L´ex parlamentare Pdl Nicola Cosentino e suo fratello Giovanni avevano «rapporti intensi con esponenti della consorteria criminale dei Casalesi fin dagli anni Ottanta».
È quanto stabilisce la sentenza emessa il 15 marzo scorso dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere che ha condannato in primo grado 15 imputati, tra cui i tre fratelli Antonio, Giovanni e Nicola Cosentino, per una vicenda di monopolio della distribuzione dei carburanti nel casertano. L´ex parlamentare Pdl, in particolare, già ai domiciliari, è stato condannato a sette anni e sei mesi di reclusione.
La Corte ha dunque vagliato positivamente l´attendibilità di tutti i pentiti che hanno deposto contro l´ex sottosegretario all´Economia. "Nicola Cosentino aveva nel corso degli anni goduto dell´appoggio elettorale dell´intera consorteria criminale — si legge nella motivazione della sentenza — di Francesco Bidognetti in seguito Giuseppe Russo e Nicola Panaro, consentendo al medesimo di conquistare posizioni via via di maggiore rilevanza politica fino a diventare deputato e sottosegretario di Stato. In contropartita, Cosentino assicurava agli affiliati il suo appoggio politico presso le amministrazioni locali".
Quanto al fratello Giovanni, di fatto gestore della Aversana Petroli srl, la società di famiglia nel settore distribuzione e stoccaggio carburanti di cui era formalmente amministratore l´altro fratello Antonio, pure lui condannato, "nel corso degli anni ha ricevuto titoli di credito provenienti da estorsioni in un primo tempo del gruppo Bidognetti e da Domenico Bidognetti, quindi da Nicola Panaro e Giuseppe Misso, in alcune occasioni anche da Antonio Iovine". Altro elemento a sostegno della tesi che ha portato alla condanna, per i giudici è contenuto dalla testimonianza dell´amministratore giudiziario della Aversana Petroli, sotto sequestro come altre aziende del gruppo, che in aula ha detto che la contabilità delle società che fanno capo ai fratelli Cosentino negli anni 2004-2014 presenta diverse anomalie, tra cui la più rilevante è il fatto che portava in contabilità "un´unica cassa senza distinguere la cassa assegni dalla cassa contanti", e soprattutto che il valore della cassa «era sempre elevatissimo". Un valore per il quale però non si era in grado di verificare entrate e uscite. Per il collegio giudicante dunque si è in presenza di un sistema che "impedendo controlli agevola le irregolarità» e soprattutto fa sì che "Giovanni Cosentino potesse disporre di ingenti somme liquide". "Le condotte poste in essere da Giovanni Cosentino integrano il delitto di riciclaggio"..
Fonte: La Repubblica, 21 giugno
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