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Decesso del cliente: il compenso dell'avvocato è a carico di colui la cui qualifica di erede è pacifica

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Nel caso di decesso del cliente di un avvocato, è obbligata al pagamento dell'intera somma dovuta a titolo di compenso del professionista, la persona la cui qualità di erede è pacifica. Al fine della ripartizione "pro quota" del debito ereditario tra eventuali coeredi non rileva la mera qualità di altri chiamati all'eredità, ove non vi è prova della loro qualifica di eredi.

Questo è quanto ha ribadito la Corte di Cassazione, sentenza n. 17122 del 13 agosto 2020.

Ma analizziamo nel dettaglio la questione sottoposta all'attenzione dei Giudici di legittimità.

I fatti di causa

La ricorrente ha impugnato la sentenza con cui il Tribunale l'ha condannata al pagamento del compenso dovuto all'avvocato controricorrente del marito, cliente del professionista, ormai deceduto. Il compenso spettante al legale controricorrente trova ragione nell'attività difensiva svolta in favore del defunto nel procedimento di separazione giudiziale, poi dichiarato estinto. In buona sostanza, la ricorrente, lamenta la violazione dell'art. 754 c.c. e quindi il fatto che il Tribunale non ha dato rilievo al fatto che nella successione legittima del marito, lei concorresse con i fratelli e sorelle del defunto. In altri termini, a suo dire, il Giudice di merito:

  • non ha tenuto conto della sussistenza di più chiamati all'eredità ponendo solo a carico della ricorrente l'intero debito ereditario;
  • non ha considerato che nell'ordinamento non esiste nessuna disposizione di legge che stabilisce che in presenza di più chiamati all'eredità […] chi accetta l'eredità e assume di conseguenza la qualità di erede deve pagare interamente un debito ereditario.

Il caso è giunto dinanzi alla Corte di Cassazione.

Ripercorriamo l'iter logico-giuridico di quest'ultima autorità giudiziaria.

La decisione della SC

Secondo i Giudici di legittimità il ricorso è infondato in quanto la qualità di erede della ricorrente è pacifica e come tale è obbligata al pagamento dell'intera somma. Il fatto che la moglie del defunto ritiene che vi siano altri chiamati all'eredità, quali i fratelli del marito, non rileva.

E ciò in quanto:

  • la mera qualità di chiamati all'eredità è diversa dalla qualità di erede;
  • la qualifica di eredi non è stata provata da "apposita documentazione", avendo la ricorrente solo depositato nel giudizio una copia certificato anagrafico dei figli procreati dai coniugi, genitori del defunto. Una documentazione, questa, idonea a dimostrare la qualità di chiamati all'eredità dei fratelli del marito, ma non della loro qualifica di eredi.

A tal proposito, la Corte di cassazione richiama un orientamento pacifico della giurisprudenza, secondo cui chi eccepisce l'esistenza di altri coeredi, nonché la divisione "pro quota" del debito ereditario, ha "l'onere di provarne l'esistenza, la consistenza numerica (agli effetti della eccepita divisione del debito in proporzione della rispettiva quota ereditaria), il titolo alla successione e la stessa qualifica di eredi (così Cass. 2291/1996). E come detto, nel caso di specie, detta prova non è stata fornita. Ne consegue che appare inconferente il riferimento operato dalla ricorrente, a sostegno della propria tesi, relativo alla distinzione tra l'ambito di operatività dell'art. 752 c.c., in base al quale i coeredi contribuiscono tra loro al pagamento dei debiti ereditari in proporzione delle loro quote ereditarie, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto e quello dell'art. 754 c.c., in base al quale gli eredi sono tenuti verso i creditori al pagamento dei debiti ereditari personalmente in proporzione della loro quota ereditaria […]. E ciò in considerazione del fatto che manca la prova dell'esistenza degli altri coeredi.

Alla luce delle considerazioni, sin qui svolte, pertanto, la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso. 

 

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