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Abbandona la moglie e la figlia autistica, la Cassazione conferma l’addebito

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Con l'ordinanza n. 27235 dello scorso 30 novembre, la I sezione civile della Corte di Cassazione ha confermato l'addebito di una separazione a un marito che aveva abbandonato il tetto coniugale disinteressandosi della grave forma di autismo di cui era affetta la figlia, escludendo che la crisi del rapporto coniugale potesse essere addebitato all'ingerenza dei suoceri in merito a scelte terapeutiche riguardanti i genitori e la minore.

Si è difatti precisato che il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all'impossibilità della convivenza, salvo che chi ha posto in essere l'abbandono provi che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto.

Sul merito della questione aveva statuito, inizialmente, il Tribunale di Roma che, pronunciandosi sulla separazione personale dei coniugi, accoglieva la domanda di addebito a carico del marito, l'obbligandolo altresì a corrispondere all'ex moglie un assegno mensile di mantenimento.

La Corte d'appello di Roma, rigettando il gravame del marito, confermava le statuizioni relative all'addebito. 

 Difatti, nel corso dell'istruttoria era emerso che l'uomo, in costanza della convivenza familiare, si era totalmente disinteressato della grave patologia di cui era affetta la figlia (autismo), abbandonando il tetto coniugale a causa di un diverbio insorto con il suocero in merito a scelte terapeutiche riguardanti i genitori e la minore.

Il marito, ricorrendo in Cassazione, denunciava violazione e falsa applicazione dell' art. 151 comma 2, c.c. in punto di addebitabilità della separazione, dolendosi per non aver la Corte di merito valutato attentamente il contenuto delle diverse deposizioni testimoniali, dalle quali sarebbe, in realtà, emerso che la frattura coniugale era da ricollegare alla eccessiva ingerenza dei genitori della moglie, non sufficientemente contrastata da quest'ultima.

La Cassazione non condivide le tesi difensive del ricorrente.

In punto di diritto la Corte ricorda che l'abbandono della casa familiare, di per sé costituisce violazione di un obbligo matrimoniale, a prescindere dalla prova della asserita esistenza di una relazione extraconiugale in costanza di matrimonio. Difatti, il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all'impossibilità della convivenza, salvo che chi ha posto in essere l'abbandono provi che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto.

 Con specifico riferimento al caso di specie, la Corte distrettuale ha dato rilievo al comportamento reiterato del marito, di totale disinteresse, in costanza della convivenza familiare, verso la grave forma di autismo di cui era affetta la figlia, non affiancando la moglie nel complicato percorso di vita e crescita della figlia, preferendo estraniarsi e delegare alla moglie ogni aspetto, con abbandono del tetto coniugale a causa di un diverbio insorto con il suocero in merito a scelte terapeutiche riguardanti i genitori e la minore.

Di contro il ricorrente imputa ai giudici d'appello di non aver considerato alcuni elementi a suo dire decisivi ai fini della pronuncia di addebito, relativi alla rilevanza causale dell'ingerenza dei suoceri nella determinazione della crisi coniugale.

Alla luce di tanto le doglianze prospettate risultano inammissibili in quanto le stesse – risolvendosi nella sollecitazione di un nuovo accertamento di merito sui presupposti della pronuncia di addebito – impongono l'esecuzione di un nuovo accertamento di fatto precluso in sede di legittimità.

Difatti, l'apprezzamento circa la responsabilità di un coniuge nel determinarsi della intollerabilità della convivenza in ragione della violazione dei doveri matrimoniali è istituzionalmente riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità in presenza di motivazione congrua e logica.

In conclusione, la Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità e al versamento dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

 

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