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1980 Un anno vissuto pericolosamente

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Giovedì scorso, su questo stesso Portale "Reti di Giustizia", è apparso un articolo sul quarantesimo anniversario dell'uccisione del giornalista Walter Tobagi, avvenuta a Milano il 28 maggio 1980.

Walter Tobagi era un cronista del "Corriere della sera", ma con una straordinaria formazione culturale e una professionalità di grandissimo rispetto. Nonostante la sua giovane età, era nato il 18 marzo 1947 a San Brizio, una frazione del comune di Spoleto, in Umbia.

All'età di otto anni la famiglia si trasferì a Bresso, vicino Milano, poiché il padre Ulderico era un ferroviere. La sua carriera di giornalista cominciò al ginnasio, come redattore del giornale del Liceo Ginnasio Giuseppe Parini di Milano La Zanzara, reso famoso per un processo provocato da un articolo sull'educazione sessuale.

Dopo un lungo e proficuo apprendistato al quotidiano "Avvenire", il giornale della Conferenza episcopale italiana, approda al "Corriere della sera" e si interessa della "Strategia delle tensione".

Non so quante persone, giovani o meno giovani abbiano memoria di questo termine.

Ecco il significato corretto: "Per strategia della tensione si intende dunque una strategia eversiva basata principalmente su una serie preordinata e ben congegnata di atti terroristici, volti a creare in Italia uno stato di tensione e una paura diffusa nella popolazione, tali da far giustificare o addirittura auspicare svolte di tipo autoritario", (Dizionario di storia Treccani, Istituto della Enciclopedia Italiana.

Diverse erano le matrici ideologiche e politiche, di destra e di sinistra, camuffate in sigle che, sciaguratamente, divennero tristemente "famigliari" per il numero altissimo di persone che riuscirono ad assassinare.

Lo scorso 28 maggio, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ricorda, sulle pagine del "Corriere della sera", Walter Tobagi con un articolo e un titolo che ci richiamano alla realtà: "Perché Walter Tobagi ci esorta alla speranza".

Scrive il nostro Presidente della Repubblica: "Walter Tobagi fu ucciso barbaramente perché rappresentava ciò che i brigatisti negavano e volevano cancellare.

Era un giornalista libero, che indagava la realtà oltre stereotipi e pregiudizi, e i terroristi non tolleravano narrazioni diverse da quelle del loro schematismo ideologico. […] In uno dei suoi ultimi articoli Tobagi scrisse dei brigatisti, descrivendo le loro fragilità e contraddizioni, pure in una stagione in cui continuavano a far scorrere tanto sangue. Non sono 'samurai' invincibili', sottolineò. Forse anche questo mosse la crudeltà della mano assassina". 

E le "mani assassine", in quell'anno 1980, seminarono morti in tutta Italia.

La "mattanza" inizia il 6 gennaio con l'omicidio di Pier Santi Mattarella, presidente della Regione Sicilia, allievo prediletto di Aldo Moro e destinato a succedergli.

Il 12 febbraio viene ucciso dalle Brigate rosse, all'Università di Roma, il professore Vittorio Bachelet, vice presidente del Consiglio superiore della magistratura.

Vittorio Bachelet era contrario ad ogni "legge straordinaria" per combattere il terrorismo. Era convinto che le leggi ordinarie contenevano tutte le garanzie per un lavoro rigoroso e proficuo.

Il 16 marzo le Brigate rosse uccidono il Procuratore della Repubblica di Salerno, Nicola Giacumbi.

E, due giorni dopo, il 18 marzo, sempre a Roma,viene ucciso il magistrato Girolamo Minervini, mentre si recava in autobus al Ministero di Grazie e Giustizia, essendo stato nominato, il giorno prima, Direttore generale degli istituti di prevenzione e pena. Il Magistrato aveva rinunciato, pur essendo consapevole dei pericoli che questo nuovo incarico gli faceva correre, alla scorta armata perché non voleva mettere a rischio la vita di chi l'avrebbe scortato.

Il 23 maggio i Nuclei armati rivoluzionari (NAR), di matrice fascista, uccidono a Roma il magistrato Mario Amato, che si stava occupando di terrorismo neofascista

Aveva ereditato le inchieste di un altro magistrato della Procura di Roma, Vittorio Occorsio. ucciso, sempre da gruppi neofascisti, il 10 luglio 1976.

Mario Amato si stava occupando delle varie connessioni tra la massoneria P2 di Licio Gelli, gli ambienti di destra e la malavita romana, capeggiata dalla banda della Magliana.

Il 27 giugno un aereo Itavia, partito da Bologna e diretto a Palermo con 77 passeggeri e un equipaggio di 4 persone, scompare dai radar e ritrovato con il suo bagaglio di 81 morti nelle acque del mare di Ustica. Ancora oggi siamo in attesa di conoscere cosa sia successo, dopo mille ipotesi che non hanno condotto a nulla.

Ed eccoci al 2 agosto. La madre di tutte le stragi: "La strage della stazione di Bologna: alle ore 10.25 minuti", con i suoi 85 morti e oltre 200 feriti".

Autori della strage Luigi Ciavardini, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, aderenti ai NAR. Ma abbiamo atteso la fine di febbraio di questo anno, affinchè la Magistratura stabilisse che la Strage fu organizzata dalla P2 di Liceo Gelli, con il suo braccio destro Vittorio Ortolani e il fior fiore dei nostri servizi segreti, sempre presenti in ogni e qualsiasi strage organizzata nel nostro Paese. 

Il 4 agosto 1980, Eugenio Scalfari in un editoriale, "Un demonio manovra questa follia", de "la Repubblica", dopo una serie di considerazioni sulle piste che gli inquirenti stanno seguendo scrive: "… La risposta sicura è che l'attentato mira a scuotere la fiducia tra governanti e governati, senza la quale una convivenza organizzata risulta impossibile. Questa fiducia è già molto esile e le ragioni sono tante e ben note, recenti ed antiche. Eppure, un rapporto fiduciario esiste ancora ed è quel rapporto che rende possibile la sopravvivenza della nazione e persino i suoi avanzamenti, pur in mezzo a mille insidie ed innumerevoli ostacoli".

Ieri come oggi.

E tanto per non farsi mancare nulla, il 31 dicembre viene ucciso da BR il generale dei carabinieri Riziero Enrico Galvaligi, stretto collaboratore del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, e responsabile del coordinamento dei servizi di prevenzione e pena. Posto che era stato occupato, anche se per un solo giorno, dal magistrato Girolamo Minervini, ucciso il 18 marzo dello stesso anno.

Questa carrellata di un anno forse ci serve per capire meglio ciò che sta succedendo anche oggi. Un momento in cui la magistratura sembra "sotto scacco" per un pugno di magistrati che, come alcuni rappresentanti dei nostri"servizi deviati", hanno mancato ai loro impegni istituzionali.

Questi sono i momenti dell'indignazione, giusta e doverosa. Ma non si faccia di tutte le erbe un fascio.

I tre pilastri della democrazia, non dimentichiamolo, sono i pesi e i contrappesi istituzionali:  legislativo, esecutivo e giudiziario. Azzoppore una di queste istituzioni si va incontro a delle avventurte di cui iol Paese non ha bisogno.

E non dimentichiamo, che il nostro Paese, nonostante tutto, ha anche degli anticorpi capaci di permetterci di guardare un futuro meno traumatico.

E ce lo dice un altro grande "Vecchio", Emanuele Macaluso, rispondendo ad uno scritto di Concita De Gregorio, apparso su "la Repubblica", le scorse settimane:

"Non è la prima volta che nel Paese si determina una situazione economica, sociale e politica grave. Sono molto vecchio per ricordare cosa è stato il dopoguerra in Sicilia. Lavoravo al sindacato, dirigevo la Camera del Lavoro della mia città, Caltanissetta. Le miniere erano allagate, l'edilizia e altre attività industriali ferme, la disoccupazione elevatissima. Ma non ricordo la disperazione oggi descritta da De Gregorio. Penso che, ancora oggi, il sindacato c'è; non ci sono i grandi partiti ed è un punto di debolezza. C'è il Pd che ha un rapporto fragile con il popolo. Anche altre forze politiche ed organizzazioni sociali (artigiani, commercianti, imprenditori) sono in campo e avvertono la responsabilità nei confronti dei loro organizzati. E ci sono anche le forze di destra che, però, non dimostrano una responsabilità nazionale. Al contrario." 

 

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