antichi concubini!».
Il clic della passione scenica scatta con il «Dio Kurt» di Alberto Moravia: «Un successo inaspettato di pubblico: mi resi conto che, forse, potevo campare di questo mestiere, altroché posto fisso!». Poi venne il tempo delle cantine con il gruppo dei 101: «Recitavamo in un ex deposito di scope. E dopo lo spettacolo spesso c´era il "dibbbbattito" co´ trecento b».
La svolta
La svolta arriva quando Garinei e Giovannini lo scelgono per «Alleluja brava gente» accanto a Renato Rascel: «Una botta di fortuna. Prendevo il posto di Domenico Modugno, che aveva litigato con Rascel. Lì capii che si poteva coniugare il teatro ludico con la qualità artistica: il cosiddetto teatro popolare». Un tipo di teatro che Proietti ha consacrato con «A me gli occhi please»: «Per la prima volta realizzavo un recital con parole, musica, canzonacce, dialogo col pubblico, in un teatro tenda che, all´epoca, si utilizzava per il circo». Ma Gigi ha riempito anche gli stadi. «Una delle prime volte che mi esibivo in un ambiente così dispersivo, dove ancora non usavo schermi per ingrandire la mia immagine, appena si apre il sipario uno spettatore dal fondo della platea mi urla: "A Giggi! Mandace ´na fotografia!". Mi vedevano piccolo piccolo sul palcoscenico».
Gli eredi
Si sente un erede di Ettore Petrolini? «Mi piace l´ironia dei romani di una volta. Ma quando a Petrolini gli dicevano che discendeva dalla Commedia dell´Arte, rispondeva: "Io discendo dalle scale di casa mia"». Un erede di Proietti oggi chi è? Ride: «Un erede mio? Speramo de no!Diceva il mio amico Vittorio Gassman riferito ai giovani attori: "Ho insegnato loro tutti i miei difetti". L´ho fatto anch´io con la bottega teatrale: ne sono nati Brignano, Insinna, la Reggiani... ma non c´è un mio erede, ed è giusto che non ci sia». Nemmeno Susanna e Carlotta che fanno teatro? «Non pensavo che l´avrebbero fatto. Seppi per caso che Carlotta prendeva lezioni di canto e che Susanna era appassionata di scenografia. Hanno recitato qualche volta con me, ma ora devono fare scelte autonome».
Ai giovani interpreti Proietti ha dedicato uno spazio importante: il Globe Theatre, a Villa Borghese, che dirige da 13 anni. «Ebbi l´idea nel 2003: si celebrava il centenario della donazione, da parte della famiglia Borghese, della Villa omonima alla città di Roma. Proposi all´allora sindaco Veltroni di creare un palco per rappresentare testi shakespeariani con giovani attori. Walter si entusiasmò e coinvolse la Fondazione Silvano Toti per costruire un teatro in legno su modello del Globe di Londra. Fecero talmente in fretta, che per fortuna non se ne accorse l´apparato burocratico: se se ne fossero accorti, starebbe ancora in costruzione!». Rifarebbe, oggi, una nuova versione di «A me gli occhi, please»? «Dovrei fare: "A me gli occhiali, please"!».
Fonte: Corriere della Sera, 5/7/2016
Tutti gli articoli pubblicati in questo portale possono essere riprodotti, in tutto o in parte, solo a condizione che sia indicata la fonte e sia, in ogni caso, riprodotto il link dell'articolo.