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Il tema del rapporto fra generazioni è una delle questioni centrali della politica italiana all'inizio del nuovo Millennio. Si avverte, cioè, l'esigenza di una riflessione sul fatto che alcuni istituti fondamentali del sistema economico e sociale italiano, realizzati in una fase storica molto diversa da quella attuale, non si siano in alcun modo adeguati ai successivi cambiamenti del sistema e siano causa di una serie di fratture molto gravi che sono, poi alla base di quella scorsa competitività dell'Italia sul panorama internazionale.
(Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza n. 20/19; depositata il 3 gennaio)
L'Italia ha un sistema sociale – si pensi al sistema pensionistico ma, soprattutto, al mercato del lavoro – in cui il rapporto tra insiders e outsiders è ormai cristallizzato e qualunque tentativo di riforma si scontra con la difesa corporativa di chi alcune tutele le ha ottenute, e in cui paradossalmente – questa è la realtà più singolare – vi è una quasi complessa assenza di consapevolezza da parte di coloro che dovrebbero essere in prima fila per rivendicare un cambiamento del sistema. Basti pensare, ad esempio, alla problematica legata all'art. 18.
In questa prospettiva dovrebbe essere collocata anche la materia pensionistica, da affrontare con una logica più ampia nella quale alle questioni di natura strettamente finanziaria si affianchino anche valutazioni di carattere politico e culturale. Occorre cioè capire se sia necessario apportare all'attuale sistema i correttivi necessari a definire un miglior equilibrio nel confronto fra le generazioni, garantendo un'adeguata prospettiva previdenziale ai giovani di oggi, pensionati di domani (Giuliano Cazzola, Il patto intergenerazionale, Pensioni ed equità tra generazioni, Fondazione Magna Carta, 26 aprile 2010).
La sentenza della Cassazione. In questo contesto è intervenuta la sentenza della Corte di Cassazione n. 20/19 (del 3 gennaio), la quale, confermando il proprio pensiero manifestato nelle sentenze n. 26102, 26229, 26303 del 2014 e 53 del 2015, ha affermato che il d.lgs. n. 509/1994 - istitutivo delle Casse di previdenza – non ha attribuito agli emanandi regolamenti delle Casse la configurazione di regolamenti di delegificazione di cui alla l. n. 400/1988, art. 17, comma 2, sicché ad essi non è stato consentito di derogare a disposizioni collocate a livello primario, quali sono quelle dettate proprio per le Casse privatizzate a cominciare dalla l. n. 335/1995, art. 3, comma 12, che ha natura di norma imperativa inderogabile dell'autonomia normativa delle Casse privatizzate.
In forza di ciò la Corte di Cassazione ha affermato che le Casse di previdenza dei professionisti non hanno titolo per la previsione di una trattenuta a titolo di contributo di solidarietà sui trattamenti pensionistici già quantificati e attribuiti perché detto contributo di solidarietà non può essere ricondotto ad un criterio di determinazione del trattamento pensionistico, ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore.
E' evidente che le Casse di previdenza dei professionisti che, ad eccezione di Cassa Forense, sono transitate da un sistema più generoso a un sistema meno generoso, si vengono a trovare in enorme difficoltà non potendo spalmare i costi della sostenibilità anche sulla platea dei pensionati.
Con ciò si mette in discussione il rapporto tra generazioni.
Ed è su questo passaggio che dobbiamo aprire la discussione. Il sistema pensionistico dovrebbe essere studiato nel più ampio contesto economico del Paese: facendo riferimento cioè al tasso di disoccupazione, alla sua produttività e alla sua crescita economica.
Com'è noto, la stragrande maggioranza dei sistemi pensionistici si basa sul finanziamento a ripartizione, secondo cui i contributi dei lavoratori attivi vengono direttamente spesi per finanziare le pensioni in fase di pagamento.
Il principio che sta alla base di questa forma di finanziamento, viene comunemente chiamato "solidarietà intergenerazionale" dal momento che la generazione più giovane contribuirebbe in favore di quella più anziana, nell'attesa poi che la successiva pagherà per la prima. Il concetto di solidarietà è un principio nobile e presuppone reciprocità, lealtà e buona fede: un rapporto di fratellanza e reciproco sostegno che collega i singoli componenti di una collettività nel sentimento di questa loro appartenenza a una medesima società e nella coscienza dei comuni interessi e delle comuni finalità.
In altri termini questo principio esclude che esso sia a senso unico e cioè, sistematicamente, giovi a un gruppo a scapito di un altro (Francesco Briganti in Equità intergenerazionale, Il coraggio che manca in Punto pensioni e Lavoro).
Con la sentenza 20/19 della Corte di Cassazione riesce difficile però parlare ancora di una solidarietà fra generazioni.
Forse ha ragione chi definisce il patto intergenerazionale un'astrazione laddove si disconosce la funzione dello Stato nel campo della previdenza sociale, relegandolo a mero garante del patto intergenerazionale. Dire patto significa fare un contratto ove a fronte di un'obbligazione si ottengono delle prestazioni.
Nel campo dei sistemi pensionistici a redistribuzione dei tributi, non essendoci un patrimonio di previdenza a garanzia delle obbligazioni, lo Stato, attraverso gli Enti previdenziali, non può garantire la certezza delle prestazioni previdenziali che erogherà, quindi non può esistere un patto o contratto se non sono definibili le prestazioni (Paolo Mario Rossi, Il conflitto pensionistico in const.miraheze.org).
A questo punto dopo la sentenza della Suprema Corte, che conferma il suo precedente orientamento, così consolidatosi, le opzioni sono due: o si chiede al legislatore di riconoscere anche alle Casse di previdenza dei professionisti la facoltà di cui all'art. 17, comma 2, l. n. 400/1988, così da poter ripristinare il rapporto tra generazioni, oppure l'intero sistema della previdenza dei professionisti dovrà essere ripensato magari ancorandolo al criterio di finanziamento della capitalizzazione.
Quanto ai rischi della capitalizzazione ricordo che tutto il sistema della previdenza complementare di secondo pilastro è informato al criterio della capitalizzazione e gode di regolamenti per muoversi sui mercati finanziari che sono all'avanguardia a differenza di quanto avviene oggi per le Casse di previdenza che investono il capitale di garanzia sui mercati finanziari senza regole cogenti.
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Sono nato a Cles nel 1948. Ho conseguito la laurea in giurisprudenza a Bologna con una tesi in diritto agrario. Ho superato gli esami da procuratore legale nel 1974. Da allora esercito la professione forense in Trento. Sono Avvocato Cassazionista, specializzato in diritto del lavoro e della previdenza sociale. Arbitro di calcio dal 1972, poi Giudice sportivo per oltre 10 anni e Dirigente sportivo nazionale benemerito. Attualmente nel campo sportivo svolgo le funzioni di Sostituto Procuratore Federale Nazionale della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Sono Legale e consulente del Patronato Acli di Trento da 40 anni e componente di diritto dell’Unione Triveneta dei Consigli dell’Ordine. Già Consigliere e Segretario dell’Ordine degli Avvocati di Trento e per 14 anni Delegato per la Regione Trentino Alto Adige alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense in Roma. Il 01.04.2005 sono stato eletto nel CDA di Cassa Forense, pochi giorni dopo eletto Vice Presidente Nazionale e dal 2007 al 2009 Presidente, con introduzione, primo tra tutte le Casse, della tecnica ALM – Asset Liability Management per guidare l’attivo in funzione del passivo. Sono autore del testo pubblicato nell’aprile 2005 da Giuffré “La riforma della previdenza forense” e del manuale “Previdenza Forense”, Giappichelli Editore. Ho scritto numerosi articoli in materia giuslavoristica e previdenziale e sono attualmente autore di articoli settimanali sulla Rivista online “Diritto e Giustizia” (ed. Giuffrè). Sono appassionato di mountain bike , politica e natura.