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Compenso avvocati: il rito sommario non può applicarsi dopo la precisazione delle conclusioni

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Con l'ordinanza n. 186 dello scorso 9 gennaio in tema di rito applicabile per le cause relative agli onorari degli avvocati, la II sezione civile della Corte di Cassazione ha cassato un'ordinanza emessa ai sensi dell'art. 702 bis, per aver il Tribunale disposto il mutamento del rito – originariamente proposto con citazione – solo dopo che le parti avevano precisato le conclusioni e la causa era stata trattenuta in decisione.

Si è difatti specificato che il legislatore ha espressamente previsto un rigido sbarramento per il mutamento del rito, attraverso la fissazione di un termine perentorio coincidente con la prima udienza; il mutamento del rito non è, infatti, privo di conseguenze per le parti in relazione al regime di impugnazione, in ragione del fatto che l'ordinanza che conclude il procedimento speciale è ricorribile per cassazione, ex art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, laddove la sentenza è impugnabile anche con l'appello.

Il caso sottoposto all'attenzione della Cassazione prende avvio dall'emissione di un decreto ingiuntivo nel quale veniva riconosciuto ad un legale il compenso maturato per le competenze professionali svolte verso dei suoi clienti.

Gli ingiunti proponevano rituale atto di opposizione a decreto ingiuntivo tramite citazione, contestando la fondatezza della pretesa del legale e chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo. 

 Il Tribunale di Velletri decideva la causa in composizione collegiale, emettendo ordinanza ex art. 702 bis c.p.c.: secondo il giudicante, nonostante il giudizio fosse stato introdotto nelle forme del rito ordinario, era applicabile il rito sommario, quale rito richiamato espressamente dal d.lgs. n. 150 del 2011 per le cause aventi ad oggetto le prestazioni professionali degli avvocati.

Ricorrendo in Cassazione, il legale denunciava la nullità dell'ordinanza per violazione e falsa applicazione del d.lgs. n. 150 del 2011 nonché degli articoli processuali inerenti il contraddittorio e i principi del giusto processo.

In particolare il ricorrente eccepiva la violazione del d.lgs. 150/2011 perché l'ordinanza di mutamento del rito era stata pronunciata dopo la precisazione delle conclusioni e non entro la prima udienza di comparizione delle parti.

In seconda istanza rilevava come, poiché il processo si era svolto nelle forme del rito ordinario fino al momento della precisazione delle conclusioni, l'ordinanza di mutamento del rito avrebbe dovuto essere comunicata alle parti, invitandole a precisare nuovamente le conclusioni e assegnando loro il termine di legge per interloquire sulla questione; diversamente il Tribunale, decidendo d'ufficio la causa secondo le forme del rito sommario, con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. – ricorribile solo per cassazione, e non anche con l'appello come sarebbe avvenuto con la sentenza –avrebbe violato il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa.

La Cassazione condivide la doglianza del ricorrente.

La Corte ricorda che, per le cause relative agli onorari degli avvocati, trova applicazione il d.lgs. n. 150 del 2011, ai sensi del quale, quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal rito sommario di cognizione, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza; l'ordinanza di mutamento del rito viene pronunciata dal giudice, anche d'ufficio, non oltre la prima udienza di comparizione delle parti.

Gli Ermellini, procedendo con un'interpretazione strettamente letterale del testo normativo, rilevano come il legislatore abbia espressamente previsto un rigido sbarramento per il mutamento del rito, attraverso la fissazione di un termine perentorio coincidente con la prima udienza. Tale sbarramento trova giustificazione proprio in ragione del diritto di difesa, in quanto il mutamento del rito non è, privo di conseguenze per le parti in relazione al regime di impugnazione, in ragione del fatto che l'ordinanza che conclude il procedimento speciale è ricorribile per cassazione, ex art. 14, comma 4, del d.lgs. n. 150 del 2011, laddove la sentenza è impugnabile anche con l'appello.

Con specifico riferimento al caso di specie, l'opposizione a decreto ingiuntivo emesso in favore del legale era stata introdotta con citazione e non con ricorso, come previsto dall'art. 14 del d.lgs. 150/2011, sicché il Tribunale disponeva il mutamento del rito provvedendo a tale incombenza, contrariamente a quanto consentito, solo dopo che le parti avevano precisato le conclusioni e la causa era stata trattenuta in decisione.

Tuttavia, poiché il mutamento del rito non era avvenuto entro la prima udienza di comparizione delle parti, il Tribunale non poteva mutare il rito in un momento successivo, allorquando il giudizio avrebbe dovuto svolgersi nelle forme ordinarie e concludersi con sentenza, impugnabile anche per i motivi attinenti al merito, e non con ordinanza collegiale, ricorribile per cassazione per violazione di legge.

In conclusione la Corte accoglie il ricorso, cassa l'ordinanza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi al Tribunale di Velletri in diversa composizione. 

 

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