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Vi confesso che – tra tasse, cassa avvocati, clienti non paganti, avvocati sempre più numerosi e senza scrupoli – l'ombra della miseria è uno dei miei incubi ricorrenti.
E' il cavaliere nero da cui cerco sempre di fuggire anche nei sogni.
Una volta non era così.
Si esercitava la professione con la giacca e la cravatta tutti i giorni.
Oggi, no.
L'incubo deriva dal fatto di incassare meno soldi rispetto a quelli che da esborsare in tasse e cassa.
Ce lo diciamo da sempre ma nessuno fa niente.
La Cassa va bloccata, i suoi appetiti ultravoraci stoppati e tutti i soldi che inghiotte vanno almeno in parte redistribuiti agli avvocati che non ce la fanno più.
Le fasce reddituali vanno ricalibrate.
Non è possibile arrivare a cinquant'anni e svenarsi per un qualcosa di astratto, troppo astratto.
La vicenda di Ludovico è triste, è amara, ma soprattutto è una cosa concreta e reale.
Fin troppo.
Interrogarsi sulla sua causa e sulla origine di cotanta sciagura non può ridursi ad essere un puro esercizio da tavolino.
Non possiamo più permetterci di mantenere i paperoni della cassa – lo scrivo in minuscolo perchè mi hanno disgustato – e pensare di non fare niente per noi stessi.
Fare qualcosa per uno come Ludovico di Napoli significa difendere soprattutto noi.
A cinquant'anni un avvocato ha il diritto di stare tranquillo almeno economicamente.
E' a metà dell'opera.
Della giovinezza sono i processi più tempestosi, quelli dove ha affrontato le battaglie più aspre. Ora, davanti a sé, ha battaglie magari anche più cruente. Ma con un bagaglio di esperienza, e soprattutto un retroterra economico che ci deve essere.
Non si può andare in miseria per pagare la cassa.
O perchè i clienti non pagano, O perchè lo Stato ti chiede tutto quello che hai incassato, o la gran parte. Mettiamocelo in testa.
E facciamo qualcosa.
Una buona volta.
Non possiamo vivere senza avere attraversato la linea d'ombra di Conrad.
E ricordiamoci che – come dice sempre un amico – non sono gli uomini a cambiare nel tempo.
Sono i guai, a cambiarli.
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