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Con l'ordinanza n. 32077 del 31 ottobre scorso, la Terza Sezione civile della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'assegnazione alle Sezioni Unite della questione, oggetto di contrasto giurisprudenziale, concernente la valenza dei verbali delle Commissioni mediche di cui all'art. 4 della l. n. 210 del 1992 sul piano probatorio, nel giudizio civile per il risarcimento del danno da emotrasfusione.
Nel dettaglio, la terza sezione chiede alle sezioni unite di chiarire se l'accertamento, compiuto dalla Commissione medico-ospedaliera di cui all'art. 4 della l. n. 210 del 1992, circa la riconducibilità del contagio ad un'emotrasfusione, con conseguente attribuzione dell'indennizzo ai sensi di detta legge, implichi, nel giudizio di risarcimento dei danni derivanti da emotrasfusioni promosso contro il Ministero della salute, il riconoscimento, quale fatto indiscutibile e non bisognoso di prova, del nesso causale tra la trasfusione e il contagio, oppure se, al contrario, il verbale della citata Commissione formi piena prova esclusivamente in relazione ai fatti avvenuti in sua presenza ovvero dalla stessa compiuti, e non già con riguardo a valutazioni, diagnosi, manifestazioni di scienza o di opinione, costituenti materiale privo del valore di un vero e proprio accertamento e quindi soggetto al libero apprezzamento del giudice.
Secondo quanto previsto dall'articolo 4 I. 210/1992 "1. Il giudizio sanitario sul nesso causale tra la vaccinazione, la trasfusione, la somministrazione di emoderivati, il contatto con il sangue e derivati in occasione di attività di servizio e la menomazione dell'integrità psico - fisica o la morte è espresso dalla commissione medico-ospedaliera di cui al testo unico approvato con D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 165. 2. La commissione medico-ospedaliera redige un verbale degli accertamenti eseguiti e formula il giudizio diagnostico sulle infermità e sulle lesioni riscontrate. 3. La commissione medico-ospedaliera esprime il proprio parere sul nesso causale tra le infermità o le lesioni e la vaccinazione, la trasfusione, la somministrazione di emoderivati, il contatto con il sangue e derivati in occasione di attività di servizio.
Sul valore da attribuire a tale verbale nell'ambito del giudizio civile volto ad ottenere il risarcimento del danno biologico, si sono formati due orientamenti.
Secondo un primo orientamento, sviluppatosi sulla scia della sentenza emessa dalla terza sezione della corte di Cassazione n. 15734 del 2018, "nel giudizio concernente risarcimento di danno da emotrasfusioni promosso dal danneggiato avverso il Ministero della Salute, l'accertamento della riconducibilità del contagio a una emotrasfusione effettuato dalla Commissione di cui all'articolo 4 I. 210/1992 e in base al quale è stato riconosciuto l'indennizzo previsto da tale legge non può essere
messo in discussione dal Ministero quanto, appunto, alla riconducibilità del contagio all'emotrasfusione, che il giudice deve ritenere fatto indiscutibile e non bisognoso di prova, in quanto, essendo detta Commissione organo dello Stato, l'accertamento è imputabile allo stesso Ministero".
Secondo tale orientamento, dunque, l'accertamento della Commissione, quanto alla sussistenza del nesso causale tra le emotrasfusioni e la patologia, sarebbe equiparabile ad un atto confessorio e ad un'attestazione pubblica fidefacente e non può, perciò, essere contestato dal Ministero convenuto in giudizio.
L'orientamento opposto, invece, fonda le sue radici sulla (più risalente nel tempo) sentenza n. 577/2008 in cui le Sezioni Unite hanno affermato che i verbali delle Commissioni mediche Ospedaliere hanno un valore "meramente relativo" e non costituiscono prova del nesso causale né, tantomeno, hanno valore confessorio.
Tale diverso orientamento poggia sul rilevo secondo cui le deliberazioni collegiali difettano di qualsiasi efficacia vincolante, sia di natura sostanziale che processuale, trattandosi di atti di natura non provvedimentale, poiché preordinati unicamente all'attribuzione di una determinata prestazione previdenziale.
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Paola Mastrantonio, avvocato; amante della libertà, della musica e dei libri. Pensiero autonomo è la mia parola d'ordine, indipendenza la sintesi del mio stile di vita. Laureata in giurisprudenza nel 1997, ho inizialmente intrapreso la strada dell'insegnamento, finché, nel 2003 ho deciso di iscrivermi all'albo degli avvocati. Mi occupo prevalentemente di diritto penale. Mi sono cimentata in numerose note a sentenza, pubblicate su riviste professionali e specializzate. In una sua poesia Neruda ha scritto che muore lentamente chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno. Io sono pienamente d'accordo con lui.