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Docente universitario: sì al collocamento obbligatorio se ricopre cariche pubbliche

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Il professore universitario che ha assunto cariche pubbliche va collocato in aspettativa d'ufficio (e non a domanda, come per gli altri dipendenti dello Stato). E ciò al fine i) di sollevare «il titolare dell'incarico dalle incombenze connesse al suo status di docente»; ii) di consentire a quest'ultimo di impegnarsi nel suo incarico; iii) di evitare che il docente sia privato del suo posto di lavoro (cfr. Cons. di Stato, VI, n. 7945 del 2003, Cons. Stato, Sez. VI, n. 6511 del 2008); iv) di evitare che il docente sia «esposto a un'inevitabile dilatazione del perimetro della responsabilità erariale (automaticamente circoscritta, mediante il collocamento in aspettativa, al solo alveo della carica pubblica conferitagli)».

Questo è quanto ha statuito il Tar Friuli-Venezia Giulia con sentenza n. 473 del 14 novembre 2019.

Ma vediamo nel dettaglio la questione sottoposta all'esame dei Giudici amministrativi.

I fatti di causa.

Il ricorrente è docente universitario di ruolo. È accaduto che su designazione dell'amministrazione regionale, egli è stato nominato componente del consiglio di amministrazione di una società di capitali a partecipazione pubblica. Quest'incarico ha ad oggetto meri "compiti" per lo più attinenti alla legale rappresentanza della società stessa e al corretto funzionamento degli organi societari. In conseguenza dell'assunzione di tale incarico, il rettore dell'Università, presso cui il ricorrente è docente, ha disposto d'ufficio il collocamento di quest'ultimo in aspettativa senza assegni.

Così il caso è giunto dinanzi al Tar.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico di tale autorità giudiziaria. 

La decisione del Tar.

Il ricorrente contesta il provvedimento dell'Università, in quanto, a suo dire:

  • «il regime di aspettativa obbligatoria coglie esclusivamente le ipotesi in cui l'assunzione della carica sociale dia luogo allo svolgimento di una attività imprenditoriale (c.d. "esercizio dell'industria e del commercio")», mentre il suo incarico avrebbe ad oggetto «un ruolo poco più che onorifico, di per sé non idoneo a generare elementi di incompatibilità rispetto alla prestazione del docente (con la quale non verrebbe in nessun modo ad interferire, non minando né la qualità dell'insegnamento, né il contenuto dell'attività scientifica)»;
  • la società, del cui consiglio d'amministrazione fa parte, non può essere qualificata come pubblica, dato che la partecipazione pubblica in essa è inferiore al 50%. Ne conseguirebbe, l'inapplicabilità dell'art. 13, D.P.R. n. 382/1980 che prevede «la collocazione in aspettativa […] nel caso di nomina alle cariche di presidente, di amministratore delegato di enti pubblici economici, di società a partecipazione pubblica, anche ai fini di lucro».

Di diverso avviso è il Tar adito. Vediamo perché.

Secondo i Giudici amministrativi, la società in questione rientra pienamente nella categoria delle "società a partecipazione pubblica", che, ai sensi dell'art. 2, 1 co.,D.Lgs. n. 175/2016 (Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica), sono tali «le società a controllo pubblico, nonché le altre società partecipate direttamente da amministrazioni pubbliche o da società a controllo pubblico». 

In buona sostanza, a parere del Tar, ciò che rileva non è la percentuale di quota di partecipazione del capitale sociale posseduta dalla pubblica amministrazione, ma la sua titolarità. D'altro canto lo stesso art. 2 su citato chiarisce che «per partecipazione deve intendersi la titolarità di rapporti comportanti la qualità di socio in società o la titolarità di strumenti finanziari che attribuiscono diritti amministrativi». A questo deve aggiungersi il fatto che, ai sensi del successivo art. 12, «i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate (salva l'amplificazione del regime di responsabilità nel caso di società in house) sono comunque soggetti, indipendentemente dall'assunzione di una posizione di controllo da parte dell'amministrazione, alla giurisdizione della Corte dei conti, "nei limiti della quota di partecipazione pubblica" (1 co.), in tutti i casi di "danno erariale ..., patrimoniale o non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti […]"». Da tale contesto normativo, secondo i Giudici amministrativi, appare evidente che:

  • la società del cui consiglio d'amministrazione il ricorrente fa parte deve essere qualificata come società a partecipazione pubblica;
  • la carica assunta dal ricorrente, sebbene non abbia ad oggetto poteri gestori, pone il docente in una condizione di responsabilità erariale nei confronti dell'amministrazione.

Con l'ovvia conseguenza che il collocamento in aspettativa d'ufficio del docente assolve a una funzione di garanzia in quanto, da un lato, i) solleva «il titolare dell'incarico dalle incombenze connesse al suo status di docente, consentendogli di dedicare tutto il suo impegno al migliore espletamento dell'incarico, senza privarlo del suo posto di lavoro» (cfr. Cons. di Stato, VI, n. 7945 del 2003)" (Cons. Stato, Sez. VI, n. 6511 del 2008), dall'altro, ii) scongiura «gli effetti della altrimenti inevitabile dilatazione del perimetro della responsabilità erariale (automaticamente circoscritta, mediante il collocamento in aspettativa, al solo alveo della carica conferitagli)».

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, pertanto, il Tar ha ritenuto infondate le doglianze del docente e ha respinto il suo ricorso.

 

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