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Dipendente vessato dal capo, Cassazione: irrilevante persecuzione, danno va risarcito

Se un lavoratore chieda il risarcimento del danno patito alla propria integrità psico-fisica in conseguenza di una pluralità di comportamenti di natura vessatoria, il giudice del merito - anche qualora manchi un intento persecutorio (e quindi in assenza di una condotta di mobbing) - deve valutare se alcuni dei comportamenti in questione possano essere considerati di per sè vessatori e mortificanti e come tali causa di responsabilità del datore di lavoro, ma, in base al principio sull´onere della prova, le condotte vessatorie devono essere adeguatamente documentate dal lavoratore.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con Sentenza n. 19180 del 2016, depositata il 28/9/2016.
La questione
Un dipendente di Banca aveva agito nei confronti del datore di lavoro lamentando di essere stato oggetto di condotte "mobbizzanti", quali la privazione dei mezzi di lavoro, l´eliminazione dalla lista dei docenti dei corsi di formazione ed aggiornamento professionale, il mancato avanzamento in carriera, la sottoposizione a soprusi e derisioni, da parte di un dirigente della Banca al punto di essere costretto a rassegnare le proprie dimissioni.
Il dipendente aveva chiesto quindi che fosse accertata la responsabilità della Banca ai sensi degli articoli 2043 e 2087 cc. con conseguenziale condanna dell´Istituto al risarcimento dei danni.
Il Giudice del Lavoro accoglieva solo parzialmente la domanda, con Sentenza confermata anche in Appello, in relazione al riconoscimento del danno biologico non riconosciuto in primo grado.
La Corte territoriale preliminarmente riteneva non provata la esistenza del mobbing, per la mancata acquisizione della prova sia della molteplicità dei comportamenti di carattere persecutorio sia dell´intento persecutorio.
Quanto alla privazione delle mansioni, riteneva accertata la esistenza di un periodo di stasi lavorativa dell´intero ufficio (OMISSIS), in concomitanza con la fusione della Banca Nazionale della Agricoltura in altra Banca durante il quale il ricorrente si era occupato solo della formazione e non anche degli impianti di sicurezza per il rumore.
Ritenendo, al contrario, sforniti di prova la lamentata cancellazione dall´elenco dei docenti (elenco del quale i testi avevano escluso l´esistenza), l´arresto di carriera (in quanto nel periodo della fusione nessuno degli addetti allo stesso ufficio aveva avuto avanzamenti in carriera), la sottrazione degli strumenti di lavoro (che erano in dotazione all´ufficio e non alla persona del ricorrente).
In conclusione, doveva ritenersi integrato, dunque, unicamente il demansionamento per privazione delle mansioni.
Contro questa pronuncia, nella parte a lui sfavorevole, ricorreva in Cassazione l´originario ricorrente.
La decisione
I Supremi Giudici, chiamati a dirimere in maniera definitiva sulla vicenda, hanno confermato quanto statuito nei precedenti gradi di giudizio non ritenendo provato il " mobbing", pur riconoscendo la vessatorietà insita nei comportamenti perpetrati nei confronti del dipendente.
Il giudice del merito, ha puntualizzato il Supremo Collegio, bene ha fatto ad attenersi a tale principio di diritto ravvisando dunque la responsabilità del datore di lavoro per demansionamento pure nella ritenuta assenza del mobbing.
In tal senso gli Ermellini hanno precisato che le richieste risarcitone erano state rigettate non sotto il profilo della assenza di inadempimento ma per la ritenuta carenza di allegazione del danno-conseguenza patito dal lavoratore.
Per tale ragione il Supremo Collegio ha ritenuto inammissibile il ricorso.
Sentenza allegata

 

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