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"Conosci te stesso" è la seconda delle tre massime di saggezza apollinee. La prima massima è Γένοιο οἷος εἷ - Genoio, hoios ei - "Diventa ciò che sei. La terza massima incisa sul tempio di Apollo è Μηδὲν ἄγαν Mēden agān, "Nulla di troppo". Socrate ricava da questa massima il principio dell'autocoscienza, una condizione necessaria della conoscenza filosofica e della saggezza. Nell'antica Grecia gnōthi seautón era innanzitutto un richiamo a conoscere e riconoscere i propri limiti. Come scrisse lo stesso Omero nell'Iliade, il Dio Apollo, a cui era dedicato il tempio di Delfi, considerava gli uomini: "Miseri mortali che, come le foglie, ora fioriscono in pieno splendore, mangiando i frutti del campo, ora languiscono e muoiono." "Conosci te stesso" significava dunque prendere coscienza della propria fragilità ed imperfezione, della propria finitudine. Conoscere i propri limiti per rimanere all'interno di essi, perché tentare di valicarli può portare al disordine, al caos. La colpa fondamentale per il greco è voler andare oltre il suo limite, volerlo oltrepassare, volerlo trasgredire. Conoscere se stessi, per gli antichi greci, vuol dire conoscere di essere destinati ad una forma che non si può eccedere.
I Greci utilizzavano la parola ὕβϱις (hybris) per definire la tracotanza e la superbia. La mitologia ed il teatro greco sono pieni di esempi che servono da monito all'arroganza degli uomini. In un pantheon greco in cui anche gli esseri divini erano sottoposti all'immodificabile ed ineluttabile destino, in un mondo in cui le tre Moire tessevano il filo del fato di ciascun uomo scegliendone la lunghezza ed il momento in cui reciderlo, è comprensibile la sorte che dovesse toccare a tutti quegli esseri umani che cercavano di sfidare il proprio destino nell'intento di cambiarlo. La storia di Edipo ne è un esempio. Edipo ha cercato inutilmente di sfuggire fino all'ultimo al suo tragico destino, a quell'oracolo che gli aveva preannunciato che sarebbe divenuto non solo un parricida ma anche un figlio incestuoso. Sisifo finì nell'Ade perché aveva svelato agli uomini i segreti degli dei e la sua punizione perpetua fu quella di portare ininterrottamente un masso su un monte che, una volta collocato sulla cima, rotolava in giù obbligando il pover'uomo ad un moto continuo. La saggezza umana, dunque, deve necessariamente passare attraverso la profonda consapevolezza della propria ignoranza. Ed è proprio con Socrate che la filosofia si appropria della massima delfica e ne eleva la portata. Con Socrate per la prima volta il pensiero si sofferma sull'autocoscienza, per lui fondamento e condizione suprema di ogni sapienza. Solo la conoscenza di sé e dei propri limiti rende l'uomo sapiente, oltre a indicargli la via della virtù e il presupposto morale della felicità. Per Socrate infatti una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta. Una tale consapevolezza, tuttavia, non è insegnabile, non è il prodotto di una tecnica: ognuno deve trovarla da sé. Il maestro può solo aiutare i discepoli a portarla alla luce, all'incirca come l'ostetrica aiuta la madre a partorire il bambino. Il motto delfico vorrà allora dire, per Socrate, "conosci la tua anima", "conosci la tua psyché", giacché l'uomo, nella sua essenza più profonda, non è altro che la sua anima. E' proprio nel pensiero di Socrate che il tema dell'anima esce dal contesto religioso caratteristico dell'Orfismo e del Pitagorismo, per diventare il fulcro del discorso morale. Esiste un solo bene, dirà Socrate, la sapienza, e un solo male, l'ignoranza. Quello che Socrate sostiene è un ideale molto alto, che forse è accessibile soltanto a pochi. E' celeberrima la sua affermazione: io so di non sapere! Eppure tutto ciò non lo porterà né verso lo scetticismo né verso il nichilismo. In primo luogo perché egli aveva una fede assoluta nel significato di una azione condotta in conformità a ciò che si ritiene sia il bene. Socrate ha suggellato questo insegnamento con la sua morte. In secondo luogo, egli era convinto che l'uomo deve impegnarsi a fondo nella conoscenza, anche se non potrà raggiungere un sapere assoluto.
Per Agostino d'Ippona la Verità risiede nell'interiorità dell'uomo: "Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore homine habitat veritas". Kierkegaard, ammiratore dell'esempio socratico, intende la filosofia non solo come costruzione astratta, quanto piuttosto come ricerca esistenziale, al punto da scrivere: «Ciò che in fondo mi manca è di veder chiaro in me stesso…Si tratta di comprendere il mio destino». Nietzsche definisce, quale compito primario del singolo, la ricerca, o meglio la realizzazione creativa della propria indole. Decisiva in tal senso è la sperimentazione concreta, atta a verificare, passo dopo passo, le proprie inclinazioni, i propri bisogni fisici e spirituali, le potenzialità e risorse della propria personalità: «Siamo esperimenti: e dobbiamo volerlo essere!», proclama il filosofo. Anche Jung, padre della psicologia analitica, fa di quello che egli stesso chiama processo di "individuazione", il passaggio fondamentale per la realizzazione della personalità di ciascuno. Un processo che lo psicoanalista svizzero inquadra in una sorta di "scontro" tra gli aspetti consci e inconsci della mente. Ed è proprio su questi ultimi, quelli inconsapevoli e in altre parole sconosciuti, che i nostri sforzi devono fare leva per arrivare a quella conoscenza di cui parlavano gli antichi greci. Il nostro tempo, dominato dalla velocità, dal consumismo, dalla cultura dell'adesso, sembra aver dimenticato l'importanza decisiva di un'autentica e profonda conoscenza di se stessi. Viviamo in una società liquida, in cui tutte le ideologie, tute le promesse e tutte le speranze sono crollate miseramente, le une sopra le altre, non lasciando altro che una terra desolata in cui l'unica certezza sembra essere l'incertezza. Recuperare allora il ‟Conosci te stesso" potrebbe essere la via privilegiata da percorre per affermare la nostra vera identità nel deserto delle apparenze e superare i rischi di quella vetrinizzazione sociale (Codeluppi) che porta gli uomini ad esporre se stessi come una merce, pur nei diversi ambiti e contesti della propria quotidianità.
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