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Domiciliatari, la Sentenza: "Se non lo paga il Cliente, a pagarlo sarà tenuto il collega che lo ha incaricato!

Costituisce illecito disciplinare il comportamento dell´avvocato che non provveda a pagare il compenso del collega cui ha affidato direttamente funzioni di rappresentanza o assistenza giudiziale. Sul punto, riportiamo una interessante analisi di una recente sentenza CNF pubblicata sul portale giuridico Altalex (link originale http://www.altalex.com/documents/news/2017/06/26/compenso-del-domiciliatario-se-non-paga-il-cliente-paga-l-avvocato-che-ha-affidato-lincarico)

Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 313/2016

In questa decisione il Consiglio Nazionale Forense si occupa di numerose questioni disciplinari, tutte occasionate da plurimi comportamenti di un medesimo avvocato. Fra i vari profili analizzati, il CNF ribadisce, in generale, la rilevanza del principio deontologico di colleganza anche al di là dei principi strettamente civilistici e conferma, più specificamente, l´applicabilità di tale principio con riferimento al pagamento del compenso del "domiciliatario".

Il fatto

Nel caso in esame il Consiglio Nazionale Forense è stato adito in sede di impugnazione nei confronti di una decisione emessa dal Consiglio dell´Ordine degli Avvocati di Milano. Nella pronuncia impugnata il COA territoriale aveva riconosciuto la responsabilità disciplinare dell´avvocato con riferimento a svariati capi di incolpazione e aveva comminato la sanzione della cancellazione dell´albo.

La domanda

A seguito di sette distinti esposti nei confronti del medesimo avvocato, il COA di Milano procedeva in via disciplinare nei confronti di quest´ultimo, incolpandolo di non aver corrisposto i compensi dovuto a colleghi incaricati da lui stesso di attività di assistenza e rappresentanza giudiziale, di essersi trattenuto somme spettanti ai propri clienti, di aver chiesto corrispettivi eccessivi, di non aver correttamente il cliente dello svolgimento del mandato conferitogli e, infine, di aver percepito compensi senza fatturarli. Il COA di Milano, riuniti i procedimenti e svolta l´attività istruttoria, riconosceva la responsabilità disciplinare dell´avvocato e gli comminava la sanzione disciplinare della cancellazione dall´albo. La sentenza veniva quindi impugnata avanti al Consiglio Nazionale Forense; l´incolpato deduceva, in particolare, la sopravvenuta abrogazione della sanzione della cancellazione, l´errata valutazione in fatto compiuta dal COA territoriale e l´omessa valutazione di alcuni documenti prodotti in primo grado. Il ricorrente, quindi, chiedeva il proscioglimento o, in subordine, l´applicazione di una sanzione meno afflittiva.

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

Il Consiglio Nazionale Forense, con la decisione qui annotata, accoglie parzialmente il ricorso proposto nei confronti della decisione del consiglio territoriale, conferma la responsabilità disciplinare del ricorrente con riferimento solo ad alcuni dei capi di incolpazione e ridetermina la sanzione disciplinare (comminando la sospensione per dodici mesi).

Come già accennato, la decisione annotata ha ad oggetto diversi illeciti disciplinari. Di particolare interesse appaiono i capi di pronuncia relativi alle violazioni dell´art. 30 del codice deontologico forense previgente (ora art. 43), violazioni rappresentata dal mancato pagamento da parte dell´incolpato del compenso richiesto da due colleghi per l´attività di domiciliazione.

In realtà, i fatti oggetto dei due capi di incolpazione differiscono fra loro. Nel primo caso, l´incolpato giustificava il mancato pagamento nell´eccessività del compenso richiesto dal domiciliatario. Nel secondo caso, invece, lo giustificava sulla base di contingenti difficoltà economiche.

Al netto di queste differenze, il Consiglio Nazionale Forense coglie l´occasione per svolgere alcune affermazioni di indubbio interesse e di valenza più generale. In particolare, viene ribadita l´importanza del principio di lealtà e correttezza nei rapporti di colleganza fra avvocati; e ciò in considerazione della sua rilevanza anche al di là dei principi strettamente privatistici e civilistici. Si tratta di una affermazione pienamente condivisibile. L´attuale tendenza ad attribuire espresso riconoscimento normativo ai principi e alle regole deontologiche non ne fa comunque venir meno la maggiore estensione applicativa. Senza voler affrontare temi troppo complessi e intricati (come quello della funzione delle norme giuridiche), si può comunque sostanzialmente concordare sulla natura precipuamente tecnica e strumentale delle norme di diritto privato; per converso, le norme deontologiche prescrivono comportamenti doverosi "in sé" e, come tali, trovano applicazione anche in situazioni giuridicamente irrilevanti (o, più specificamente, irrilevanti per il diritto privato).

Tale impostazione ha significativi risvolti con particolare riferimento al tema affrontato dal CNF, risvolti forse non espressamente considerati nella decisione annotata. Affermare che il principio di colleganza si estende anche al di là delle eventuali tutele civilistiche vuol dire configurare in capo all´avvocato il dovere deontologico di corrispondere al collega cui abbia affidato lo svolgimento di attività di assistenza e di rappresentanza giudiziale il compenso dovuto per tale attività anche nel caso in cui il domiciliatario non possa pretendere il pagamento (dal punto di vista strettamente civilistico) direttamente dal collega. Ovviamente questo problema non si poneva nel caso analizzato dal CNF, in cui, come accertato anche giudizialmente, l´incolpato era tenuto anche civilisticamente a corrispondere il compenso al domiciliatario.

Ad onor del vero, però, si tratta di un´ipotesi limite, quasi di scuola. In concreto, infatti, appare piuttosto difficile ipotizzare che il domiciliatario indicato dal difensore incaricato dell´assistenza giudiziale non abbia anche una tutela civilistica diretta nei confronti di quest´ultimo. Come riconosciuto recentemente dalla giurisprudenza di legittimità, il rilascio della procura alle liti anche a favore del difensore domiciliatario non è elemento sufficiente per escludere un rapporto giuridico diretto fra quest´ultimo e il difensore incaricato dell´attività di assistenza, il dominus della controversia secondo il gergo aulico della pratica forense. Si tratta di una questione di fatto che va accertata di volta in volta, dovendosi verificare appunto se la parte abbia inteso direttamente conferire ad entrambi i legali il mandato di patrocinio, oltre alla procura ad litem (cfr. Cass. n. 19416/2016).

Ma vi è un secondo profilo di interesse. Secondo il CNF l´attuale disciplina del rapporto di colleganza con il difensore domiciliatario sarebbe sostanzialmente identica a quella previgente; e ciò in quanto l´art. 30 del codice deontologico previgente sarebbe stato "riprodotto" nell´art. 43 del codice deontologico vigente. In realtà, leggendo bene le norme tale conclusione non pare essere poi così scontata. In primo luogo l´art. 43 ora vigente prevede che il difensore debba "compensare" il difensore domiciliatario, mentre l´art. 30 previgente imponeva di "retribuirlo". Inoltre, la norma previgente esonerava dalla responsabilità disciplinare solo nel caso in cui l´avvocato avesse dimostrato di essersi attivato ("anche postergando il proprio credito") inutilmente; tale previsione non è stata più riprodotta nel testo attualmente vigente; e ciò non pare irrilevante. Al contrario, le differenze paiono abbastanza significative nel senso di una attenuazione dei doveri incombenti sul difensore che abbia incaricato un domiciliatario; l´espressione "compensare" sembra riferibile al pagamento delle sole spese vive o, al più, per usare (un po´ impropriamente) una terminologia civilistica, al solo danno emergente. Sarà interessante capire, quindi, se la pronuncia qui annotata sia un consapevole segnale di continuità in materia oppure se, invece, sia frutto di una lettura veloce delle nuove norme (che, del resto, non erano applicabili al caso preso in esame dal CNF).

Un ultimo profilo di interesse consiste nella possibile rilevanza della contestazione dell´entità dei compensi richiesti dal domiciliatario ai fini dell´esclusione (o anche solo nell´attenuazione) della responsabilità disciplinare. Tuttavia, così come l´art. 30 previgente, anche l´art. 43 c.p.c. non disciplina specificamente il caso in cui le richieste del domiciliatario siano eccessive. La sentenza qui annotata offre qualche interessante spunto in argomento.

Con riferimento a uno dei capi di incolpazione (il primo per la precisione), l´incolpato si era difeso appunto sostenendo l´eccessività dei compensi richiesti dal domiciliatario, eccessività riconosciuta anche dal giudice civile che aveva conseguentemente ridotto il compenso richiesto. Pur affermandolo in modo sostanzialmente implicito, il CNF lascia intendere che la contestazione dell´entità dei compensi richiesti dal domiciliatario e quindi il rifiuto di pagamento degli stessi siano comportamenti legittimi e, come tali, privi di rilevanza deontologica. Tuttavia, come si ricava sempre dalla sentenza, questi comportamenti sono legittimi solo fino a quando i compensi (anche se ridotti) vengono accertati giudizialmente; in tal caso, a fronte cioè di una sentenza esecutiva (anche se ancora non definitiva), l´avvocato è tenuto a corrispondere al domiciliatario i compensi così accertati e il mancato pagamento costituisce illecito disciplinare.

La decisione in sintesi

In caso di domiciliazione, il compenso dovuto all´avvocato domiciliatario è dovuto direttamente dall´avvocato che ha scelto il domiciliatario stesso.

Esito della domanda:

Accoglie parzialmente il ricorso, conferma la responsabilità disciplinare per alcuni capi di incolpazione e ridetermina la sanzione disciplina.

Precedenti giurisprudenziali:
Cass. civ. sez. III, 30/09/2016, n. 19416

Riferimenti normativi:

Art. 22, comma 1, Codice deontologico forense previgente
Art. 30, Codice deontologico forense previgente
Art. 19, Codice deontologico forense vigente


 

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