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Prostituzione sul web, danno immagine ente pubblico, dipendente licenziato in tronco, legittimità

Lo ha stabilito la suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza n. 12898 del 2016, sulla base dell´assunto alla cui stregua il licenziamento de quo non era stato intimato in ragione dell´orientamento sessuale del dipendente, come sostenuto dalla difesa dello stesso, bensì in ragione della pubblica e riconoscibile attività di prostituzione da egli esercitata su alcuni siti internet; attività, questa, chiaramente lesiva dei prestigio e dell´immagine della Provincia, sua datrice di lavoro, ed in generale della Pubblica Amministrazione.
I Supremi Giudici hanno quindi confermato il drastico provvedimento irrogato, escludendo del tutto che esso potesse essere considerato come licenziamento discriminatorio, ossia legato all´orientamento sessuale del lavoratore, essendo invece stato irrogato per l´attività di prostituzione da esso esercitata su alcuni siti internet.
Già i giudici del Tribunale e della Corte d´appello si erano pronunciati nel senso della piena legittimità del provvedimento espulsivo irrogato poiché «la pubblica e riconoscibile attività di prostituzione esercitata su alcuni siti internet» era «chiaramente lesiva del prestigio e dell´immagine della Provincia e, in generale, della pubblica amministrazione».
Hanno sottolineato infatti i Supremi Giudici che «il provvedimento è stato assunto esclusivamente in relazione all´attività di prostituzione pubblicamente esercitata dall´impiegato su alcuni siti web, in cui egli offriva le proprie prestazioni sessuali a pagamento (con un annuncio corredato da tariffario, rimborso spese, supplemento per le riprese con telecamere e da fotografie che ne ritraevano il volto)», e tale attività palesemente è ritenuta «lesiva dell´immagine dell´ente, in quanto gettava discredito sulla Provincia».
Non poteva dunque parlarsi di «licenziamento discriminatorio», bensì di licenziamento irrogato per "giusta causa".
Come si legge nella contestazione disciplinare, infatti, il ricorrente era stato licenziato per avere esercitato attività prostituiva (sia essa omo o etero sessuale) e non per il suo orientamento sessuale.
In buona sostanza i Giudici Supremi hanno affermato che non è possibile ancorare il licenziamento ad alcun riferimento, neppure remoto, di natura discriminatoria, in quanto la stesso provvedimento ha sanzionato, non l´orientamento sessuale del dipendente professato in siti frequentati dalla comunità GLBT, ma esclusivamente l´attività prostitutiva esercitata su altri siti, con danno per la PA.
Tutto ciò detto ed evidenziato la Corte ha rigettato il ricorso.
Sentenza allegata



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