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Alla materia disciplinare forense non trova applicazione il principio di stretta tipicità dell’illecito

Alla materia disciplinare forense non trova applicazione il principio di stretta tipicità dell’illecito

L'illimitata casistica di comportamenti costituenti condotte deontologicamente non corrette sottrae la materia disciplinare forense dall'applicazione del principio di stretta tipicità dell'illecito

L'avvocato nell'esercizio della professione forense deve rispettare le norme deontologiche. Dal mancato rispetto di tali norme discende una responsabilità disciplinare del professionista, suscettibile di sanzione [1]. Nella materia disciplinare forense, però, non trova applicazione il principio di stretta tipicità dell'illecito, proprio del diritto penale in quanto non è prevista una tassativa elencazione dei comportamenti vietati. E ciò in considerazione del fatto «che il nuovo sistema deontologico forense è informato al principio della tipizzazione della condotta disciplinarmente rilevante e delle relative sanzioni "per quanto possibile". In buona sostanza, la variegata e potenzialmente illimitata casistica di tutti i comportamenti (anche della vita privata) costituenti illecito disciplinare non ne consente una individuazione dettagliata, tassativa e meramente esemplificativa». Ne consegue che se manca la "descrizione" di uno o più comportamenti dal punto di vista deontologico rilevanti e della relativa sanzione, questa omissione «non genera l'immunità, giacché è comunque possibile contestare l'illecito anche sulla base della norma di chiusura, secondo cui "la professione forense deve essere esercitata con indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo sociale e della difesa e rispettando i principi della corretta e leale concorrenza (CNF, n. 141/2019).

L'accertamento dell'illecito disciplinare e la determinazione della sanzione

Una volta appurato che la condotta dell'avvocato costituisce illecito disciplinare, occorrerà determinarne la entità. Il potere, a tal fine, spetta agli organi disciplinari i quali dovranno applicare «la sanzione adeguata alla gravità e alla natura del comportamento deontologicamente non corretto. 

In particolare, la determinazione della sanzione disciplinare non è frutto di un mero calcolo matematico, ma è conseguenza della complessiva valutazione dei fatti [2], avuto riguardo:

alla gravità dei comportamenti contestati,

al grado della colpa o all'eventuale sussistenza del dolo e alla sua intensità,

al comportamento dell'incolpato precedente e successivo al fatto,

alle circostanze -soggettive e oggettive- nel cui contesto è avvenuta la violazione,

all'assenza di precedenti disciplinari,

al pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, nonché a particolari motivi di rilievo umano e familiare, come pure alla buona fede del professionista».

(CNF, n. 171/2019).

La responsabilità e la potestà disciplinare nella prassi

Si ritiene che:

  • «la radiazione costituisce trattamento sanzionatorio che va adeguato alla gravità della condotta in reiterata violazione dei fondamentali e più cogenti doveri professionali, della totale mancanza di resipiscenza, della pervicacia con la quale l'incolpato ha posto in essere la sua condotta (Nel caso di specie, l'incolpato era stato già sospeso disciplinarmente svariate volte nel corso dell'ultimo ventennio per oltre una decina di diversi capi di incolpazione)» (CNF, n. 8/2019);
  • se un avvocato è sottoposto a procedimento penale, le risultanze istruttorie acquisite nel corso di questo e la relativa sentenza di condanna, ancorché non definitiva, possono costituire un elemento fattuale che gli organi disciplinari devono valutare. Tuttavia, si tratta di una valutazione che va fatta tenendo conto di un quadro probatorio «costituito da altre circostanze gravi, precise e concordanti in grado di affievolire, fino a superare la presunzione di non colpevolezza dell'incolpato» (CNF, n. 8/2019);
  • quando bisogna valutare se il comportamento dell'avvocato costituisca o meno illecito deontologico, la valutazione si estende a una condotta generale del professionista. Ne consegue che ove sono accertanti più illeciti disciplinari nello stesso procedimento, va inflitta un'unica sanzione, quella più adeguata che non è la somma di altrettante pene singole sui vari addebiti contestati, essendo invece il frutto di una valutazione complessiva del soggetto interessato (CNF, n. 121/2019). E ciò in considerazione del fatto che nei procedimenti disciplinari viene effettuato un bilanciamento tra la considerazione di gravità dei fatti addebitati e i concorrenti criteri di valutazione, tra i quali ad esempio si può citare l'assenza di precedenti disciplinari e il comportamento processuale dell'incolpato (CNF, n. 53/2019).

Note

[1] Art. 20 Codice deontologico forense:

«1. La violazione dei doveri e delle regole di condotta di cui ai precedenti articoli e comunque le infrazioni ai doveri e alle regole di condotta imposti dalla legge o dalla deontologia costituiscono illeciti disciplinari ai sensi dell'art. 51, comma 1, della legge 31 dicembre 2012, n. 247. 2. Tali violazioni, ove riconducibili alle ipotesi tipizzate ai titoli II, III, IV, V e VI del presente codice, comportano l'applicazione delle sanzioni ivi espressamente previste; ove non riconducibili a tali ipotesi comportano l'applicazione delle sanzioni disciplinari di cui agli articoli 52 lettera c) e 53 della legge 31 dicembre 2012, n. 247, da individuarsi e da determinarsi, quanto alla loro entità, sulla base dei criteri di cui agli articoli 21 e 22 di questo codice».

[2] Art. 21 Codice deontologico forense:

«1. Spetta agli Organi disciplinari la potestà di applicare, nel rispetto delle procedure previste dalle norme, anche regolamentari, le sanzioni adeguate e proporzionate alla violazione deontologica commessa. 2. Oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell'incolpato; la sanzione è unica anche quando siano contestati più addebiti nell'ambito del medesimo procedimento. 3. La sanzione deve essere commisurata alla gravità del fatto, al grado della colpa, all'eventuale sussistenza del dolo ed alla sua intensità, al comportamento dell'incolpato, precedente e successivo al fatto, avuto riguardo alle circostanze, soggettive e oggettive, nel cui contesto è avvenuta la violazione. 4. Nella determinazione della sanzione si deve altresì tenere conto del pregiudizio eventualmente subito dalla parte assistita e dal cliente, della compromissione dell'immagine della professione forense, della vita professionale, dei precedenti disciplinari». 

 

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