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Cancelleria non comunica deposito sentenza, giudici spiegano regime impugnazione

Cosa accade se al legale costituito in un giudizio non viene comunicato dalla cancelleria (o dalla segreteria, nel caso si tratti di un giudizio incardinato innanzi il G.A.) l´avvenuto deposito della Sentenza che lo conclude, e, in aggiunta o addirittura, la data dell´udienza di discussione nella quale la causa passa in decisione ?
Quali, nelle ipotesi in questione, le conseguenze in ordine al decorso dei termini "lunghi" di impugnazione, se sia mancata la notifica del provvedimento dalla Controparte e non possano quindi decorrere quelli brevi ? Id est: è o no ammissibile, sotto il profilo della tempestività della notificazione, un atto di appello (o un ricorso per cassazione), qualora sia già decorso il termine "lungo" senza che al legale patrocinante la parte appellante (o ricorrente) sia stata mai comunicato il deposito della sentenza che ha concluso il giudizio del precedente grado, e neppure la data dell´ultima udienza, alla quale non ha, quindi, neppure partecipato ?
Ecco i quesiti ai quali ha fornito risposta il Consiglio di Stato con la recente Sentenza 16/9/2016 n. 3892 della Sesta Sezione, nella quale sono state fornite precisazioni che ben possono applicarsi, data l´analogia dei termini, anche ai giudizi per i quali sussiste la giurisdizione del G.O. .
Orbene, ha affermato Palazzo Spada che "la chiara formulazione dell´eccezione, di cui al comma 4 dell´art. 92 del c.p.a., alla regola dettata dal precedente comma 3 dell´art. 92, non consente di accedere alla tesi, sostenuta dall´appellante a sostegno della tempestività del gravame (...), secondo cui, nella fattispecie, la decorrenza del termine (c.d. lungo) per l´impugnazione della sentenza sarebbe stata impedita dalla circostanza della mancata tempestiva conoscenza della sentenza emessa dal T.A.R per la Campania conseguente alla mancata comunicazione della data di discussione dell´udienza di merito davanti allo stesso
T.A.R.".
Il Consiglio di Stato, ha quindi ribadito il principio processuale per cui l´unico caso che
fa eccezione alla ordinaria decorrenza del termine di sei mesi (c.d. termine lungo) per la proposizione di una impugnazione è quello in cui la parte non abbia avuto notizia, senza propria colpa, della pendenza del processo (che è cosa ben diversa dal non aver avuto notizia di un singolo atto di un processo di cui invece si conosce la esistenza).
Pertanto, tutte le volte nelle quali l´appellante avesse chiara conoscenza
della pendenza del giudizio di primo grado, essendosi in esso costituita ed anzi avendolo essa proposto quale ricorrente in prime cure, non può sussistere alcuna esimente, e, conseguentemente, alcuna rimessione in termini.
Ed infatti, "anche ad ammettere che alla predetta parte non
siano state comunicate né la data d´udienza, né l´avvenuta pubblicazione della sentenza, egualmente decorre, nei confronti di ogni parte che sia stata (o che, con l´ordinaria diligenza, avrebbe dovuto essere) a conoscenza della pendenza del processo, il termine decadenziale ordinario di sei mesi (c.d. termine lungo) per la proposizione delle impugnazioni ordinarie avverso la sentenza che abbia definito tale processo".
Principio, ha chiosato il Collegio, che non è in alcun modo lesivo del diritto di difesa, costituzionalmente garantito, giacché da un lato il legislatore deve contemperare l´interesse della parte a proporre l´impugnazione con l´interesse generale (delle altre parti e di tutti i consociati) a poter confidare sulla definitività delle decisioni di primo grado una volta decorso un ragionevole lasso di tempo dalla loro pubblicazione, senza che alcuna impugnazione sia stata proposta.
Si allega sentenza
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