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Quante volte al giorno ci sentiamo dire, "Ma proprio a noi dovevano capitare queste cose?". Sia che "queste cose" siano faccende serie, siano seriose o drammatiche.
E le risposte non sempre sono a portata di mano. Tanto meno, a volte, troviamo la forma per rispondere senza infastidire l'interlocutore. E, il più delle volte, ce ne usciamo con un'alzata di spalle.
Abbiamo potuto verificare negli ultimi decenni come siamo stati sottoposti a martellamenti pubblicitari per comprare ciò che non avremmo voluto comprare mai; così come ci hanno fatto mangiare cibi, respirare aria, votare referendum lontani dai nostri interessi: individuali o collettivi.
Per non parlare, poi, delle nostre scelte politiche.
Abbiamo creduto di tutto: che c'erano stati regalati un milione di posti di lavoro; che la stessa persona ci avrebbe resi ricchi, allo stesso modo di come si era arricchito lui medesimo. Per non parlare, per amor del cielo, di quei giovani, catapultati in politica a loro insaputa, che con bottiglie di champagne in mano ci informavano di aver sconfitto, finalmente, la povertà.
E siamo rimasti indifferenti davanti a nostri presidenti del consiglio che avendo avuto come ospite ufficiale un ex dittatore libico non esita, con il capo chino, a baciargli la mano.
E che dire di un intero parlamento che non esita a votare, contro la richiesta della magistratura per procedere nei confronti di un loro collega, che una giovane prostituta fosse la nipote dell'ex dittatore egiziano Mubarak.
Senza vergogna e senza rossore.
Quello che è successo negli ultimi due/tre anni è cronaca ed è sufficiente un semplice accenno. Abbiamo visto la scienza messa alla berlina da persone che scienziati non erano, creando anche movimenti capaci di portare in Piazza centinaia di migliaia di persone al grido di NO-VAX.
Oggi, buona parte delle stesse persone sono diventate esperti di geo-politica e di strategie militari.
E ci fermiamo qui.
Nel libro di Francesco Piccolo "Italia Spensierata" edizioni Einaudi, 2014, di cui ci occuperemo questa settimana, troviamo tutte le risposte alle nostre domande che ci poniamo da una vita. Trovando delle risposte in una splendida forma di un'ironia sagace e molto riflessiva.
Qualità che riconosciamo a Francesco Piccolo, in questo divertente, se non fosse drammatico. saggio.
<<Ci sono cose che non fareste mai. Cosi dite: né ora né mai. Sprecare una fruttuosa domenica pomeriggio negli studi di Cinecittà per partecipare a una trasmissione televisiva, per esempio. Sgomitare in autogrill durante l'esodo delle vacanze. Mettersi in coda per il giro della morte sulle montagne russe e spendere un intero stipendio sotto il giogo di figli ipnotizzati. Affrontare il pigia-pigia per l'ultimo cinepanettone, quello che vanno a vedere tutti, quello che incarna l'animo dell'italiano medio e trovarsi li con tanti italiani medi a sorbirsi l'ennesimo girovagare degli equivoci. E poi succede che vi ritrovate dentro le cose che non fareste mai. A tutti, prima o poi, succede. "E il momento in cui ci si chiede se ci si sente un po' stupidi. E la risposta non è: no. La risposta è: si. Ma questo si è comprensivo e caloroso, suggerisce un diritto a essere un po' stupidi qualche volta nella vita. E a lasciarsi andare". Francesco Piccolo ci porta con sé alla scoperta di un paese, il nostro, dove i cliché stereotipati che etichettano precisi gruppi umani non hanno "diritto di cittadinanza". Perché non può esistere un "noi" e un "loro">>.
È quanto possiamo leggere nella quarta di copertina.
Il saggio comprende quattro capitoli, un prologo ed un epilogo.
Il prologo, siamo nell'inverno del 1969, si occupa del sabato sera degli italiani: davanti lo schermo della TV dove le sorelle Alice ed Ellen Kessler iniziavano la puntata di "Canzonissima" con il motivetto "Quelli belli come noi", la sigla della trasmissione. Francesco Piccolo aveva cinque anni e ricorda: "… ballavano con sincronia perfetta, con l'intento, credo, di apparire una lo specchio dell'altra, e ci dicevano che se cantavamo insieme a loro, quella sera, eravamo belli come loro, e se non cantavamo, eravamo brutti. Noi cantavamo. Ed eravamo più che sicuri di far parte di una comunità molto grande quella sera, una comunità di gente come noi che aveva la casa occupata dell'odore di borotalco e di frittata. E che cantava come noi".
Il primo capitolo, "In carne e ossa", ci riporta una ventina d'anni dopo, quando nella nostra TV imperversava la trasmissione "Domenica In" con Pippo Baudo, Mara Venier e Luisa Corna.
L'Autore si procura un invito e partecipa ad una serata tra il pubblico. Dalla sua descrizione, con intelligente ironia, emergono degli stereotipi nei quali ognuno di noi non dovrebbe far fatica a riconoscersi.
E così, anche negli altri tre capitoli: dal demenziale "Tempo di percorrenza troppo lungo" per raggiungere in estate le località balneare incolonnati in fiumi di auto in autostrada; ad "Una tonnellata di equivoci" ad "Un posto dove si può perdere tutto" troveremo qualcuno, o qualcosa, che ci assomiglia.
Crediamo che sia arrivato il tempo di capire, veramente cosa ci sia successo, di indagare la nostra memoria, senza furbizia e senza inganni e metterci al lavoro per uscire da un tunnel la cui uscita diventa sempre più difficile.
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Rosario Antonio Rizzo
Dopo il conseguimento del diploma di insegnante di scuola elementare all’Istituto magistrale “Giuseppe Mazzini” di Vittoria, 1962, si reca in Svizzera, dove insegna, dal 1964 al 1975, in una scuola elementare del Canton Ticino.
Dal 1975 al 1999 insegna in una scuola media, sempre nel Canton Ticino e, in corso di insegnamento dal 1975 al 1977 presso l’Università di Pavia, acquisisce un titolo svizzero, “Maestro di scuola maggiore” per l’insegnamento alla scuola media. Vive tra Niscemi e il Canton Ticino. Ha collaborato a: “Libera Stampa”, quotidiano del Partito socialista ticinese; “Verifiche” bimensile ticinese di scuola cultura e società”; “Avvenire dei lavoratori”; “Storia della Svizzera per l’emigrazione”“Edilizia svizzera”. In Italia: “Critica sociale”; “Avanti”; Annali” del Centro Studi Feliciano Rossitto; “Pagine del Sud”; “Colapesce”; “Archivio Nisseno”.