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A seguito dei procedimenti separativi, sia essi consistenti in separazione personale dei coniugi che in cessazione di convivenza more uxorio, in presenza di figli, l'affidamento condiviso degli stessi, introdotto nel nostro ordinamento giuridico con la L. n. 54/2006, rappresenta la regola generale nei casi di disgregazione del legame familiare.
Una regola questa che rispetta a pieno il principio della bigenitorialità, coincidente con il diritto soggettivo del minore affinché entrambi i genitori, anche se separati, abbiano medesima responsabilità.
Lo stesso termine "bigenitorialità" è espressione di un principio in base al quale un minore possa contare sull'apporto di entrambi i genitori a prescindere dal fatto che questi ultimi rappresentino una coppia o che siano separati.
Spesso si assiste però all'illegittimità dell'operato di un adulto (quasi sempre uno dei genitori) che "sottrae" il bambino e lo porta con sé in una nuova residenza, senza il consenso dell'altro coniuge.
In questi casi, è evidente il pregiudizio arrecato al minore il qualeha il diritto di rimanere nel luogo della sua residenza abituale, nel suo interesse esclusivo e superiore, fino a che a causa di una diversa e concorde decisione dei genitori si ravvisi la necessità di mutarla.
Ebbene tale comportamento attuato dal genitore, nei termini sopra descritti, riveste rilevanza sia da un punto di vista civile che penale.
Sotto il profilo civilistico, la violazione delle disposizioni contenute in un provvedimento giudiziale che regolamenti affidamento del minore può determinare peril genitore che ha posto in essere un simile comportamento una modifica del regime di affidamento e talvolta anche una limitazione della responsabilità genitoriale, per la manifestata incapacità genitoriale.
Dal punto di vista penale, quali sono i reati configurabili in questi casi?
Certamente costituisce reato "sottrarre" un minore di età al genitore che esercita la responsabilità genitoriale, cioèallontanarlo dal genitore ovvero condurlo e trattenerlo lontano da lui in modo da impedire od ostacolare l'esercizio delle funzioni genitoriali.
Si tratta di un reato per cui è palese la lesione dell'esercizio della bigenitorialità.
In tale senso l'art. 574 c.p. disciplina il c.d. reato di "sottrazione di minore": "chiunque sottrae un minore degli anni quattordici, o un infermo di mente, al genitore esercente la responsabilità genitoriale , al tutore [346], o al curatore [424], o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi, è punito, a querela del genitore esercente la responsabilità genitoriale, del tutore o del curatore [120], con la reclusione da uno a tre anni.
Alla stessa pena soggiace, a querela delle stesse persone, chi sottrae o ritiene un minore che abbia compiuto gli anni quattordici, senza il consenso di esso, per fine diverso da quello di libidine o di matrimonio. Si applicano le disposizioni degli articoli [525] e [544] [c.p.p. 689]".
Si tratta di un reato plurioffensivo, in quanto qui il legislatore ha voluto tutelare non solo la responsabilità genitoriale, ma anche il diritto del minore a vivere nel proprio ambiente.
Recentemente la Suprema Corte in un caso di sottrazione di minore operata da un genitore, ha statuito che "integra il reato di cui all'art. 574 c.p. la condotta di un genitore che, contro la volontà dell'altro, sottragga a quest'ultimo il figlio per un periodo di tempo significativo, impedendo l'altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall'ambiente d'abituale dimora (fattispecie relativa alla sottrazione di minore da parte della madre che portava la figlia per un periodo di circa quindici giorni in una località ignota al padre, affidatario in via esclusiva, interrompendo ogni contatto tra quest'ultimo e la figlia) (sul punto cfr. Cass. pen., sez. V, 28-03-2018, n. 28561).
Il bene giuridico oggetto di tutela è la responsabilità genitoriale offesa da coloro che, approfittando del consenso del minore, rendano impossibili il normale svolgimento del compito di ogni genitore.
Il dissenso del genitore può anche presumersi in base alle circostanze ed alle modalità della sottrazione, tenendo comunque conto di tutte le circostanze, delle particolari condizioni dell'ambiente familiare, delle abitudini e delle consuetudini in cui vive il minore.
Il reato si consuma nel momento in cui viene interrotto di fatto il vincolo di soggezione con l'altro genitore, indipendentemente dal fine perseguito dal soggetto agente o dal minore.
A differenza dell'articolo 573 c.p.,la norma in esame, punisce la sottrazione di un minore di anni quattordici o di un incapace, per il quale si presume l'incapacità di prestare il proprio consenso all'allontanamento volontario dall'altro genitore (o tutore, curatore ecc.).
Come da orientamento consolidato della Suprema Corte, il delitto di cui all'art. 574 c.p. commesso da uno dei genitori nei confronti dell'altro, è configurabile sia nel caso di famiglia matrimoniale sia nell'ipotesi di famiglia di fatto (sul punto cfr. Cass. pen. Sez. VI, 4 luglio 2002, n. 28863).
Per completezza, un minimo accenno (vista la vastità dell'argomento) va fatto anche alla sottrazione internazionale dei minorenni, che si verifica nel caso in cui un minore avente la residenza abituale in un determinato Stato è condotto in un altro Stato senza il consenso del soggetto che esercita la responsabilità genitoriale, configurandosi così il reato di cui all'art. 574 bis c.p.c.. Questa condotta è comunemente intesa come una delle tante forme di maltrattamento dei bambini.
Integrano il delitto di sottrazione e trattenimento di minore all'estero, di cui all'art. 574 bis c.p., le condotte di abductio o di trattenimento del minore al di fuori del territorio dello stato, cui consegue l'impedimento dell'esercizio della potestà genitoriale da parte del soggetto legittimato, atteso che detto reato si connota, rispetto al delitto di sottrazione di persone incapaci, dall'elemento specializzante del trasferimento o trattenimento all'estero (Cass. pen., sez. VI, 31-03-2016, n. 17679).
La sottrazione di minore non è il però solo reato configurabile.
Infatti il comportamento di uno dei genitori che allontana volontariamente il minore dall'altro genitore, integra anche il reato di"elusione" del provvedimento del giudice civile che concerne l'affidamento di un minoredi cui all'art. 388 c.p.
Il suddetto articolo prevede che commette tale reato " chi elude l'ordine di protezione previsto dall'articolo 342 ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero ancora l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che concerna l'affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito. La ratio di tale disposizione si individua nell'esigenza di tutelare l'interesse all'esecuzione delle sentenze e dei provvedimenti".
Anche tale norma configura, come il precedente reato oggetto di esame, un reato plurioffensivo, dato che tutela non solo l'autorità delle decisioni giudiziarie, ma anche l'interesse del privato a favore del quale è stato emesso il provvedimento o la sentenza del giudice.
Il delitto è inoltre un reato proprio, dato che può essere commesso solamente dal destinatario del provvedimento o della sentenza del giudice.
La condotta penalmente rilevante che rileva è quella di chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, amministrativo o contabile che riguardi l'affidamento di minori o di altre persone incapaci.Per tale condotta è sufficiente l'accertamento del dolo generico, consistente nella rappresentazione e volontà di eludere il provvedimento e gli obblighi ivi specificati.
Ma in questi casi a chi spetta il diritto di querela? Esclusivamente all'altro genitore o anche chi eserciti anche la momentanea custodia o vigilanza del minore?
Il titolare del diritto di querela nei reati di sottrazione è il genitore esercente la responsabilità genitoriale.
L'argomento di grande attualità è stato recentemente oggetto di esame da parte della Suprema Corte di Cassazione che con la recente pronuncia Cass. pen. Sez. VI, 22 ottobre 2018, n. 48092, la quale ha statuito che la legittimazione a proporre querela in relazione al reato di cui all'art. 574 c.p., spetta soltanto ai soggetti individuati dalla norma (genitore esercente la potestà, tutore o curatore) esclusi, pertanto, quelli che abbiano solo la vigilanza o la custodia del minore.
Pertanto, alla luce della suddetta pronuncia, il reato di sottrazione di minorenni non è procedibile a querela di chi abbia la sola vigilanza/custodia del minore e non rivesta la qualifica di tutore/curatore.
Si legge nella richiamata sentenza che "dalla relazione ministeriale sul progetto del codice penale risulta che per il reato in esame "il diritto di querela spetta, esclusivamente, jure proprio, al genitore che esercita la patria potestà o al tutore o al curatore, derogandosi alla regola generale stabilita dall'art. 124 (ora 120) del codice penale richiedendo nel genitore che voglia querelarsi, un effettivo esercizio della patria potestà. In conformità a tale orientamento si è espressa la giurisprudenza che ha individuato quale principale bene giuridico tutelato dalla norma la potestà genitoriale (Sez. 6, n. 28863 del 04/07/2002,). Pertanto, non può avere luogo la estensione della legittimazione a proporre querela a coloro che hanno la vigilanza o custodia del minore in ragione della specialità della norma che prevede la causa di procedibilità ed in rapporto al bene tutelato dalla norma".
La medesima sentenza chiarisce in maniera più che esaustiva anche il rapporto tra la condotta di cui all'art. 574 c.p.e la condotta di cui all'art. 388 c.p.
In relazione a tale aspetto ritiene infondato il motivo di ricorso secondo cui il reato di cui all'art. 388 c.p. debba considerarsi assorbito a quello disciplinato dall'art. 574 c.p.
Costituisce jus receptum che le norme di cui agli artt. 388 e 574 c.p., che prevedono rispettivamente il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice e quello di sottrazione di persona incapace non danno luogo ad un concorso di norme governato dal principio di specialità, poiché il primo reato è caratterizzato dalla elusione di un provvedimento del giudice, mentre il secondo è qualificato da un'incidenza su un rapporto di cui il minore è parte e che si collega alla potestà genitoriale o ad altre situazioni particolari, ed inoltre le diverse componenti delle fattispecie sono indicative di offese diverse, che si realizzano congiuntamente quando con la stessa condotta vengono violate entrambe le norme (Sez. 6, n. 33989 del 11/06/2015, P., Rv. 264664).
Sotto il profilo della legittimazione a proporre querela per il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice riguardante l'affidamento dei figli, previsto dall'art. 388, 2° comma, c.p., questa spetta al genitore interessato all'osservanza del provvedimento e non al minore, in quanto l'interesse tutelato è quello relativo all'esercizio delle prerogative genitoriali sul punto cfr. Cass. pen., sez. VI, 25-07-2017, n. 46483.
Pertanto, in casi simili, opportuno rivolgersi ad un legale specializzato in materia che possa consigliare la strategia difensiva idonea al fine di tutelare il preminente interesse del minore nonché poter dare adeguata tutela ai diritti del genitore affidatario.
Si indicano di seguito alcune recenti sentenze della Suprema Corte in materia.
Cass. pen., sez. V, 14-03-2016, n. 41658.
Integra il delitto previsto dall'art. 574 c.p. la condotta del genitore che sottragga totalmente il figlio minore alla vigilanza dell'altro coniuge affidatario, così da rendergli impossibile l'esercizio della potestà genitoriale (fattispecie in cui la corte ha ritenuto immune da vizi la sentenza che aveva configurato il reato con riferimento alla condotta del padre di sottrazione del figlio alla nonna materna, cui il minore era stato temporaneamente affidato dalla madre, e di successivo trattenimento per alcuni giorni presso la sua abitazione, anche dopo il ritorno della madre, così imponendo a questa di visitare il figlio a casa sua).
Cass. pen., sez. III, 19-10-2016, n. 4186.
Integra il reato di cui all'art. 574 c.p. la condotta di un genitore che, contro la volontà dell'altro, sottragga il figlio per un periodo di tempo rilevante, impedendo l'altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall'ambiente d'abituale dimora
Cass. pen., sez. VI, 11-06-2015, n. 33989.
Le norme di cui agli art. 388 e 574 c.p., che prevedono rispettivamente il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice e quello di sottrazione di persona incapace non danno luogo ad un concorso di norme governato dal principio di specialità, poiché il primo reato è caratterizzato dalla elusione di un provvedimento del giudice, mentre il secondo è qualificato da un'incidenza su un rapporto di cui il minore è parte e che si collega alla potestà genitoriale o ad altre situazioni particolari, ed inoltre le diverse componenti delle fattispecie sono indicative di offese diverse, che si realizzano congiuntamente quando con la stessa condotta vengono violate entrambe le norme.
Cass. pen., sez. un., 21-12-2017, n. 12213.
Nel delitto di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice il termine per proporre la querela decorre dalla data in cui l'inottemperanza pervenga a conoscenza del creditore, restando a carico di chi deduce la tardività della querela la prova del difetto di tempestività della stessa.
Cass. pen., sez. VI, 18-03-2016, n. 12391.
Integra una condotta elusiva dell'esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l'affidamento di minori, rilevante ai sensi dell'art. 388, 2º comma, c.p., anche il mero rifiuto di ottemperarvi da parte del genitore affidatario, salva la sussistenza di contrarie indicazioni di particolare gravità, quando l'attuazione del provvedimento richieda la sua necessaria collaborazione (fattispecie relativa ad elusione del provvedimento relativo al diritto di visita del minore da parte del genitore non affidatario, emanato dal giudice civile in sede di separazione personale).
Avv. DANIELA BIANCO del Foro di Reggio Calabria
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Il mio nome è Daniela Bianco. Sono un Avvocato e una persona solare, eclettica e molto precisa nei rapporti interpersonali, professionale e deontologicamente corretta nei confronti di colleghi e di clienti.
Amo la giustizia nel puro significato del termine e ritengo che la mia soddisfazione sia quella del cliente che va ascoltato ma non sempre assecondato.
Laureata con lode presso l’Università degli Studi di Palermo nel 2003, ho conseguito la specializzazione per le professioni legali indirizzo giudiziario- forense Presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria nel 2005. Nel 2007 ho conseguito l’abilitazione alla professione forense ed attualmente sono iscritta all’albo dell’Ordine degli Avvocati di Reggio Calabria dall’11.11.2007. Dal 2005 mi occupo di diritto civile ed in particolare delle problematiche inerenti il delicato settore del diritto di famiglia nel quale svolgo attività di consulenza anche on line ed assistenza giudiziale.