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160° Anniversario dell’Unità d’Italia Chissà quanti se ne ricordano

rizzo

 La scorsa settimana ho assistito ad una puntata di un documentario di Rai Storia, con due protagonisti eccezionali: la regista Liliana Cavani e il giornalista Massimo Bernardini.

La prima nella veste di regista rigorosa e il secondo come interlocutore intelligente e puntiglioso.

L'incontro riproponeva una vecchia indagine, "La giornata della pace. Un romanzo di formazione", del 1965 attraverso il quale Liliana Cavani, a vent'anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, intervistava alcuni giovani ventenni: italiani, francesi, inglesi e germanici, su quei terrificanti cinque anni di guerra che avevano provocato oltre cinquanta milioni di morti, centinaia di migliaia di feriti; devastate città, vanificate economie di tutti i paesi del mondo.

Eppure, meraviglia delle meraviglie, la quasi totalità dei giovani intervistati, rimaneva a bocca chiusa, reagiva con un'alzata di spalle, lanciava occhiate di meraviglia. Come se i campi di sterminio fossero stati strutture partorite da menti malate e fantasiose. E non tragiche realtà.

Ma è anche vero che sono passati solo vent'anni dalla fine della guerra e l'Europa era intenta ad una ricostruzione immane e forse le Autorità, la scuola, la famiglia, la società erano tutte protese a creare quelle condizioni di benessere senza trovare il tempo di cominciare a costruire una memoria condivisa: "Il trauma della guerra ha diviso le generazioni: i padri testimoni o vittime della violenza, della persecuzione e delle immani privazioni; i figli proiettati verso il futuro, cresciuti nel benessere e molto spesso smemorati. Mentre i primi conservano viva la memoria di quanto è accaduto, i secondi si vogliono gettare alle spalle la tragedia della guerra e guardare avanti. Un abile montaggio di interviste alternate mette in luce le contraddizioni di quell'eccezionale periodo storico, gli anni Sessanta. Sono gli anni della Swining London, dell'ottimismo, e di un'Europa che ha superato con un grande balzo l'austerità degli anni di guerra e del dopoguerra. Ma a che prezzo? Liliana Cavani ricorda come nacque quel documentario e per rispondere a quali domande. E racconta lo stupore, per chi come lei aveva vissuto la guerra, di vedere come un evento così recente fosse stato velocemente avvolto nell'oblio". 

 Poi, ci sono stati altri momenti significativi nella storia del nostro Paese dal Sessantotto al terrorismo, dalle stragi, rosse e nere, che hanno insanguinato le nostre strade; dalla stagione di "Mani pulite" alla crisi dei Partiti, delle istituzioni; alla disoccupazione, sempre in ascesa, ad una vera e propria "crisi del sistema" fino alla pandemia che, da un anno, ha provocato oltre novantamila morti solo in Italia: 96.666 per la precisione, dati al 25 febbraio.

Ora, ne siamo convinti, dovrà necessariamente iniziare una ennesima fase di ricostruzione. Ma da dove cominciare. E' la domanda che ci si pone.

Ognuno avrà delle proposte, sicuramente interessanti da mettere a confronto con altri interlocutori. Importante ci sembra sia quell'onestà intellettuale che, in tutti questi ultimi anni, è stata latitante da ogni confronto, il più delle volte, infarcito di atteggiamenti volutamente offensivi,a dir poco, nei confronti do chiunque la pensi in maniera diversa. E i social, purtroppo, ne fanno da cassa di risonanza. Quando non una vera e bieca aggressione.

Non so, onestamente, quanti ricorderanno il prossimo mese di marzo questo 110° anniversario dell'Unità d'Italia. E questi centodieci anni, comunque, al di là degli errori, veri o presunti, hanno avuto il merito di traghettarci, tra diverse tempeste, in un mondo dove dei diritti, e certo anche dei doveri, tutti ne usufruiamo in maniera paritaria.

L'occasione per una Commemorazione, penso sia un atto dovuto di qualsiasi Autorità Comunale, regionale, nazionale, fosse solo per onorare quei personaggi che, verso la metà dell'Ottocento, lottarono per gli ideali unitari. Unitarietà che, in seguito, ha rappresentato il collante culturale, ideologico e sociale e ha permesso la realizzazione di quel sogno di libertà, di uguaglianza, di solidarietà che oggi troviamo alla base del nostro vivere civile. Ideali che, dopo il Congresso di Vienna del 1814-1815, avevano percorso tutti i Paesi europei; avevano infiammato i cuori libertari a più riprese (le Rivoluzioni del 1820, del 1830 e del 1848 ne sono una testimonianza pregnante e viva) fino a quel 1860 che vede partire da Quarto i famosi Mille al comando di Giuseppe Garibaldi per la Sicilia, luogo unico e certo, da dove sarebbe dovuta partire la scintilla sacra dell'Unità d'Italia.

Il 17 marzo 1861 viene proclamato solennemente il Regno d'Italia, con lo Statuto Albertino come Carta fondamentale dell'Italia Unita. E, altrettanto solennemente, i Comuni si diedero un gran da fare ad eleggere le Giunte municipali e i Consigli Comunali. Alcuni lo insediarono qualche settimane prima. pensiamo al mio comune, Niscemi in provincia di Caltanissetta, il primo marzo 1861.

 Ma non bisogna dimenticare che furono inizi difficili, senza dubbio alcuno.

Alterne vicende hanno contraddistinto questi 160 anni di vita comunale. Una vita, comunque, ricca di avvenimenti politici, sociali, umani, culturali. Una vita contrassegnata da calamità naturali: terremoti, frane, epidemie che puntualmente colpivano le popolazioni. Ma contrassegnata anche dalla tenacia dei suoi contadini; caratterizzata dall'operosità dei suoi artigiani; rappresentata dall'abilità e dalla perizia dei suoi professionisti; codificata dai giuristi e dai suoi intellettuali.

Scrive Francesco De Sanctis, un intellettuale, letterato e politico di grande respiro, in un articolo apparso nel giornale 'L'Italia' il 28 gennaio 1864: "Noi non siamo liberi, perché la politica la consideriamo non come il dovere e il diritto di tutti, ma quasi un <<hors d'ouvre>>, un dilettantismo, e non poniamo nelle faccende pubbliche quello stesso ardore ed interesse che nelle nostre private; perché non abbiamo sufficiente iniziativa e attendiamo tutto dal governo; perché vogliamo la legge rispettata dal governo, e siamo noi poco inchinevoli a rispettarla, e la prima cosa che ci viene innanzi è l'uso della forza; perché, mentre gridiamo contro il favoritismo e gli intrighi, mettiamo le nostre speranze talora più nell'uso delle raccomandazioni, degli intrighi e delle vie oblique, che nella giustizia della nostra causa. Certo non tutti siamo tinti della stessa pece; nei grandi centri, soprattutto, dove ci è più istruzione e più pratica di viver civile e più vasti orizzonti politici, la vita pubblica è più sviluppata".

Se vogliamo, più o meno, è il concetto che un altro grande della storia mondiale, John Kennedy, condensò, quasi cento anni dopo De Sanctis, nella celebre frase: "Non chiedete cosa il Paese possa fare per me, ma cosa io posso fare per il paese".

Poi arrivarono anche le scuole, anche se in ritardo, soprattutto nel Meridione d'Italia, e le cose cominciarono a cambiare.

Ma i cambiamenti hanno bisogno di tempo. Importante è crederci. E soprattutto metterci tanta passione, tanta disponibilità nella conoscenza del nostro passato.

JohannWolfang von Goethe ammoniva: "Bisogna illuminare il passato se vogliamo comprendere il presente".

Le Ricorrenze, gli Anniversari servono anche a questo. E non è cosa di poco conto.

 

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