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Franco Bartolomei, l'avvocato che scrisse "I magistrati del malefizio"

Franco Bartolomei, l'avvocato che scrisse "I magistrati del malefizio"

Franco Bartolomei, avvocato e giurista, ordinario di diritto amministrativo nella facoltà di giurisprudenza dell'Università di Macerata,. 

Autore di opere giuridiche, tra cui La dignità umana come concetto e valore costituzionale, del 1992, ha pubblicato i romanzi L'incarcerato di Montacuto, Spirali, Milano 1995 e Magistrati del malefizio, Spirali, Milano 2000.

da: Magistrati del malefizio, Spirali, Milano 2000.

Signora presidente - inizia il difensore. La consueta espressione di rito curiale.                                              Un senso di novità in quell'appellativo "signora"; non si è abituati.

La presidente Smerdiacova è tutta attenzione. Si assesta sostenuta sulla poltrona e attende il prosieguo. - Nell'assumere la difesa del collega, e prima di svolgere compiutamente le varie tesi sulla natura del reato contestato, desidero porre a me stesso e al collegio una domanda: "È cosa credibile, è cosa concepibile, questa vicenda di millantazione? Un'atmosfera grave e dignitosa attraversa e riempie l'aula; un breve silenzio si appiattisce tutt'intorno, scorre velocemente sulle spoglie levigate pareti acustiche dal colore grigio chiaro.

Un imponente richiamo alla magnanimità degli ascoltatori. Attenti i giudici del collegio, le orecchie in ascolto, e gli occhi si appuntano stralunati sul difensore. - Dica, dica pure, avvocato, è sua facoltà. Non intende iniziare l'arringa? L'istruttoria è ormai chiusa. Una domanda inutile quanto oziosa, neppure di prammatica. Un modo per conoscere quanto tempo avrebbe impiegato il difensore nel parlare e quali punti avrebbe trattato. Aveva tanta dimestichezza con le carte, con i verbali del processo; con quelli dell'Accusa, s'intende, per cui la sua inclinazione alla brevità si era talmente accentuata, specie con le visite fiscali, che non vi era "arringa" da ascoltare. Tutto detto e tutto scritto; anzi, tutto deciso. Niente avrebbe potuto più conferire al giudizio in corso una fisionomia diversa da quella già fissata nei verbali "raccolti". Più il difensore parlava più si accentuava la gravità della decisione: i piatti della bilancia della giustizia inclinati sino al punto di spezzare l'asse della terra. Ogni equilibrio è rotto.

Più pesante il piatto con la parola dell'Accusa. In antichi geroglifici vi è la rappresentazione del giudizio di misteriose divinità per il morto, nel suo cammino verso l'aldilà: su un piatto della bilancia il cuore, sull'altro una piuma. Il cuore dell'uomo leggero come una piuma. Nella stanza non aleggia un clima leggero, favorevole, mentre la presidente Smerdiacova è una pietra del "palazzo". Non pietra d'angolo, ma pur sempre una pietra. Quell'evocare l`arringa ha un suono falso e sapore di stantio. Come nel corso delle udienze, continua a osservare intensamente, con intermittenze studiate, il p.m. Sa scaricare addosso al millantatore persino i mesi di condanna abbuonati ai patteggiatori della "corruzione", conclusasi in una bolla di sapone.

Conosce ciò che è sottinteso, si sente vicina all'Accusa; non ammette incredulità; la convinzione di dover condannare non ammette franchigia. - Un momento, prego; senza fretta. Con il suo permesso, desidererei chiedere cinque minuti di pausa per parlare con il mio assistito. Senza avvertimento, un improvviso sussulto. Irrigidisco. Fisso il difensore, e con ritrovata tranquillità, attendo la risposta della Smerdiacova.

- Accordato. L'udienza è sospesa per dieci minuti. - Grazie; anche perché, come si può osservare, - si guarda intorno -le nostre tesi non interessano granché all'Accusa, in questo momento..."latitante".

L'aggettivo non è di gradimento della Smerdiacova. Lo si nota; è fisiognomica. - Nessuna latitanza, avvocato! Nessuna. Inchiodo gli occhi in viso alla presidente. - Mi scusi... contumacia? Scusi ancora. Parvenza di ironia. Il p.m. aveva richiesto, in diverse occasioni, dichiarazioni di contumacia. È risaputo, per il p.m. è tutt'altra cosa; ogni richiesta accolta.

- È andato nel corridoio a fumare una sigaretta... - il tono di voce è udibile. Poi: un vizietto, un vizietto,.. - dico sottovoce, rivolto al collega difensore.

Nel petto, un fremito. Guardo attorno nell'aula vuota e frugo ansiosamente in cerca di qualche cenno di reazione da parte dei magistrati di fronte. Zitti. Conoscono troppo bene il processo o non lo conoscono affatto. C'è chi si china e con una mano si gratta una gamba, assesta una calza, poi il pantalone, bene giù, con gli occhi in avanti, come fissi, inespressivi, poi si ritrae, urta con la schiena l'incurvata spalliera della poltroncina e sembra come se là, sulla spalliera, restasse attaccato, tutto irrigidito. Non una mossa. Eppure sono aperti, spalancati, quegli occhi, grossi come quelli di un bue mansueto. A lato degli scanni dei magistrati, verso la parete est, su un piedistallo, una statua di gesso, bianca, un mezzobusto. Anch'essa silente e con gli occhi fuori dalle orbite. Il silenzio e d'oro. L'altro magistrato infila un dito nell'orecchio sinistro, forse un po' di cerume, forse un ronzio. Quando fischia l'orecchio manco il cuore è franco.

Il figlio Jacopo, accanto a me, quasi con forza mi stringe un braccio e con lo sguardo preoccupato ammonisce: ~ Stai zitto, babbo, stai zitto, per favore... Non irritare la presidente. Si adombra subito. Una fuggevole strizzatina d'occhi e un mezzo sorriso interrogativo sulle labbra del vicino collega. - È un'abitudine di quel sostituto... Non è la prima volta. .. - mormoro, accostandomi di più al difensore. Il collegio non ha udito: il fievole suono si è perso nell'aria. Meglio così. L'avrebbero preso come un sintomo in più di strafottenza.

In alcuni procedimenti processuali penali odierni, per fortuna in pochi, non si pretende più di stabilire "verità", stante anche la fallibilità umana.Non si è però ancora rinunciato alla nozione di "certezza" di fatti giuridicamente rilevanti per qualificarli, alla stregua di dichiarazioni o di affermazioni di illiceità. Una rinuncia fattuale per ogni gruppo tribale: scomparirebbero i simboli di identità e di appartenenza al gruppo: insegnamento di antropologi. Alla ricerca di certezza diventa necessario il momento dialettico di contrapposizione.

Il sostituto, dopo la forbita requisitoria, si allontana dall'aula di udienza; inorgoglito e soddisfatto, sente il bisogno di sgranchire le gambe con due passi nel corridoio. Ha arringato in piedi, spesso accompagnando l`eloquio con gesti significativi. Non c'era "popolo" in ascolto, ma sa bene che i giudicanti hanno ascoltato quanto basta. Missione compiuta. Ha notato i loro volti sereni, aperti e tranquilli: spaziano nella luce della "giustizia". Illuminati dalle sue parole.

 Lunghi momenti di intensa eccitazione, timore dinanzi all'inquirente. Hanno frugato dentro le "carte"; nei verbali dei patteggiatorí elementi di indizi e di prova. Il fascicolo processuale è completo; il processo più che maturo. Nessun "diavoletto" impertinente e ballerino cova dentro di loro.

Alla ripresa dell'udienza l'avvocato affronta subito l'argomento principale con straordinaria franchezza, con semplicità e precisione. Non aveva assistito a tutte le udienze in cui erano stati ascoltati i testimoni, però aveva letto i relativi verbali e aveva tratto dagli stessi la convinzione che l'Accusa si basasse ormai sulle dichiarazioni contenute nei verbali dei patteggiatori e, in particolare, su quelle rese a suo tempo dal direttore. Decide di affrontare la "realtà" processuale così come costruita. - Signori, chiedo a me stesso anzitutto quali siano gli indizi concordanti, le prove, emersi in questo processo, che possano configurare il reato. Andiamo per ordine, in aderenza alle cose. Non mi dilungo sui fatti, Sugli episodi accaduti in due anni di attività professionale, no. Vengo alle tesi, veramente mere opinioni. Il mio assistito ha sempre parlato di "invenzioni". Ebbene, "carte" in mano, si è alla presenza di un'invenzione, effettivamente.

I verbali dello zio e del nipote non sono stati letti qui in aula. Legge teli voi, in camera di consiglio. Vedete voi se da tali verbali sia possibile ricostruire il reato ascritto. Non va dimenticato che i signori dichiaranti, inquisiti, imputati e poi patteggiatori, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. - È ammesso dalla legge - interrompe la presidente. Il richiamarsi continuamente, nei suoi interventi, alla legge proprio infastidisce. Sa benissimo, almeno dovrebbe saperlo, che vi sono leggi contrarie al diritto, per cui nell'intimo sorge imperiosa l'esclamazione: - Contro il diritto. È lo stesso difensore a placare sul nascere l`accenno di polemica. - Per favore, non parliamo in coro... E non desidero essere interrotto. - Lo dica al suo assistito! ~ sprezzante, la presidente.- Anche a lui, benissimo. Torno ai verbali. Ci sono quelli dei due "referenti", pure loro carcerati: uno, sin dal febbraio 1993, a Como; l'altro, dopo gli imprenditori, in Ancona. Come per i verbali dei due Artmn, identiche le domande cui il tribunale deve rispondere. Per ultimo, le dichiarazioni del direttore, sulla figura del quale dovrei qui tacere per la credibilità... direi onore di "giustizia". Non posso però esimermi dal sottolineare quel fatto, veramente eclatante: viene in udienza e vuole testimoniare; inizia a parlare e subito le contestazioni del p.m.; udienza sospesa e, quando ritorna... si avvale della facoltà di non rispondere. È tutto, proprio tutto: E con "chi" instaurare il contraddittorio?

Una folata di vento si abbatte sulle finestre dell'aula di udienza. Spalancate. Aria nuova; spazzata via la menzogna. È un fatto vero, non un mulinare di frottole. Processualmente importante. - E allora, signori, avete il coraggio di configurare il reato sulla base di quei verbali, le cui dichiarazioni non sono state qui vagliate, esaminate in contraddittorio? E, ciò ammesso, cosi come formulate, possono  essere utilizzate? - La presidente, incollata alla poltroncina, non batte ciglio. Neppure la parvenza di una qualche attenzione; figurarsi, poi, se di stupore. - Dunque, ecco la domanda: esiste 0 non esiste il reato? Va posta con tutta evidenza nella sua tragicità. Ho un'impressione amara. La domanda produce un suono come il frinire di una cicala. 

- Ho già gridato... Per me, un'invenzione! - senza ombra di alterigia torno a borbottare, con l'animo gonfio di improvviso impeto. Quasi all'orecchio del difensore, che mi guarda ergendosi tutto di fronte come per assumere una posizione di guardia, in atteggiamento di rimprovero.

- Tragici episodi hanno accompagnato il presente processo. L'incarcerazione, l'infarto, le malattie sopravvenute con ricoveri ospedalieri e, di qualche giorno fa, le "visite fiscali". Qui, alla tragedia si aggiunge la commedia.

- Avvocato, venga al processo... ¬ indispettita, la Smerdiacova.

-E di cosa sto parlando? Nel corso del processo, persino la salute dell'uomo è stata messa in pericolo. Altro che "processo giusto"!  

-Il collegio conosce i precedenti sanitari dell'imputato - osserva con aria sostenuta la presidente. - La domanda che ho posto non è oziosa. È il fulcro nella fattispecie. La presidente non risponde subito; non desidera interrompere l'avvocato per un motivo palese: non vuole perdere troppo tempo. È chiaro che non vuole sentir parlare di fatti accaduti durante la custodia cautelare, riaprire "piaghe" del passato. Non sono poi piaghe, per la presidente giudicante. Normale svolgimento di accadimenti. - Deciderà il collegio; risponderà sulle domande in sentenza -pronuncia dopo qualche attimo. Indifferenza. _ All'invenzione si può dare una sola risposta: l'assoluzione piena. Non lascerò, non permetterò che il collega venga condannato! S'indigna nella constatazione dell'apatia del collegio e pronuncia qualche parola in più, come quel "Non permetterò". Guai! Orgoglio e suscettibilità del collegio feriti.

La presidente sgrana tanto d'occhi: le nere pupille si dilatano, assumono un'acutezza che vorrebbe trafiggere il difensore. Si rivolge al giudice a latere senza parlare; lo osserva interrogandolo in silenzio. Pensa: "non è che l'avvocato vuole commentare una per una le varie dichiarazioni? Non la finiremmo più... Certo, oggi non potrebbe essere l'ultima udienza...". Il collega intuisce, sa leggere nel pensiero della presidente. Occorre assecondarla in tutto. Il difensore non è da meno. Si avvede che è preoccupata. Conosce anche il perché. Le udienze prefissate; e, se muta quell'articolo del codice di procedura sulle prove, il famigerato cinquecentotredici, si trova con un pugno di mosche in mano.

 Il giudice a latere resta inchiodato sulla poltrona, profondamente assorto; sta riflettendo su qualcosa, visibilmente colpito. Aveva già fatto domanda di trasferimento e l'aveva ottenuto... Il processo non poteva andare per le lunghe; le udienze sono esaurite. - Il collegio non si dia pensiero... Sarò breve, brevissimo, anche perché c'è ben poco da aggiungere a quanto dichiarato dall'imputato e dallo stesso anche scritto. Ci sono poi i documenti depositati: sono là - indica sul tavole della presidenza il fascicolo di causa. - È vero, non sono stati letti. Neppure un processo cartolare... La presidente torna a interrompere: ~ Lei sta parlando: non e un processo cartolare - sottolinea, Questa volta il verdetto trasuda infallibilità. - Lo abbiamo capito. Abbiamo assistito all'andare e venire dei dichiaranti. Impavido coraggio. Uomini di "giustizia".

È indubbio questo aspetto. Persino il p.m. si guarda bene dall'affrontare l'argomento, dallo scendere su sabbie mobili. Lo afferma esplicitamente, anche se poi rifugge nel "particolare"; insiste sulla condotta specifica tenuta in quel solo procedimento presso il Tar. Si dirà: "E il Consiglio di Stato?". Un sussulto da parte della presidente. « Per tagliar coito, dico subito che sulla millantazione presso l'alto consesso non esiste alcuna specifica dichiarazione neppure da parte dei "clienti". Pertanto, eliminiamo subito quest'ultimo riferimento, futile quanto ultroneo... - Sarà il tribunale, avvocato, sarà il tribunale a valutare il "capo di accusa".

- Già, il "capo di accusa". È stato contestato nella sua totalità. - Appunto... - Ma e stato costruito sulle dichiarazioni di soggetti che poi hanno taciuto... Dichiarazioni inutilizzabili, infine. Insorge un sentimento di amarezza accompagnato da una riflessione: "Quante insulse banalità in nome della legge". Pazienza, tolleranza e timore, dicono i testi sacri. La presidente per qualche attimo s'irrigidisce, quasi indispettita, irritata; poi, in alternanza, muta aspetto e umore, sembra sciogliersi in una pacatezza senza più astiosa e intenzionale prevenzione. Quasi ostenta gaiezza. Atteggiamento forse voluto, ricercato? Smarrito e spaventato, ingoio la finzione di quel processo che sto subendo.

È evidente che sono diventato un analfabeta in materia. Analfabetismo di ritorno. Eppure un "fatto" non può sfuggire al collegio. Non sussistono, non emergono altre dichiarazioni accusatorie all' infuori di quelle a suo tempo rese dai cinque futuri patteggiatori. Diventa uno sforzo sovrumano assumere quelle dichiarazioni nella schematica di "indizi" o addirittura di "prove".

- A stretto rigore di logica processuale bisogna ritenere siccome qui integralmente trascritto il contenuto di quei verbali, peraltro neppure letti...

- Commento respinto. - Non le sembra eccessiva la lettura? A interrompe la presidente, la quale tuttavia non sottovaluta l'osservazione, se prima fissa il pm e poi si volge a destra e a sinistra a guardare i due magistrati componenti il collegio.

- A che pro? Sarebbe meglio copiarli. Copie di copie come le dichiarazioni di dichiarazioni - continua l'avvocato. " Me ne rendo conto, anche se formalmente il codice lo afferma.

Attende qualche manifestazione quale sintomo di reazione da parte della presidente. Mutismo assoluto. Meravigliano i magistrati accanto. Non parlano. Bene. Forse la presidente, non del tutto insensibile a logiche formali, avverte che, se venissero letti in quell'udienza i verbali dei patteggiatori, non sarebbe più questione di tempo da perdere; significherebbe la riapertura dell'istruttoria, con imprevedibili conseguenze.

- I sostituti hanno proceduto d'ufficio. Il Gip ha avallato. L'udienza preliminare e stata saltata. Il rinvio a giudizio voluto dallo stesso collega, È sufficiente richiamare l'affermazione: "Un uomo dedito a delinquere". Sui volti dei magistrati nemmeno il cenno di un moto di stupore. Coscienze profonde; si tormentano per la profondità delle loro coscienze: condannare un "giurista". Quale compito! Un onore non da poco. Una sfida. Sfavillano febbricitanti di orgoglio gli occhi, in cui balenano tremendi presagi.

Un'invenzione che non sta né in cielo né in terra né in alcun luogo. Sta nella mente dell'inquirente, del Gip e, purtroppo, si è conficcata anche nella testa dei membri del collegio. Avranno avuto le loro "ragioni". Non si discute. Nessuna attesa di resipiscenza. - La Difesa ha rifiutato di adire il Tribunale della libertà. Non può ora venire a ripetere quello che doveva esporre a suo tempo.

È il credo della presidente Smerdiacova. Noto un'espressione ansiosa negli occhi. Non sono in grado d'intendere, neppure di parlare. Non parlare, non parlare! Già formulata la decisione. Non de da decidere più niente. Attendere la sentenza di condanna. Fisso la presidente; sento lo sguardo divorante: Le ultime parole suonano come per un imminente lugubre presagio.

Scosso fino alla radice dell'essere, vedo svanire ogni barlume di speranza. Non agitarsi! Il cuore in fibrillazione cronica. Sì, dopo il carcere le fibrillazioni striali si sono cronicizzate. Attenzione a improvvisa repentina embolia. Potrebbe essere fatale. Perché far sghignazzare il Maligno? Allora, forse, sarei veramente colpevole. Colpevole di subire l`oltraggio della "dignità umana". Chi ha parlato di Tribunale della "libertà"? Faccia silenzio! - interrompe bruscamente la presidente. Aggiunge: - La faccio allontanare dall'aula ¬ Mima l'avvertimento con il gesto della mano aperta.

- Mi scusi, non è la prima volta che lo ribadisce... Certo, accidentalmente. Ma la verità non si può nascondere. Vibrano le vetrate come percosse da improvvise folate di vento. Quella parola, "verità", si schiaccia contro la parete dove è stampata la nota frase. Viene da chiedersi chi siano i "tutti". Per qualche filosofo "tutti" e "nessuno".

_ Continua, eh? Impertinenza - sussurra, aggrottando le ciglia e smozzicando le parole. Tono di forte insofferenza, ma non ancora di collera. Anche il difensore raccomanda di fare silenzio. _ Ho finito, ho finito. Peccato. Desideravo lodare l'imparzialità dei magistrati incontrati.. .

- Avvocato! - si alza in piedi, la presidente, e sembra intenzionata a emettere qualche ordine di servizio.La voce scandisce parole tremanti, le gote si sbiancano, le pupille nere sfavillano più del solito.

L'atmosfera della stanza è pervasa da scariche di nervosismo, di elettricità umana. Il p.m. è sul punto d`intervenire. Si agita... scatta in piedi, guarda attorno e si accorge che non c'è pubblico nella stanza. Non ha più voglia di interferire, anche perché il difensore lo precede con una frase a sorpresa.

- Seguiamo pure l'impostazione dell'Accusa. Una mossa psicologica. È quello che ambisce la residente. Non posso, non riesco a trattenermi e, come in preda a un'incontrollata convulsione, prorompo: - Quale impostazione? La prima, la seconda, la terza, la quarta?

È il difensore a riprendermi. - Dicevo, or ora, seguiamo l'impostazione dell'Accusa. Ecco gli atti, i verbali. I magistrati fingono di compulsare le carte, alla ricerca dei verbali, sfogliando i fascicoli... Ci sono, non ci sono... Eccoli. A Dopo che si accorge di non poter perseguire né per reticenza né per corruzione né per evasione fiscale, cos'altro resta, secondo le indagini iniziate? L'interrogativo si prolunga quel tanto che e sufficiente per tentare di spezzare i vincoli. Invano! I richiami producono un risultato contrario, come si nota nell'atteggiamento dei giudicanti. Le dichiarazioni dei patteggiatori via via risuonano nell'aula; gravitano con suono sempre più forte e rimbombante.

- Le indagini vengono spinte, consumate fino in fondo. Si tentano tutti gli espedienti processuali, si ricercano personaggi noti e ignoti, alcuni addirittura estranei. Risulta dai documenti. Non è un sogno, questo! Ancora interrogatori in cerca del patrocinatore che si vanta di essere, come riferiscono i verbali, un "bravo avvocato" amministrativista, un "buon conoscitore di giudici". Sono dichiarazioni di dichiarazioni accusatorie, non è vero? Se sbaglio, accetto correzioni. Si rivolge con vigore ai magistrati. Non scossi né, tanto meno, perplessi.

Il vicepretore onorario, ogni tanto, cade in una sorta di stralunamento. Per gli altri si tratta di ovvie conoscenze. Il difensore conosce il loro convincimento. Li asseconda. Non stacca gli occhi dalla presidente, come improvvisamente colpito da qualcosa. - Occorre convenirne. Hanno, lor signori, memoria di un avvocato che, dopo quarant'anni di professione, vada dicendo ai propri clienti di essere "bravo"? Un minimo di onestà intellettuale... Aveva l'imputato bisogno o ambizioni di vantarsi dicendo di essere "bravo"? Ci sono i suoi scritti; non solo, anche le sentenze in cui figura come avvocato.S'intromette d'improvviso il sostituto 'Coda di paglia'. La presidente non interviene. - Non si disconosce l'uomo di scienza -_ Ambiguità. Per l'aula di udienza una vampata di zolfo, acre e nauseabonda. È forse la presenza del Maligno con tanto di ali infuocate fra tuoni e lampi, forse il lezzo di fetida menzogna. Avverto quell'invisibile presenza: uno smisurato timore mi fa tremare. Prevedo quello che sta per accadere... Sono in balia del male; torturo me stesso. Non sento più quello che sta dicendo il difensore. Ma che può dire? Come far rinsavire all'ultimo momento il collegio? Nessun barlume di speranza. Ogni favilla è spenta, in quell'aula.

 

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