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Consiglio di Stato, sez. III, 03/11/2015, n. 5023

Lo scioglimento, ai sensi dell´art. 143, T.U.E.L approvato con d.lg. 18 agosto 2000, n. 267, del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, non ha natura di provvedimento di tipo sanzionatorio, ma preventivo con la conseguenza che, per l´emanazione del relativo provvedimento di scioglimento è sufficiente la presenza di elementi che consentano d´individuare la sussistenza di un rapporto tra l´organizzazione mafiosa e gli amministratori dell´ente considerato infiltrato.

A seguito della consultazione elettorale del 27/28 maggio 2007, il sig. Pa. Br. fu eletto sindaco di Sant´Ilario allo Ionio (RC).
Il sig. Br. rende nota al riguardo l´emanazione del decreto del 2 aprile 2011, con cui il Prefetto di Reggio Calabria ha disposto l´accesso al Comune di Sant´Ilario allo Ionio della Commissione per la verifica degli elementi ex art. 143, commi 1 e 2 del Dlg 18 agosto 2000 n. 267 (TUEL), in ordine all´infiltrazione mafiosa nel Comune stesso. Tanto perché, lo s´evince dalla relazione del Ministro dell´interno, da accertamenti svolti e riferiti dalle locali Forze dell´ordine era stata riscontrata un´articolata serie di collegamenti e frequentazioni tra personale politico, dipendenti del Comune ed esponenti della locale criminalità organizzata, nonché di varie interdittive antimafia verso imprese colà operanti. A seguito delle conclusioni rassegnate dalla Commissione, il Prefetto di Reggio Calabria ha concluso per lo scioglimento dei corpi rappresentativi del Comune, esistendo rilevanti, concreti ed univoci indizi in ordine a collegamenti diretti ed indiretti con organizzazioni criminali ed a condizionamenti mafiosi sugli amministratori locali.
Sicché, su conforme relazione del Ministro dell´interno, è stato emanato il DPR 15 febbraio 2012, il quale ha disposto lo scioglimento degli organi ordinari del predetto Comune, ai sensi dell´art. 143 del Dlg 267/2000, per la durata di diciotto mesi.
Contro tal DPR e gli atti presupposti è allora insorto il sig. Br. innanzi al TAR Lazio, con il ricorso n. 3900/2012 RG ed insieme ad altri amministratori comunali, deducendo in punto di diritto: A) - l´assenza di concretezza o la manifesta irrilevanza degli elementi ex art. 143 del Dlg 267/2000, riscontrati dalla predetta Commissione, nonché della loro efficacia sull´attività e la volontà dei corpi rappresentativi, la cui autonomia è viepiù rinforzata dopo la riforma del Tit. V della Costituzione, ferma la genericità e la sostanziale illegittimità costituzionale della norma citata; B) - la violazione del termine ex art. 143, commi 1 e 3 del Dlg 267/2000 ai fini della conclusione dei lavori della Commissione e dell´inoltro della relazione ministeriale; C) - in ogni caso, la non ascrivibilità delle varie irregolarità riscontrate al Sindaco o alla Giunta e, in particolare, certo non la frequentazione di soggetti criminali, al di là di contatti meramente occasionali ed episodici con costoro; D) - la limitazione delle contestazioni mosse dal Ministero ad un solo appalto (recupero e valorizzazione urbanistica dell´area PIT della Locride) e, peraltro, in ordine alla regolarità d´un subappalto affidato ad un parente del Sindaco; E) - l´assenza di irregolarità delle delibere inerenti alla variante allo strumento urbanistico, peraltro non riconducibile alla Giunta Br., nonché nella stabilizzazione di taluni dipendenti; F) - il difetto di motivazione sulla sommatoria delle varie contestazioni abbiano compromesso il funzionamento dell´ente e l´assenza d´ogni seria qualità dell´istruttoria condotta, a fronte delle iniziative assunte per migliorare la funzionalità dei servizi comunali, per aderire alla Stazione unica appaltante e per l´educazione alla legalità ed a favore dei giovani.
A seguito del deposito di documenti e della relazione, i ricorrenti hanno proposto un articolato atto per motivi aggiunti, contestando la violazione sotto molteplici profili della violazione dell´art. 143 del Dlg 267/2000 e dell´eccesso di potere.
Con sentenza n. 3081 del 20 marzo 2014, l´adito TAR ha respinto integralmente la pretesa attorea.
Appella quindi il solo sig. Br., con il ricorso in epigrafe, deducendo l´erroneità dell´impugnata sentenza per aver essa solo superficialmente valutato le doglianze di primo grado, già con riguardo alla contraddittoria motivazione sull´inutile decorso dei termini del procedimento istruttorio relativo al DPR di scioglimento e, quindi, con riferimento alle censure sostanziali, che vengono riproposte in questa sede. Resistono in giudizio le sole Amministrazioni statali intimate, che concludono per il rigetto dell´appello.
Alla pubblica udienza del 22 gennaio 2015, su conforme richiesta delle parti costituite, il ricorso in epigrafe è assunto in decisione dal Collegio.
Diritto
1. - Si controverte in questa sede dello scioglimento degli organi rappresentativi del Comune di S. Ilario allo Ionio (RC), per infiltrazioni e condizionamenti mafiosi, disposto, a seguito di relazione della commissione prefettizia e del Ministro dell´interno, con il DPR 15 febbraio 2012.
2. - L´appello non può esser condiviso, già a partire dal calcolo dei termini ex art. 143, commi 2 e 3 del Dlg 267/2000 e dal significato degli effetti discendenti dal loro eventuale inutile decorso.
Afferma al riguardo l´appellante che, quantunque il TAR abbia dato atto della scansione temporale relativa, la Commissione prefettizia ex art. 143, c. 2 del Dlg 267/2000 fu insediata il 2 aprile 2010, fu prorogata il 1° luglio successivo e rassegnò le sue deduzioni al Prefetto solo il 10 ottobre 2010, cioè oltre il termine complessivo semestrale colà indicato ed in scadenza il 1° ottobre, sebbene poi, ne dà atto precisamente il TAR, la proposta di scioglimento fosse stata avanzata il successivo 22 novembre, ossia entro il termine di quarantacinque giorni ex c. 3.
Ora, la Sezione ha in linea generale chiarito (cfr., per tutti, Cons. St., III, 6 marzo 2012 n. 1266; id., 28 maggio 2013 n. 2895; id., 14 febbraio 2014 n. 727) che lo scioglimento dei corpi rappresentativi del Comune, di cui all´art. 143 del Dlg 267/2003 per infiltrazioni mafiose, ha natura di atto non già sanzionatorio, bensì preventivo e cautelare. Sicché i termini colà previsti, decorrenti dalla data di insediamento della Commissione (c. 2) e, rispettivamente, dal deposito della relazione di essa al Prefetto, in sé non hanno natura decadenziale, in base al dato testuale e sotto il profilo funzionale. Invero, non v´è connesso loro alcun effetto caducatorio o di estinzione di una potestà che il Prefetto ben potrebbe esercitare avendo "... comunque diversamente acquisito gli elementi di cui al comma 1 o... in ordine alla sussistenza di forme di condizionamento degli organi amministrativi ed elettivi...". Detti termini non mirano a garantire l´efficace e seria difesa dell´ente a fronte d´una pari puntuale contestazione di addebiti, come accade, p.es., per quelli posti (e non sempre: cfr. Cons. St., III, 3 agosto 2015 n. 3812, in ordine alla non sull´inapplicabilità del termine decadenziale ex art. 9, c. 2 della l. 7 febbraio 1990 n. 19 nel caso di sentenza penale di condanna ex art. 444 c.p.p.) a tutela dell´incolpato nel procedimento disciplinare. In quel caso, i termini che assicurano la posizione di quest´ultimo nel procedimento (per la produzione delle giustificazioni; per la presa visione di atti; per il preavviso di presentazione davanti alla commissione di disciplina, ecc.) sono inderogabili, come decadenziale è quello complessivo posto per la conclusione del procedimento stesso, mentre sono sollecitatori i termini volti a cadenzarne l´andamento in relazione ai vari adempimenti istruttori (cfr., per tutti, Cons. St., III, 7 maggio 2015 n. 2281). Ecco, il termine di cui al c. 2 ha proprio tal precipuo scopo e l´eventuale suo decorso non inficia la legittimità della statuizione assunta, pur se tardiva.
Si può discettare piuttosto se il termine ex c. 3, posto al Prefetto per formulare la proposta, in base alla relazione, possa avere una natura diversa dalla mera sollecitazione, ma ciò appare solo un falso problema. Tanto appunto a causa dell´ampiezza, da un lato e dell´indeterminabilità a priori, dall´altro, delle condotte condizionate o colluse con cui s´invera l´infiltrazione e che giustifica la terminologia normativa ampia ed ellittica. Quest´ultima è posta per prevenire o bloccare sul nascere la permeabilità dell´ente all´influenza delle organizzazioni criminali anche sulla scorta di dati assunti dal Prefetto aliunde che la relazione commissariale.
È solo da soggiungere la pretestuosità della deduzione dell´appellante circa la mancata indicazione degli amministratori e delle relative condotte da cui è disceso l´impugnato scioglimento, giacché il rinvio che sul punto il TAR opera alla citata relazione è chiaro nell´individuare i responsabili per il tramite delle condotte denunciate. In altri termini, il TAR precisa che è dalle condotte stesse che si evince il riferimento soggettivo chiaro ed univoco dei relativi amministratori competenti. Inoltre, il rinvio che l´art. 143 fa al precedente art. 77, ove s´enumerano tali amministratori, serve al contempo a delimitarne il numero e ad assumerne la competenza secondo il riparto che ne fa detta norma e le successive sulla delineazione delle relative funzioni. Se, dunque, ai comportamenti ed agli inerenti a queste ultime la relazione ed il TAR si rifanno, ebbene è facile capire, specie per l´ampiezza dei soggetti coinvolgibili negli accertamenti sugli indizi di condizionamento o di collusione, chi siano i responsabili delle condotte sospette, senz´uopo della loro indicazione nominativa, d´altronde non espressamente richiesta dalla legge.
Se poi, come dice l´appellante, l´unico amministratore colà specificamente nominato è lui stesso, al più tal indicazione vale sicuramente per quel che egli ed egli già da solo ha fatto o ha omesso, senza che ciò implichi la benché minima attenuazione o l´esclusione delle responsabilità, singolare o in seno ad un collegio, di altri amministratori per le condotte loro afferenti.
Dal che l´assenza della difettosa motivazione sia del DPR di scioglimento (i cui vari omissis erano a garanzia di sicurezza e di riservatezza, anche degli interessati, ma certo non hanno impedito l´ampia difesa all´appellante), sia della sentenza.
Ed è appena da osservare che, in disparte la prolissità del ricorso in epigrafe a fronte della sintesi operata nella relazione e nella proposta prefettizia, se tal stringatezza fosse parametro del difetto di motivazione, sfugge allora al Collegio per qual motivo l´appellante v´abbia poi enucleato numerose vicende e v´abbia ampiamente replicato, addirittura profondendosi in ampie disquisizioni sullo stato del Paese e sulle esigenze socioeconomiche, o sui tagli lineari che, a suo dire, avrebbero impedito alla civica Amministrazione di compiere il minimo basilare dei suoi doveri d´ufficio. Egli in tal modo non s´avvede di convenire con la criticata relazione, dimostrando che, in difetto di tal replica così ampia e talvolta venata da vocationes ad pietatem, siffatte vicende sarebbero state, tutte e ciascuna, dirimenti per formare il complesso degli indizi gravi, precisi e concordanti non solo sulla mala gestio del Comune, ma pure per compiacere, oltre che gli interessi privati di lui e della di lui famiglia, anche quelli delle cosche mafiose dell´area.
3. - Ciò posto, una precisazione preliminare è d´obbligo, prima di procedere alla disamina d´ogni singola questione, più o meno rilevante, su cui in entrambi i gradi s´è soffermata l´attenzione del medesimo appellante.
Vuole il Collegio fin d´ora confutare il preteso difetto di motivazione che affliggerebbe la sentenza impugnata, sol perché, a differenza di quanto tra poco farà la presente decisione, il TAR ha inteso operare una valutazione complessiva sulla tenuta logico-giuridica della relazione e della proposta prefettizia, preordinate al DPR di scioglimento. Rettamente il TAR osserva che una ragionevole e completa ricostruzione degli elementi, indicati dalla relazione e dalla proposta quali presupposto per lo scioglimento ex art. 143 del Dlg 267/2000, s´invera soltanto nelle unitarietà ed univocità di essi e, dunque, emerge dalla considerazione complessiva di tali elementi.
Seppure non sia in sé erroneo l´argomentare dell´appellante attraverso una puntuale elencazione delle criticità della relazione, non basta asserire siffatta stringatezza quale prova dell´erronea, prim´ancora della difettosa motivazione. Per vero, si può certo confutare l´esistenza, il significato e l´ampiezza di tutti e di ciascun fenomeno indicato, ma poi bisogna dimostrare l´irragionevolezza e l´inattendibilità complessiva in sé ed ai fini dello scioglimento impugnato di tutti i dati assunti. E tal confutazione, oltre a cogliere assai di rado nel segno, non può certo fondarsi su asserzioni già in sé paradossali (cfr., p. es., pag. 28 del ricorso in epigrafe), quale quella secondo cui, per l´appellante, lo Stato (rectius, la legalità repubblicana) si sarebbe a lungo assentato a S. Ilario allo Ionio. A parte che, rigettando il dubbio espresso in ricorso, tra l´insussistenza dei fatti citati nella relazione prefettizia e la loro rilevanza criminale non v´è per forza un rapporto binario (o bianco, o nero), ma un´amplissima gamma di grigi interstiziali ove si annidano la mala gestio ed il malaffare, si noti che la relazione stessa ha evidenziato la perdurante e non smentita (e forse difficilmente revocabile in dubbio) conduzione familistica del Comune nelle ultime tre consiliature, nonché, per le elezioni del 2007, la pseudo-competizione tra la lista del sig. Br. e quella Uniti per rinascere condotta dai di lui moglie e parenti. Che ciò non sia illegale in sé è evidente, se no vi sarebbero reati conclamati; che ciò costituisca un abuso del diritto è parimenti chiaro, servendo appunto per il mantenimento di un´egemonia politica che urta contro il principio rappresentativo con un´intensità ben maggiore che non l´applicazione nella specie dell´art. 143 del Dlg 267/2000. Anzi, ben lungi dal sopirlo, le successive dimissioni della moglie dell´appellante rinfocolano il sospetto evincibile dalla relazione, ossia quello sulla natura fittizia dell´"opposizione", artatamente creata per aggirare il quorum posto dalla legge in caso di elezioni a lista unica, a scanso d´ogni possibile pericolo sul punto.
E vuole, altresì ed in modo correlato, il Collegio rammentare l´avviso della costante giurisprudenza, tale da esimerlo da una puntuale citazione, secondo il quale l´effetto devolutivo dell´appello implica l´integrale rivalutazione delle questioni controverse, che vengano in tale sede riproposte, se del caso con la modifica o l´integrazione della motivazione, ove necessario. Basta dunque che l´appellante, come nella specie, riproduca i motivi di gravame, già prospettati in primo grado e sui quali intenda insistere in appello ed esponendo le ragioni di dissenso, rispetto a quanto osservato al riguardo nella sentenza appellata.
Si badi, però, che (arg. ex Cons. St., III, 6 giugno 2011 n. 3371; id., IV, 19 settembre 2012 n. 4974) l´effetto devolutivo dell´appello certo consente di riformulare i motivi di primo grado, assorbiti o non trattati dalla sentenza del TAR, senza particolari solennità. Ma è pur sempre necessario, peraltro senza tradire l´obbligo di sinteticità dei ricorsi e degli atti del giudizio (sinteticità, nella specie, non verificatasi, viste, nonostante tutto, le oltre quaranta pagine del ricorso in epigrafe), che l´appellante non solo indichi specificamente le censure che egli intende devolvere alla cognizione di questo Giudice, ma soprattutto ne dia idonea contezza con riferimento anche alla documentazione in atti. Tanto ai fini d´una più compiuta disamina da parte del Collegio, cui d´altronde non intende sottrarsi, oltre che della necessità di consentire a questo Giudice di dare precisa risposta alle domande riproposte e devolute ed alle parti intimate di contraddire in modo consapevole sulle relative questioni. È ben noto, invero, che la devoluzione è commisurata non già e non tanto a quanto richiamato, ma a quanto effettivamente appellato, ossia per come il motivo e gli atti di primo grado sono in concreto incorporati ed espressamente riproposti nel ricorso in appello.
4. - Ciò assodato, anzitutto irrilevante, se non inutile s´appalesa allora segnalare (pagg. 9/10 del ricorso in epigrafe) il mero caso d´omonimia e non di parentela tra il viceispettore della Polizia municipale An. Ma. e Fr. Ma. (nel 2000 assassinato e facente parte della cosca Belcastro), o il ritiro in autotutela della licenza di commercio a favore di Fr. Zi. per inferire la superficialità della motivazione. Infatti, tali dati, pur presenti in relazione, non sono stati adoperati né dal Giudice di prime cure (cfr. pagg. 26/28 della sentenza), né d´altronde dagli atti del procedimento ex art. 143, quali dati dirimenti per giustificare, da soli, lo scioglimento, a differenza di altri e ben più pregnanti questioni valutate in quella sede. Tanto non volendo considerare che, per le relazioni familiari del viceispettore Ma. ed oltre al fatto che egli partecipò alle nozze del capocosca Do. D´A., egli era cugino di Vi. Ma., assassinato nel 1990 e gravato da pregiudizi di polizia per reati mafiosi e contro la persona. È inoltre da osservare che detto viceispettore Ma. è descritto in relazione come gravato, a sua volta, da pregiudizi di polizia e segnalato per reati contro la P.A., senza che tal aspetto l´appellante abbia nulla da obiettare.
Inoltre, le vicende dell´adozione delle varianti al PRG di S. Ilario allo Ionio, nei riguardi delle quali l´appellante afferma d´esserne stato strenuo oppositore, sono invece indici seri e sintomatici delle ragioni per cui egli è espressamente citato in relazione, giacché sfugge al Collegio la ragione per cui, una volta eletto Sindaco, egli nulla abbia fatto (e dedotto in questa sede) per modificare ciò che egli stesso afferma esser stato inopportuno ed illegittimo, a tutela, come dice, di interessi "opachi e comunque privati", tanto da indurlo a produrre esposti e denunce.
Quanto poi alle delibere consiliari n. 19 del 27 marzo 2007 e n. 4 del 5 febbraio 2008, che lo stesso appellante assume esser state erroneamente indicate dalla relazione come varianti allo strumento urbanistico, giova osservare che entrambe iniziarono espressamente una procedura di variante (ove l´approvazione del progetto comporti quest´ultima) nella forma semplificata in conferenza di servizi previo l´atto d´impulso ex art. 14, c. 2 della l. reg. Cal. 16 aprile 2002 n. 19 (il quale è prodromico alla conferenza stessa) per allocare, l´una, in zona D2 (ma senza PIP) l´impianto per la produzione di calcestruzzi della 2B Calcestruzzi di Br. Gi. & c. s.a.s. e, l´altra, in zona E5 (ambito extraurbano di mantenimento degli attuali aspetti paesaggistici ed usi agricoli) il centro turistico proposto dalla Real Design s.n.c. Sicché, oltre all´assenza d´errore di tal relazione sul punto, il dato testuale ed il contenuto delle delibere stesse implicavano modifiche, invero alquanto problematiche, al PRG.
È fin d´ora d´osservare come tali due dati, ben lungi dall´esser inconsistenti o irrilevanti, possono ben controbilanciare quello, assai minore ad onor del vero, sul sig. Ma. o quello, ancor più generico, sulle denunce anonime in ordine all´appalto dei servizi assicurativi sugli autoveicoli comunali. Il problema non sta nel fatto dell´anonimato della denuncia, ma che l´appellante non fece nulla per risolvere i problemi colà sollevati e che qui non dica nulla a confutazione d´una vicenda che avrebbe dovuto destare più d´un sospetto, quantunque si potrebbe dire che essa non sia, da sola, determinante, nell´economia della relazione e della proposta prefettizia. Non v´è una preclusione assoluta a che alla gara de qua abbia partecipato la Assicura s.r.l. il cui legale rappresentante era il sig. An. Ca., se non fosse che la di lui madre, sig. Ca. Fe., era dipendente del Comune intimato e, soprattutto, componente del seggio di gara. Stante la violazione evidente dell´obbligo d´astensione in capo a quest´ultima, non è così determinante, ma è certo sintomatica di mala gestio tal vicenda ed il contratto d´appalto stipulato in esito ad una gara evidentemente tanto illegittima, che la sua anomalia era manifesta a chiunque in quell´ente secondo l´ordinaria diligenza. Tutto ciò, in una all´assenza di nuovo appalto alla scadenza di quello di cui si parla ed al maggior esborso di pubblico denaro a favore dell´assicuratore ancora in servizio, esime il Collegio dal dover citare l´amplissima giurisprudenza sul tema dell´astensione stessa, mentre sul punto l´appellante compie valutazioni ellittiche e, sebbene più stringate di quelle svolte nel gravame introduttivo (pagg. 33 ss.), non per questo più fondate o convincenti.
A nulla approda il riferimento attoreo alle vicende sull´acquisto ed il recupero del palazzo Sp. Ca., giacché la Commissione diede atto dell´esistenza di indagini in corso a causa dell´esposto a suo tempo proposto dalla sig. Ro. Re.. Da ciò la mera neutralità, NON certo o NON già l´irrilevanza d´una questione sul cui contenuto e, soprattutto, sui cui effetti l´appellante, in questa sede, omette di fornire ulteriori ragguagli al Collegio.
5. - Non a diversa conclusione ritiene il Collegio di pervenire con riguardo alla posizione della sig. Ca. Au., figlia dell´ex-Sindaco di Platì An. Au. (inquisito, ma poi prosciolto, per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso) e vincitrice d´un concorso pubblico (su altre questioni che riguardano la sig. Au. il Collegio dirà tra poco).
Pure in questo caso, il Collegio deve rammentare il recente arresto della Sezione (cfr. Cons. St., III, 26 settembre 2014 n. 4845), secondo il quale l´art. 143 del Dlg 267/2000 consente lo scioglimento del Consiglio comunale anche sulla scorta di indagini (recte, di accertamenti e di conseguenti valutazioni) ad ampio raggio sulla sussistenza di rapporti tra gli amministratori e la criminalità organizzata, non limitate alle sole evenienze di carattere penale. Ciò avviene in base a circostanze (e, dunque, NON a fatti penali definiti o illeciti consumati, per i quali soccorrono altri istituti repressivi), che presentino un buon grado di significatività e di concludenza, pur se di livello inferiore rispetto a quello, appunto, che legittima l´azione penale o l´adozione di misure di sicurezza.
Che nella specie il sig. Au. sia stato prosciolto dalle accuse de quibus, certo gli restituisce, ma a lui solo, la piena dignità di cittadino. Ma ciò NON elide la manifesta inopportunità di reclutare, almeno rebus sic stantibus e tra i dipendenti del Comune di S. Ilario allo Ionio (e NON di Platì), un soggetto che, per i suoi rapporti familiari, non è automaticamente colpevole d´alcunché, ma neanche automaticamente immune da o al di sopra di ogni sospetto. Tanto nella considerazione che, come a suo tempo ha osservato la Sezione (cfr. Cons. St., III, 23 aprile 2014 n. 2038), il citato art. 143 delinea il potere di scioglimento degli enti locali, soggetti a pericolo d´infiltrazione mafiosa, quale misura avanzata di prevenzione, onde esso riconosce alla P.A. ampi margini sulla valutazione degli elementi che possano costituire indice di collegamenti diretti o indiretti fra i vertici dell´Ente e la criminalità organizzata, o forme di condizionamento. E tanto sebbene il valore indiziario di tali dati non sia in sé sufficiente per l´avvio dell´azione penale e, per quanto qui rileva, prima o al di là dell´attivazione di quest´ultima.
Generica e non articolata è la censura d´appello sulla delibera comunale, non è detto se di Giunta o di Consiglio, sull´assegnazione dei buoni fruttiferi per i neonati del 2008, donde la manifesta irrilevanza di tal questione, come d´altronde irrilevante s´appalesa quella sull´erogazione di contributi per la gestione dell´asilo - nido, giacché al più la doverosità dell´adempimento avrebbe potuto riguardare la sola esecuzione della sentenza del TAR Reggio Calabria n. 1368 del 30 dicembre 2009 e nei soli limiti di quel giudicato e non altri aspetti.
Da disattendere è poi la questione sulla penetrazione mafiosa nel Comune per essere il gestore della rete fognaria stato attinto dal sequestro giudiziario delle relative quote sociali, in quanto, se è vero che in un secondo momento l´AGO ne statuì l´inefficacia, tali vicende sopravvennero alla disamina, da parte della Commissione, della relativa vicenda.
Si tralasci la vicenda dianzi accennata sui lavori al palazzo Sp. - Ca., in quanto essi furono aggiudicati da altra stazione appaltante, sia pur nell´interesse del Comune intimato.
In ogni caso, restano ferme le perplessità evidenziate sulla posizione dell´arch. Pa. e sul riflesso della di lui attività nell´istruzione di quella e di altre pratiche (lavori di messa in sicurezza delle aree viciniori ai torrenti Portigliata e Condoianni; gestione della casa - albergo Sp.). Infatti, a parte la gestione istruttoria del primo appalto -il Comune capofila (Africo Nuovo) avendo svolto in quel contesto le funzioni di stazione appaltante-, è materialmente vera la circostanza che l´arch. Pa. poi ebbe a lavorare pure con i commissari insediati dopo il gravato scioglimento. Ma ciò non è che il nocivo effetto della perdurante inerzia del Comune stesso nel dotarsi per tempo, con un acconcio e ben virtuosamente mirato reclutamento, foss´anche con incarichi a rotazione tra i professionisti iscritti ai relativi albi, di personale (dipendente o autonomo, poco importa) più idoneo, sicché tale precisazione attorea non ha valore "sanante" di alcunché.
V´è pure la questione che vide coinvolto l´arch. Pa. per gli atti di concessione demaniale alla sig. Ca. Au., come s´è detto figlia del ex-sindaco di Platì e cognata dell´appellante stesso. Non vale obiettare, come ha fatto questi negli scritti innanzi al TAR circa tal vicenda, che in fondo la sig. Au. aveva presentato all´architetto un´autodichiarazione ex DPR 445/2000 ai fini antimafia, quasi che la P.A. procedente si dovesse accontentare di qualunque elemento dichiarato senza effettuare i prescritti controlli, PRIMA di attribuire a chiunque beni o utilità pubbliche. Si duole l´appellante che il Comune "... non possiede alcuno strumento per indagare la contiguità... di chicchessia ad ambienti controindicati, dovendosi limitare a verificare il possesso dei requisiti di legge, primo fra tutti il certificato c.d. antimafia...", ma questo assunto è vero fino ad un certo punto. Al più vale per chi esibisce spontaneamente, in ogni tipo di rapporto con la P.A. che determini l´esborso di denaro pubblico, una certificazione antimafia attuale.
In ogni caso, l´obbligo d´esibirla va comunque interpretato sistematicamente insieme alle norme sulla semplificazione documentale (art. 18 della l. 7 agosto 1990 n. 241), che vietano alla P.A. di chiedere ai privati documenti di cui essa o altre Amministrazioni sono in possesso, e alle norme sulla certificazione antimafia (art. 10-sexies della l. 31 maggio 1965 n. 575), in base alle quali spetta in prima battuta all´Amministrazione acquisire d´ufficio detta certificazione, e solo in via residuale ai privati (cfr., per tutti, Cons. St., V, 3 settembre 2013 n. 4377). È coevo alle vicende dedotte nella relazione prefettizia l´arresto di questo Consiglio (cfr. Cons. St., VI, 12 dicembre 2011 n. 6493), per cui di per sé il certificato camerale munito della dicitura "antimafia", come d´altronde le comunicazioni prefettizie alle quali esso è assimilato per legge, è sì idoneo a garantire l´insussistenza delle sole situazioni ostative ex art. 10 della l. 575/1965, ma non può mai estendere la sua efficacia fino a far ritenere inesistenti eventuali tentativi d´infiltrazione mafiosa, viceversa accertati mediante ulteriori indagini istruttorie, il cui esito è riportato nell´informativa prefettizia. Da tanto discende se non l´obbligo conclamato, la necessità che la P.A. proceda, mercé il coinvolgimento dell´Autorità di PS e del Prefetto, ad un serio scrutinio della liceità dell´attività dell´imprenditore con cui entra in contatto qualificato, specie se egli autodichiari questo suo stato.
Ciò denota agli occhi del Collegio non soltanto alquante discrasie e compiacenze pure con soggetti evidentemente controindicati o totalmente inopportuni, ma soprattutto una politica sul personale a dir poco strana, anche nelle giustificazioni. È lo stesso appellante, nei motivi aggiunti in primo grado, sia pur con riguardo alle vicende del LPU Gi. Mo. (addetto al servizio di polizia municipale) ma con un risvolto generale, a render noto che l´assetto dei dipendenti comunali fu impostato nel programma triennale del fabbisogno del personale 2002/2004 dalla precedente Giunta. Si coglie in tal assunto, in sé vero solo in apparenza, una sorta d´ineluttabilità che NON esiste né nella legge, né nei parametri di onesta e corretta amministrazione, quasi che, cioè, il programma non fosse emendabile o, comunque, riadattabile alle effettive esigenze di funzionalità corretta e virtuosa dell´Ente. Tanto, peraltro, non considerando in particolare che al LPU Mo., proprio per tal sua condizione diversa da un vero e proprio lavoratore subordinato, non era possibile né conferire, né mantenere la qualifica di ausiliario del traffico e su tal aspetto l´appellante, a parte le considerazioni testé enunciate, nulla ha provveduto per porvi rimedio, PRIMA che il sig. Mo. fosse stabilizzato in ruolo, d´altronde in altra qualifica.
Si chiede allora l´appellante se sia lecito pretendere dall´amministratore di un Comune, in presenza di un´impresa che esibisca una certificazione antimafia, che si sostituisca all´AGO per individuare le contiguità e le infiltrazioni di questa con le organizzazioni criminali. Non s´avvede tuttavia che alla stessa AGO spetta d´accertare i reati di stampo mafioso, applicando la regola della certezza al di là d´ogni ragionevole dubbio laddove viene in gioco la libertà personale e professionale del soggetto coinvolto in tal accertamento. Per contro, è compito delle Autorità di PS e del Prefetto fornire alle altre Amministrazioni le occorrenti informazioni che, com´è noto, sono ispirate ad una ben diversa logica preventiva e, nel momento valutativo, improntate alla regola, di stampo civilistico, del "più probabile che non". Ciò serve, tra l´altro, anche ad evitare la possibilità, temuta dall´appellante, che una P.A. collusa, se volesse scegliere l´impresa che più le aggrada anziché su un´altra, facilmente potrebbe tacciare quest´ultima di contiguità con ambienti controindicati. E ciò per l´evidente motivo che un tal giudizio non le sarebbe consentito a priori e senza informazioni da dette Autorità, invece chieste per l´appalto con la SCA Costruzioni s.r.l. e non anche per quello per i lavori in somma urgenza relativi ai due citati torrenti Portigliata e Condoianni (in cui fu coinvolto l´arch. Pa.), sol perché appaltati dalla Provincia di Reggio Calabria, ma nell´interesse del Comune stesso.
Scolorano quindi le doglianze sull´elusione, che il TAR appunta contro il Comune intimato circa altri procedimenti, dell´obbligo di verifica (previa) e controllo (ex post) dell´assenza di pregiudizi di tipo mafioso.
Se si può convenire sull´assenza di coinvolgimento del Comune con la LUDOTOMI s.r.l., non così deve dirsi con il rilascio dell´autorizzazione di commercio al sig. Zi. (dianzi nominato con riguardo al viceispettore Ma.), ma attenzionato dall´Autorità di PS e pregiudicato per il reato ex art. 416-bis c.p. Tal provvedimento fu rilasciato dall´istruttore di pol. municip. Ro. De Le., per questo fatto a sua volta attinto da misure di polizia, ma poi è stato revocato sì, ma solo il 28 luglio 2011, ma dopo la denunzia del sig. Zi. all´AGO. Poiché la Commissione prefettizia ha esaminato altri tre casi di rilascio di dette licenze a soggetti indagati per reati di stampo mafioso, né tali vicende, né quella del sig. Zi. possono esser ascritti a meri errori (già in sé né pochi, né lievi), ma vanno intese, ad onta di ciò che dice, minimizzandole, l´appellante, a sintomi gravi e concordanti di mala gestio e, soprattutto, di collusione e compiacenza con soggetti controindicati per seri sospetti di mafia. Dice l´appellante che tali aspetti son stati considerati tanto dalla relazione prefettizia, quanto dal TAR "... come granitico pilastro della tesi di controparte...". Essi forse non saranno granitici, ma certo dimostrano "... all´esame obiettivo dei fatti... (NON)... si rivela per quel che è, e cioè mera e traballante clausola di stile...", bensì l´insieme, in un con gli altri dati fin qui presi in esame dal Collegio, di indizi gravi e concordanti nel senso della collusione dell´azione amministrativa, per vero affetta da molte disfunzioni, con i locali ambienti malavitosi, al netto di taluni errori o fraintendimenti (p. es., il subappalto affidato all´impresa del padre del sig. Br., il quale padre, però, ha numerose controindicazioni di natura mafiosa per suo conto), che non inficiano il quadro negativo complessivo.
Non dura fatica il Collegio a concedere all´appellante che lo stato, per vero problematico, del servizio di P.U. possa aver contribuito, in un Comune tanto disorientato, a far perimere un vigoroso esercizio delle relative funzioni. Però una cosa è contribuire, ben altra è determinare: al di là di taluni argomenti bizzarri sulle afflizioni che irretirebbero il Comune intimato, l´appellante ammette che si tratta d´un ente assai piccolo.
Sicché sfugge al Collegio la ragione per cui, per quanto tre soli addetti al servizio possano anche non produrre un gran mole di risultati, da soli "... l´esistenza della paurosa crisi economica che affligge il nostro Paese... (e)... il fatto che, a furia di tagli, gli uffici pubblici sono in tutta Italia a corto di uomini e di mezzi, con conseguente disagio generalizzato ..." non riescano a produrre risultati virtuosi di piccola, ma sana gestione amministrativa. Viceversa non sfugge punto alla percezione del Collegio l´esatta composizione del servizio di P.U., giacché il fatto che esso sia privo della pur prevista figura apicale (ossia il comandante) non esime il Sindaco, che ne è responsabile, dal rimediare con tempestività e rigore a tali disfunzioni, non certo dal lamentarle in questa sede.
Non è allora chi non veda come il disordine amministrativo, in cui versa il Comune intimato sia pur con un ridotto organico di personale, non derivi affatto né da forza maggiore (sussistendo strumenti di cogestione di servizi tra enti del medesimo territorio), né dalle ridotte dimensioni dell´organico stesso (commisurato invece a quelle dell´ente), bensì dalla colpevole e cosciente volontà dei corpi rappresentativi di quest´ultimo di favorire e/o non disturbare, grazie a siffatto disordine, i locali ambienti malavitosi, tutto qui.
In tal senso si deve intendere, ad avviso del Collegio il passaggio della sentenza appellata, che qui si condivide e per la quale "... la precaria funzionalità ...è ... emersa anche dalla relativa situazione finanziaria, che pur non presentando una situazione di deficit strutturale, ha evidenziato difficoltà nel pagamento dei residui passivi e una scarsa incisività nel recupero di imposte e tributi, specie nei confronti di soggetti con cointeressenze con ambienti controindicati...". Qual possa essere la tesi, tal frase non sgomenta, né sorprende, per l´evidente motivo che, a parte la non assimilabilità della situazione del Comune intimato con altre realtà più o meno virtuose d´Italia, il dato rilevante consiste non nella difficoltà in sé di pagare i residui passivi, ma nell´assenza d´un approccio serio e organizzato (si potrebbe dire: di buona fede) nell´adempimento degli obblighi del Comune verso i terzi. È vero che l´ordinamento ha apprestato strumenti per facilitare tal compito, ma nessuna legge risolve il problema del Comune intimato, fintanto che resti l´approccio colluso con il malaffare mafioso, che è la patologia amministrativa dell´ente e che rettamente ne ha causato lo scioglimento ex art. 143 del Dlg 267/2000. Non la mera difficoltà di pagamento, ma l´incapacità di ben reggere la cosa pubblica e portarla fuori dal condizionamento mafioso, alla luce dei numerosi esempi assunti in relazione, è la ragione essenziale di detto scioglimento, tale, perciò, da non determinare alcuna vera disparità di trattamento in danno alla collettività di S. Ilario alla Ionio e di provocare invece un vulnus alla Costituzione ove l´incapacità stessa si fosse protratta ancora.
6. - In definitiva, nessun errore si riscontra né nel DPR di scioglimento e negli atti preparatori, né tampoco nell´impugnata sentenza la quale, nell´aver fornito una ricostruzione sintetica delle predette disfunzione, è giunta alle medesime conclusioni del Collegio. La complessità della res controversa e giusti motivi suggeriscono, nondimeno, la compensazione integrale, tra le parti costituite, delle spese del presente giudizio.
PQM
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sez. III), definitivamente pronunciando sull´appello (ricorso n. 9156/2014 RG in epigrafe), lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall´Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 22 gennaio 2015, con l´intervento dei sigg. Magistrati:
Giuseppe Romeo, Presidente
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Dante D´Alessio, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere, Estensore
Alessandro Palanza, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 03 NOV. 2015.

 

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