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Avvocati, rimborso spese generali, SC: "Spetta automaticamente al professionista"

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Con la pronuncia n. 17076 dello scorso 13 agosto, la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una Curatela che, dopo essere stata condannata alla rifusione delle spese processuali e alrimborso delle spese generali in favore della controparte, eccepiva l'illegittimità della decisione sulle spese processuali, per non essere ancora entrato in vigore, al momento della decisione, il D.M. n. 55 del 10 marzo 2014 che prevede, appunto, il rimborso forfettario al difensore anticipatario delle spese generali, pari al 15 per cento del compenso totale per la prestazione.

La Cassazione ha, di contro, ritenuta corretta la decisione del giudice di appello che aveva statuito il rimborso sulla base dell'art. 13 comma 10 della legge 247 del 2012, specificando che "il rimborso forfettario delle spese generali è una componente delle spese giudiziali, la cui misura è predeterminata dalla legge e spettante automaticamente al professionista difensore, anche in assenza di allegazione specifica e di apposita istanza, dovendosi questa ritenere implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali che incombe sulla parte soccombente".

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'emissione di un decreto con cui il Tribunale di Treviso accoglieva parzialmente l'istanza di un lavoratore che chiedeva che i suoi crediti per retribuzioni e T.f.r. fossero ammessi allo stato passivo di un fallimento in via privilegiata, ai sensi dell'art. 2751 bis c.c. n.1.

Nel summenzionato decreto il Tribunale compensava le spese processuali tra il lavoratore e il Fallimento, comprendendo tra le stesse anche le spese generali.

Ricorrendo in Cassazione, il Fallimento eccepiva violazione e falsa applicazione dell'articolo 91 c.p.c., per aver il Tribunale erroneamente statuito sulle spese, poste a carico della curatela nonostante la soccombenza parziale del lavoratore. 

 In seconda istanza, la Curatela deduceva violazione e falsa applicazione dell'art. 9 del D.L. 1/2012 e dell'art. 13, comma 6, della legge 247 del 212, per essere stata condannata, con la rifusione delle spese del giudizio, al rimborso delle spese generali in misura del 12,50%.

A tal fine il ricorrente evidenziava come siffatta normativa non era più in vigore all'epoca della statuizione (marzo 2014), per l'abrogazione delle tariffe professionali, ripristinate solo con l'emanazione del D.M. n. 55 del 10 marzo 2014, entrato in vigore il 2 aprile 2014.

La Cassazione non condivide le doglianze sollevate del ricorrente.

La Corte premette che la statuizione sulle spese – di spettanza del giudice di merito e, pertanto, insindacabile – può essere rimessa in discussione solo se si sia violato il principio secondo cui le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa: ne deriva che esula dal potere di controllo della Corte di Cassazione – in quanto rientrante nel potere del tutto discrezionale del giudice di merito – la valutazione sull'opportunità di compensare in tutto o in parte le spese nell'ipotesi di soccombenza reciproca tra le parti o qualora ricorrano giusti motivi di compensazione.

Nel caso di specie, il giudice di merito, nel suo potere discrezionale, ha ritenuto di disporre la compensazione perché la curatela era risultata prevalentemente soccombente: in presenza di siffatto presupposto gli Ermellini confermano la decisione sulla compensazione, non potendo sindacare la scelta compiuta dal Tribunale.

In relazione alla condanna della Curatela alla rifusione delle spese generali e al rimborso delle spese generali in misura del 12,50%, la Cassazione ricorda come i nuovi parametri fissati dal D.M. n. 55 del 2014 (che prevedono altresì che sia dovuto, al difensore anticipatario, il rimborso forfettario per spese generali, pari al 15 per cento del compenso totale per la prestazione) si applicano in tutti i casi in cui la liquidazione giudiziale delle spese intervenga successivamente all'entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché abbia avuto inizio e si sia in parte svolta ancora vigenti le tariffe abrogate, essendo in tali casi dovuto.

 Se la liquidazione giudiziale delle spese sia intervenuta prima dell'entrata in vigore del predetto decreto, si applica l'art. 13 comma 10 della legge 247 del 2012, ai sensi del quale, oltre al compenso per la prestazione professionale, all'avvocato è dovuta, in sede di liquidazione giudiziale, una somma per il rimborso delle spese forfettarie.

L'art. 1 comma 2 del D.M. n. 140/2012, difatti, non ricomprende, tra i compensi, le spese da rimborsare secondo qualsiasi modalità, ivi inclusa quella concordata in modo forfettario, per la diversità tipologica e concettuale esistente tra compenso spettante al difensore e le spese dal medesimo sostenute nell'attività professionale svolta per il cliente.

Sul punto, la giurisprudenza ha specificato che le spese cd. generali (o forfettarie) sono quelle sostenute durante una causa, la cui dimostrazione è difficile oppure oltremodo gravosa, sicché il loro rimborso è dovuto anche senza prova di averle sostenute; si è quindi consolidato il principio, secondo cui il rimborso forfettario delle spese generali è una componente delle spese giudiziali, la cui misura è predeterminata dalla legge e spettante automaticamente al professionista difensore, anche in assenza di allegazione specifica e di apposita istanza, dovendosi questa ritenere implicita nella domanda di condanna al pagamento degli onorari giudiziali che incombe sulla parte soccombente.

Nel caso di specie, quindi, la liquidazione del rimborso per spese generali è stata conforme alla normativa vigente, in applicazione dell'art. 13 comma 10 della legge 247/2012.

In conclusione, la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore del lavoratore e al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso.

 

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