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Cassazione condanna scuola privata: "Illegale richiedere retta in caso di ritiro della iscrizione, clausola è vessatoria"

Moscuzza

 

Se un genitore iscrive il figlio a scuola e ritira l´iscrizione prima dell´inizio delle lezioni, non è obbligato a pagare l´intera retta annuale. Considerata vessatoria la clausola che preveda un tale obbligo.
 
Così ha deciso la Cassazione con sentenza n. 10910/17, sez. III Civile, depositata il 5 Maggio scorso, in ordine ad una vicenda che vedeva come protagonista una donna che dopo aver iscritto il figlio alla scuola materna, ritirava l´iscrizione poco prima dell´inizio dell´anno scolastico, forte anche delle rassicurazioni che in merito le aveva dato il responsabile della struttura, il quale la aveva informata che in caso di revoca, l´istituto avrebbe trattenuto la quota di iscrizione e niente di più.
 
Successivamente veniva ingiunta a pagare l´intera retta annuale. Opponendosi quindi al decreto ingiuntivo, e richiamando in suo favore la disciplina a tutela dei consumatori e così la vessatorietà di quelle clausole che danno luogo a squilibrio tra consumatore e professionista, la donna chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo, la riduzione del corrispettivo eventualmente dovuto, dichiarando anche la compensazione con l´importo della quota già versata, nonchè la restituzione della stessa quota di iscrizione.
 
Ebbene in primo grado, il Tribunale di Busto Arsizio negava la vessatorietà della clausola che impone ad un genitore di versare la retta nel caso di abbandono o non frequenza. Tale carattere vessatorio si sarebbe potuto riscontrare nel caso in cui fosse non il consumatore ma il professionista a recedere, e laddove quindi si riconoscesse il diritto in capo a quest´ultimo di trattenere le somme già versate per prestazioni che non verrebbero fornite.
 
Se questo era l´avviso del giudice di prime cure, in appello si sentenziava in modo radicalmente opposto. E infatti la clausola in oggetto veniva ritenuta vessatoria alla luce dell´articolo 33 comma 3 del Codice del Consumo che così recita: "Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto."
 
Il contratto stipulato dalla donna con l´istituto conteneva per di più una clausola in cui era prevista la possibilità per l´istituto di sottrarsi all´obbligo di erogare le prestazioni nel caso in cui non si sarebbe raggiunto un numero di alunni sufficiente per formare le classi. Evidente dunque, lo svantaggio per la donna.
 
Il ricorso presentato successivamente dall´istituto scolastico non trovava accoglimento neanche presso la Cassazione, secondo cui la clausola che sanzioni indiscriminatamente il recesso dell´allievo, a prescindere dalla giustificatezza o meno del motivo, si presume vessatoria. A maggior ragione se a fronte di tale somma dovuta dal consumatore, non ne sia prevista una a carico del professionista, che lo sanzioni in caso di recesso. E così richiamando risalente giurisprudenza (Cass. civ. Sez. III, Sentenza n. 6481 del 17 Marzo 2010).
 
Il contratto, stipulato in questi termini, riservava un trattamento palesemente migliore alla scuola, che per tale ragione vedeva respinto il suo ricorso e veniva condannata a pagare le spese di giudizio.
 
Paola Moscuzza, autrice di questo articolo, si è laureata in Giurisprudenza presso l´Università degli Studi di Messina, nell´anno 2015
 
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