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In una delle tantissime effimere dichiarazioni dell'allora presidente del consiglio italiano, Silvio Berlusconi, troviamo un'affermazione eclatante: "Benito Mussolini non ha mai ucciso nessuno e mandava gli antifascisti in vacanza". Vero è che la dichiarazione era stata rilasciata tra un bicchiere di champagne ed un pizzichino. Ma non poteva passare inosservata.
Eravamo intorno all'anno 2000.
Un altro politico, il siciliano Mario Scelba, ministro degli interni in tempi lontani, amava ripetere che la mafia in Sicilia non esisteva. E ciò nonostante l'imperversare della banda di Salvatore Giuliano, delle miriadi bande locali che infestavano le campagne dopo la fine della Seconda guerra mondiale e, soprattutto, dopo la strage di Portella della Ginestra.
Eravamo all'inizio degli Anni Cinquanta del secolo scorso.
Due affermazioni a distanza di sessant'anni che, di primo acchito, potrebbero sembrare avulse da un unico contesto.
Ci siamo occupati, qualche anno fa, dell'allestimento di una mostra sullo "Sbarco delle forze alleate in Sicilia" del luglio 1943 con l' "Operazione Husky". I documenti del passato e l'apertura degli archivi, sia italiani sia americani, fanno luce su moltissimi fatti che, nel tempo, non riuscivano a trovare riscontri nelle intuizioni intelligenti espresse da storici, scrittori, giornalisti, opinionisti.
C' è stato un antifascismo militante dall'ottobre 1922, marcia su Roma, fino al 1945. La Svizzera ed il Canton Ticino, di lingua italiana, così come la Francia, fino all'occupazione nazista, sono state terre ospitali.
Ma pochi erano convinti che esistesse anche un "clandestinismo fascista", appoggiato sia dai comandi delle forze alleate, sia da chi alla mafia dettava ordini.
Nel 1987, lo storico Francesco Renda, "Storia della Sicilia. Dal 1860 al 1970", Sellerio editore, sosteneva: "La storia siciliana degli ultimi quarant'anni ha inizio con un avvenimento di importanza internazionale decisiva: la sbarco delle truppe alleate, effettuato sulle coste meridionali dell'isola, nelle prime ore del 10 luglio 1943. Quel fatto militare, uno dei tanti clamorosi episodi della Seconda guerra mondiale, ebbe ripercussioni e conseguenze che si proiettarono in almeno tre distinte direzioni: la prima, di carattere generale, fu il nuovo corso della Seconda guerra mondiale in Europa; la seconda, di portata più limitata ma sempre di grande importanza, fu la piega drammatica assunta, dopo il 10 luglio siciliano, dalla storia politica e militare italiana; la terza, di rilievo prevalentemente regionale, fu il rimescolamento delle carte che, a sbarco riuscito, seguì nell'isola con l'adozione di nuove regole nella formazione degli equilibri societari della cosa pubblica e privata".
Se l'apertura del "Secondo fronte" in Europa rappresenta l'inizio della fine delle dittature fascista e nazista, le altre due direzioni, di cui parla Renda, oggi alla luce di nuovi documenti completano un quadro sul coagulo di forze diverse ma, comunque, destabilizzanti che proprio in Sicilia hanno trovato un terreno adeguato sul quale confrontarsi e, in un secondo tempo, scontrarsi.
Gli archivi ai quali si fa riferimento sono quelli del College Park (Meryland) l'altro il "cosiddetto archivio parallelo" di via Appia a Roma consultato dallo storico Aldo Giannuli che, per incarico del giudice che indagava sulla strage di Piazza Fontana e la formazione neofascista di "Ordine Nuovo".
Ma che cosa viene fuori dalla lettura di questi documenti?
In primo luogo che, dopo l'8 settembre 1943, Benito Mussolini affidò al gerarca Alessandro Pavolini l'incarico di dare vita, nell'Italia meridionale, ad un movimento di ricostruzione del partito fascista.
In questo tentativo disperato di Mussolini ebbero ruoli importanti diverse forze, politiche, militari, sociali ma con l'unico scopo di evitare che l'Italia cadesse in mano comunista.
Se le Forze alleate avevano ben pensato di partire dalla Sicilia per la rinascita delle democrazie in Europa, il fascismo, avrà pensato Mussolini, con la complicità delle forze alleate e del banditismo, alla ricerca di un riconoscimento che, a guerra finita, lo graziasse di tutte le malefatte, gli omicidi, i sequestri di persona, le stragi…, poteva rinascere proprio partendo dalla Sicilia.
In Sicilia, dopo l'8 settembre 1943, si costituisce il "fronte antibolscevico" dal quale facevano parte elementi del fascismo locale e fascisti provenienti da varie regioni italiane.
Il coordinamento, così come emerge dalla ricerca di Aldo Giannuli, viene affidato a Puccio Pucci, capo di stato maggiore delle "Brigate nere", che avevano seminato terrore e morte in tutta Italia dal 1922 in avanti.
All'iniziativa aderiscono la Guardia nazionale repubblichina, la Decima Mas, di Junio Valerio Borghese, "il principe nero", per il ruolo avuto negli anni '70 nelle stragi neofasciste, Aniceto De Massa, personaggio importante, quanto inquietante della Repubblica di Salò.
Gli squadristi erano presenti in tutte le regioni italiane per preparare una controrivoluzione e per mettere a punto un'organizzazione paramilitare decisa a tutto affinché il fascismo ritornasse a spadroneggiare in Italia ma, soprattutto, affinché il comunismo non si impossessasse del potere in Italia. Obiettivi comuni sia dei servizi segreti americani, sia del fascismo morente.
Se gli squadristi fascisti venivano sguinzagliati in moltissime regioni italiane, i servizi segreti americani affidavano a boss della malavita italoamericani il compito di recarsi in Sicilia e, dopo i dovuti contatti, preparare il terreno d'incontro tra la malavita locale, le forze armate americane e gli squadristi fascisti.
Giuseppe Casarrubea sostiene in un documentato articolo: "La storia insegna ed è bene non scordarsela". Il principe nero Borghese si alleò con James Angleton e l'Italia cominciò a respirare il terrorismo eversivo di destra. Fu Angleton a ispirare la creazione nel 1951 del Mossad, il servizi segreto israeliano, e sarà sempre questo oscuro personaggio a trovarsi al centro delle trame che porteranno nel 1963 all'assassinio di J.F. Kennedy (22 novembre). Di Angleton Lucky Luciano ebbe a dire: "Speriamo che succeda mai nulla a questo uomo, perché altrimenti verrebbero a cercarmi". Come a dire che tutti e due, il capo dei servizi di intelligence e il capo della mafia siculo-americana, erano depositari degli sessi segreti".
E si hanno sospetti fondati che a Portella della Ginestra a sparare furono anche alcuni neofascisti provenienti da più parti d'Italia. Così come attestano alcuni fermi operati nella montagna di Montelepre qualche mese dopo la strage del I° Maggio del 1947.
Si spera che questi documenti siano passati al vaglio degli storici per cercare di capire le responsabilità di tutti coloro i quali hanno operato contro la costruzione di uno stato liberale e democratico.
Negli ultimi tempi ci sono state sentenze della Corte di Cassazione che hanno visto alla sbarra uomini politici di primo piano finiti nelle maglie della giustizia e che l'hanno fatta franca per "decorrenza dei termini" da accuse infamanti: da Andreotti a Cuffaro, a Berlusconi che, nel processo al suo sodale Marcello dell'Utri, condannato a sei anni e posto agli arresti domiciliari per malattia, risulta di aver pagato la mafia anche durante la sua presidenza del consiglio.
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Rosario Antonio Rizzo
Dopo il conseguimento del diploma di insegnante di scuola elementare all’Istituto magistrale “Giuseppe Mazzini” di Vittoria, 1962, si reca in Svizzera, dove insegna, dal 1964 al 1975, in una scuola elementare del Canton Ticino.
Dal 1975 al 1999 insegna in una scuola media, sempre nel Canton Ticino e, in corso di insegnamento dal 1975 al 1977 presso l’Università di Pavia, acquisisce un titolo svizzero, “Maestro di scuola maggiore” per l’insegnamento alla scuola media. Vive tra Niscemi e il Canton Ticino. Ha collaborato a: “Libera Stampa”, quotidiano del Partito socialista ticinese; “Verifiche” bimensile ticinese di scuola cultura e società”; “Avvenire dei lavoratori”; “Storia della Svizzera per l’emigrazione”“Edilizia svizzera”. In Italia: “Critica sociale”; “Avanti”; Annali” del Centro Studi Feliciano Rossitto; “Pagine del Sud”; “Colapesce”; “Archivio Nisseno”.