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Quale distanza deve esserci tra due palazzi? La legge stabilisce delle distanze minime tra una costruzione e l'altra: distanze che devono essere rispettate, salvo determinate eccezioni. Riferimenti normativi:
-Codice Civile: Artt. 873, 874, 875 e 877- L'art. 873 stabilisce che "le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a distanza non minore di tre metri. Nei regolamenti locali (piani regolatori e regolamenti edilizi comunali) può essere stabilita una distanza maggiore" di almeno di cinque metri.
-Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444 ( distanza tra palazzi e finestre), tuttora vigente in forza dell'art. 136 del testo unico dell'edilizia, all'art. 9 stabilisce le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee.Anche se una sola delle due pareti ha finestre, la distanza minima tra edifici è di dieci metri e il Comune non può prevedere, tramite il regolamento urbanistico, deroghe a tale limite.
Focus:La finalità del legislatore è di evitare la formazione di intercapedini anguste che possono mettere a rischio la sicurezza delle persone e creare zone insalubri con scarso passaggio di aria e di luce e, quindi, potenzialmente nocive per la salute. Proprio in quanto dettate per la tutela della salute e della sicurezza delle persone, le norme che dispongono in materia di distanze tra le costruzioni non sono derogabili dai privati. Né sono derogabili, nel caso di regolamenti comunali, in quanto volte a tutelare un interesse generale ad un certo modello urbanistico e paesaggistico. Conseguentemente, tutte le convenzioni tra privati che pongono deroghe alle disposizioni in materia di distanze tra costruzioni sono invalide(Cass. Civ., Sez. 2, Sent. n.9751 del 23/04/ 2010).
Distanze tra edifici: Il Consiglio di Stato, con la sent. n. 7731/2010, si è occupato della questione delle distanze tra edifici ed ha affermato che le distanze stabilite dal D.M.1444/1968 costituiscono valori minimi inderogabili che devono essere rispettati dai Comuni all'atto dell'approvazione o della revisione degli strumenti urbanistici. La distanza di dieci metri tra le pareti finestrate di edifici antistanti – si legge nella sentenza – va rispettata in tutti i casi, poiché si tratta di una norma volta a impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienico-sanitario. La regola della distanza minima si applica anche nel caso di costruzioni unite o aderenti, come ad es. ville a schiera o i condomini in città,per evitare la formazione di intercapedini. Non si applica, invece, solo se i fondi sono separati da una strada. Essa va calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati (e non alle sole parti che si fronteggiano) e a tutte le pareti finestrate e non solo a quella principale, prescindendo anche dal fatto che esse siano o meno in posizione parallela. Il concetto di costruzione a cui fa riferimento il cod. civ. si riferisce non soltanto agli edifici e alle strutture realizzate con muri di cemento, ma ad ogni opera che emerga in modo sensibile al di sopra del livello del suolo e che abbia caratteri di solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo. La deroga alla normativa statale, che fissa in 10 metri la distanza minima tra edifici, si riferisce solo ad una <<pluralità di edifici oggetto di una unitaria previsione plano volumetrica>> non ad interventi su un singolo edificio, deve cioè riguardare necessariamente un'intera zona nell'interesse pubblico del territorio (Corte Costituzionale sent. n.6 del 23/01/2013).
Sono, quindi, illegittime le leggi regionali nella parte in cui consentano ai Comuni, attraverso i propri strumenti urbanistici, di introdurre deroghe alla disciplina statale in materia di distanze tra edifici, anche in caso di interventi puntuali e diretti, non inclusi in un piano di attuazione riferito ad un ampio contesto territoriale. Ai fini del rilascio di un titolo abilitativo edilizio, il Comune "in materia di tutela dei terzi, deve solo accertare la sussistenza del titolo astrattamente idoneo da parte del richiedente alla disponibilità dell'area oggetto dell'intervento edilizio, senza che si possa pretendere che questa assuma il compito di risolvere eventuali conflitti di interesse tra le parti private in ordine all'assetto proprietario".(T.A.R. Lazio n. 9879 del 21/09/ 2016). In merito alle distanze legali tra gli edifici, il Cons. giust. amm. Sicilia, con sent. n. 74 del 3/3/2017 ed il Consiglio di Stato con sent. n. 4337 del 14/07/2017, hanno affermato il principio di diritto secondo cui:"La previsione del limite inderogabile di distanza riguarda immobili o parti di essi costruiti "per la prima volta", ma non può riguardare immobili che costituiscono il prodotto della demolizione di immobili preesistenti con successiva ricostruzione".
Come si misurano le distanze?
E' regola generale che vengano misurate in linea orizzontale tra due punti che si trovano alla stessa altezza, tenendo presente, però, che la distanza va calcolata in corrispondenza delle eventuali sporgenze o rientranze dell'edificio che è stato edificato per primo, poiché "Quando una costruzione sia stata realizzata non secondo una linea retta ma secondo una linea spezzata non è giuridicamente configurabile una distanza media rispetto alle rientranze e sporgenze della costruzione di riferimento, come effetto della compensazione tra distanze minime e massime dalla stessa (Cass. Civ., Sez. 2, sent. n. 15367 del 05/12/2001).
In applicazione del D.M. 1444/68, inoltre, è necessario che le finestre esistano in qualsiasi zona della parete contrapposta ad altro edificio, ancorché solo una parte di essa si trovi a distanza minore da quella prescritta; ne consegue, pertanto, che il rispetto della distanza minima è dovuto anche per i tratti di parete che sono in parte privi di finestra (Cass. Civ., sez. 2, sent. del 20/06/ 2011 n.13547).
Mezzi di tutela in caso di violazione delle distanze - Chi si ritiene leso dalla costruzione realizzata dal vicino ad una distanza non regolamentare dal confine può tutelarsi in due modi: 1) in via amministrativa segnalando l'abuso edilizio con un esposto indirizzato al Comune; 2) in via civile avviando una causa davanti al tribunale ordinario per ottenere la demolizione o l'arretramento dell'opera costruita senza rispettare le distanze minime dal confine, o, in alternativa, il risarcimento danni (Cass.sent.n.21947/2013). Per ottenere il risarcimento non è necessario provare l'entità del danno, in quanto esso discende automaticamente dalla violazione della norma, e può essere valutato dal giudice in via equitativa, secondo il suo prudente apprezzamento, ex art. 1126 c.c.(Cass. sent. 12220 del 30/05/ 2014). Per ricorrere in Tribunale non ci sono termini di prescrizione, la causa può essere avviata anche a distanza di moti anni dalla costruzione dell'abuso perchè per la legge si tratta di un abuso <<permanente>>, cioè che si rinnova ogni giorno (Cassazione sent.n.871/2012).
Distanze legali nel condominio: La questione è stata affrontata dalla Corte di Cassazione, con la sent. n. 7269 del 27/03/2014, in un caso in cui i proprietari di un appartamento condominiale chiedevano la rimozione di una tettoia, installata su un balcone dal proprietario dell'appartamento sottostante, a distanza inferiore di tre metri da una finestra del loro immobile. La Suprema Corte ricorda, nella decisione in esame, che le norme sulle distanze delle costruzioni delle vedute si osservano anche nei rapporti tra i condomini di un edificio in quanto l'art. 1102 c.c. non deroga in alcun modo al disposto dell'art. 907 c.c. Inoltre, osserva ancora la Corte, qualora vi sia già una finestra preesistente, il proprietario può imporre al suo vicino di non costruire a meno di tre metri sia in linea retta che obliqua che a piombo. Il principio da seguire in casi di costruzioni non precarie in ambito condominiale è che il proprietario del singolo piano di un edificio condominiale ha diritto di esercitare dalle proprie aperture la veduta sino alla base dell'edificio e di opporsi, conseguentemente, ad ogni costruzione degli altri condomini che direttamente o indirettamente pregiudichino tale diritto, senza che abbia alcuna rilevanza l'eventuale lieve entità del pregiudizio arrecato. La disciplina delle distanze legali dei manufatti si applica solo in quanto compatibile con il concreto stato dei luoghi e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei singoli proprietari. Non opera in caso di installazione di impianti indispensabili per una reale abitabilità delle singole unità immobiliari, come la modifica o la creazione di un secondo bagno (Cass. Civ. 12520/2010) o la collocazione di tubi di gas (Cass. Civ. 14822/2014).
Condominio e legittimazione ad agire per il rispetto delle distanze legali - Le disposizioni delle distanze tra fabbricati mirano a salvaguardare gli edifici considerati nella loro interezza. Da ciò consegue che, in caso di stabili in condominio, tutti i condomini, e non soltanto quelli fra costoro che siano proprietari delle porzioni direttamente prospettanti verso le costruzioni che violano le distanze legali, sono legittimati ad agire per far valere il rispetto delle distanze stesse. (Cass.civ., sez.II, 30 novembre 2012, n.21486). In caso di azione contro un soggetto estraneo al condominio, la legittimazione attiva in capo all'amministratore sussiste solo nel caso in cui il danno derivi alle parti comuni dell'edificio. Nel caso in cui, al contrario, la presunta lesione derivi da un condomino rispetto a uno o più degli altri condomini, l'amministratore potrà intervenire per il rispetto del regolamento condominiale che, in ipotesi, preveda il divieto delle norme sulle distanze o imponga il rispetto di altre disposizioni. Si verifica violazione delle distanze tra costruzioni anche quando essa danneggia lo spazio intermedio di un terzo. Infatti, poiché le disposizioni sulle distanze tra costruzioni sono norme integrative di quelle contenute nel codice civile, risulta irrilevante la circostanza che lo spazio intermedio tra i due stabili appartenga ad un terzo (Cassazione Civile sent. n. 25890/2017). Infine, non si applica la disciplina generale delle distanze, in caso di violazione di distanze di luci e vedute rispetto alle altre costruzioni, se l'apertura è posta nel muro condominiale verso il cortile condominiale in quanto viene considerata uso lecito della cosa comune, ai sensi dell'art.1102 del codice civile (Cass. Civ. 14652/2013).
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Il mio nome è Carmela Patrizia Spadaro. Esercito la professione di Avvocato nel Foro di Catania. Sin dal 1990 mi sono occupata di diritto tributario formandomi presso la Scuola Tributaria "Ezio Vanoni" - sez.staccata di Torino.. Sono anche mediatore iscritta all'Albo della Camera di mediazione e conciliazione del Tribunale di Catania dal 2013. Da alcuni anni mi occupo di volontariato per la tutela dei diritti del malato. Nel tempo libero coltivo I miei hobbies di fotografia e pittura ad olio.