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Debora, quando Giustizia ritarda più di un treno

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Deborah. Una delle tante donne vittime di femminicidio. Il 13 luglio del 2019 il suo ex coniuge le sparò, uccidendola, sul lungo mare di Savona. Quel giorno sconvolse prima quella città, poi l'Italia intera. Un omicidio efferato, una caccia implacabile. Il killer fece irruzione all'interno dell'Aquario, la puntò, aprì il fuoco. Scappò tra le grida e le lacrime di decine di testimoni, il giorno dopo si presentò ai Carabinieri di Sanremo. Disse ai militari che l'aveva massacrata per una questione di soldi, e si era costituito non perché si fosse pentito del gesto, ma perché una bambina era rimasta lievemente ferita, e questo gli pesava.

Qualche tempo dopo, il 13 maggio 2020, la Corte d'Assise di Savona depositò la propria sentenza, esemplare. Ergastolo. Come si suol dire, fu fatta giustizia. Deborah, però, non c'è più. Tutto rimarrà agli atti, comprese le sue 19 inutili denunce all'ex marito per minacce e stalking. Ci dica signora. Sono qui perché ho paura che possa accadere qualcosa, che lui mi possa fare del male. Ma no, stia tranquilla, parla tanto ma non le farà nulla. Signora, torni a casa. L'ultima risorsa di Deborah, un corso per autodifesa personale, non è bastato contro una violenza bestiale.

13 maggio la Giustizia ha dato una bella risposta, sì, ma non è giusto che si sia arrivati a questo. Quando una donna, una moglie, una compagna chiede aiuto, ascoltatela. Per qualche minuto, mettete in disparte carte, protocolli, pratiche e fascicoli processuali, e ascoltatela come se fosse la vostra donna, la vostra moglie, la vostra compagna. Se pensate che ci sia una possibilità su cento che quel pericolo sia reale, Non mandatela a casa, intervenite. Sappiate, soprattutto, che se le accadesse qualcosa di irreparabile perchè, per sufficienza o per distrazione, non avrete ascoltato quel grido, sarete correponsabili della sua morte, anche se nessuno vi portasse di fronte ad un giudice. 

Deborah, ti sia lieve la terra.

 

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